Data: 
Lunedì, 30 Luglio, 2018
Nome: 
Piero De Luca

AC 924

 

Signora Presidente, ringrazio il Ministro per la presenza qui in Aula, estremamente significativa. Il dibattito di oggi rappresenta l'occasione per una riflessione ampia e articolata sul tema più drammatico e attuale per i giovani e le famiglie italiane, quello del lavoro e dell'occupazione. Una riflessione che speriamo non scivoli via, come spesso accade, sull'onda di battute, di frasi fatte imparate a memoria, slogan, tweet o dirette Facebook, perché - ed è bene chiarirlo subito, soprattutto ai tanti colleghi dei Cinquestelle - i nostri ragazzi, i padri e le madri delle nostre famiglie non vogliono, non pretendono e non chiedono alla politica misure assistenziali di qualche mese, ma, come è giusto che sia leggendo la Costituzione italiana, pretendono, direi, tre cose: lavoro, lavoro e lavoro! Allora, prima di entrare nell'approfondimento specifico di alcune misure contenute nel decreto oggi in esame, credo opportuno ricordare, anzitutto a noi stessi e poi al Paese e al Governo, il contesto economico nel quale l'Esecutivo si trova ad operare. Noi non siamo all'anno zero, da un punto di vista di politiche relative al lavoro.

I Governi a guida PD hanno raccolto un Paese che era ancora a rischio di commissariamento europeo da parte della trojka per le politiche disastrose messe in campo dall'Esecutivo di cui faceva parte una delle forze che attualmente compongono il Governo; e i Governi a guida PD hanno attuato anzitutto una misura rivoluzionaria, forse la più grande operazione di redistribuzione salariale mai fatta, quella degli 80 euro, che ancora noi rivendichiamo e che nessuna forza politica intende oggi più contestare o modificare; e siamo riusciti, con i Governi a guida PD, ad approvare anche un provvedimento rivoluzionario di sostegno reale alla povertà, legato all'aiuto e al reinserimento lavorativo. Quello che oggi voi state provando goffamente a copiare, l'abbiamo fatto noi nella precedente legislatura, e si chiama reddito di inclusione; una misura che ha toccato più di 1 milione di persone, soprattutto al Sud. Una misura che abbiamo intenzione di ampliare ulteriormente in questa legislatura, e per la difesa della quale saremo pronti a dare battaglia sia in quest'Aula che nel Paese.

Questo l'abbiamo realizzato noi, ma nella precedente legislatura sono state messe in campo anche delle altre misure estremamente importanti sul piano del lavoro: penso alla legge n. 199 del 2006, di contrasto al caporalato, che coinvolge circa 400.000 lavoratori in Italia, sia nazionali che stranieri; l'eliminazione della prassi delle dimissioni in bianco, che colpiva soprattutto le donne, e oggi rivendichiamo con orgoglio essere stati in grado di aver reso più serio e trasparente il mercato del lavoro in Italia. Ma abbiamo approvato anche l'obbligo di prevedere l'equo compenso per le prestazioni erogate nei confronti della pubblica amministrazione dai professionisti, spesso giovani e alle prime esperienze, eliminando quella pratica vergognosa che sfruttava la debolezza contrattuale di tanti ragazzi che, pur di entrare in un circuito occupazionale, erano disposti a lavorare per anni in una sorta di economia dell'immateriale, come è stato definito dal Consiglio di Stato recentemente. Accanto a queste misure, i Governi PD hanno adottato, però, alcuni provvedimenti ulteriori, quelli sì, davvero rivoluzionari, che hanno consentito al nostro Paese di vedere incrementare fortemente l'occupazione e di crescere come sistema Paese. I dati sono oggettivi, inconfutabili, e testimoniano anzitutto che il JobsAct, a prescindere da qualsiasi approccio ideologico al tema dell'occupazione, ha consentito di realizzare davvero più di 1 milione di nuovi posti di lavoro nel nostro Paese, di cui più della metà a tempo indeterminato. Un milione di donne e uomini, ragazze e ragazzi, che hanno avuto la possibilità di non dover espatriare più, di non dover delocalizzare se stessi, che hanno potuto evitare di portare all'estero talento, idee ed energie. È grazie a questa misura soprattutto che il tasso di disoccupazione è sceso negli ultimi anni all'11 per cento e il numero di occupati ha superato i 23 milioni, forse tra i più alti da decenni nel nostro Paese, come riconosciuto peraltro anche da alcuni esponenti della maggioranza di Governo.

Allo stesso modo non possiamo non ricordare misure quali quelle di Industria 4.0 e, in particolare, l'iper-ammortamento, il super-ammortamento, la nuova “Sabatini”, il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, credito d'imposta per ricerca e sviluppo e formazione, contratti sviluppo, patentbox: tutte misure che hanno davvero ridato fiducia a tante aziende e consentito loro di attivare nuovi investimenti sostenendo crescita e sviluppo del nostro sistema produttivo. Tutto ciò ha contribuito a creare nuova occupazione, soprattutto giovanile; ha fatto crescere il PIL del nostro Paese, che ancora oggi segna un più 1,4 per cento rispetto ai primi mesi del 2017. Tali azioni hanno fatto sì, peraltro, su un tema specifico toccato dal decreto, che si sia registrata negli ultimi anni anche una vera e propria inversione di tendenza, rispetto alla delocalizzazione, di tante attività produttive dall'Italia: secondo numerosi studi universitari in materia, fino al 2015-2016, il nostro Paese è stato il primo in Europa per decisioni di cosiddetto backreshoring, cioè di rientro nel territorio nazionale di aziende che avevano delocalizzato all'estero i propri asset organizzativi e produttivi. Al di là dei fattori oggettivi che hanno inciso e tuttora incidono su queste scelte strategiche - penso all'importanza del made in Italy, penso alla qualità della forza lavoro nel nostro Paese -, le dimensioni e la portata di questo fenomeno sono il risultato anzitutto della politica economica messa in campo dai Governi a guida PD nella precedente legislatura.

Certo, non tutti i problemi sono stati risolti: il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è ancora troppo elevato per gli standard europei (si attesta a circa il 20 per cento), quello giovanile tocca punte del 50 per cento; l'Italia potrebbe sviluppare ancora di più il commercio estero, dovremmo sviluppare e riguadagnare competitività nei confronti di tante imprese, e penso a quelle tedesche, le prime dieci delle quali producono oggi un giro d'affari di 800 miliardi di euro, pari alla metà del PIL italiano. Insomma, tanto è ancora da fare. In questo contesto, però, ciò che non appare chiaro è come si collochi il Governo, qual è la linea e la strategia di politica economica che intende portare avanti.

Ad oggi è emersa solo tanta confusione e approssimazione. Cambiamento sì, ma di soluzioni, progetti, programmi e idee ad ogni giorno che passa. Non avete alcuna idea o non avete prodotto o manifestato alcune idee al Paese di come sostenere lavoro, occupazione, crescita, sviluppo, investimenti.

Nulla di tutto ciò è previsto in questo decreto-legge e nulla di tutto ciò è previsto nel contratto di Governo. E questo decreto, che oggi ci troviamo ad approvare, presentato in fretta e furia forzando anche la Costituzione, per nascondere l'inconcludenza dei primi mesi di Governo, si colloca pienamente in linea con questo silenzio assordante sulle azioni da mettere in campo per il rilancio del nostro Paese, si colloca anzi nel solco dell'unica linea forse che state seguendo, quella indicata dal vero leader del MoVimento 5 Stelle, Beppe Grillo, quella della decrescita felice. Per creare lavoro - vedete - è necessario ampliare e incentivare la crescita della base produttiva del Paese; il lavoro non si crea per decreto o per legge, il lavoro lo creano innanzitutto le imprese e le aziende che decidono di investire e operare in Italia invece che altrove. Se non viene prodotto il lavoro, diventa difficile anche difenderlo, sostenerlo e tutelarlo. E allora agli imprenditori, ai commercianti, agli artigiani noi dobbiamo dare, voi come Governo dovete dare, innanzitutto fiducia e stabilità ed è tutto il contrario di quello che mi pare l'Esecutivo stia facendo in questi primi giorni di governo, nei quali si sta dimostrando campione assoluto di sfiducia e di instabilità. Ricordo ad esempio le frasi di un Ministro, che abbiamo ascoltato anche in Commissione, che evoca, ogni piè sospinto, un presunto cigno nero, un piano “B” di fuoriuscita dall'euro, e altri Ministri, anche lei in particolare, che è pronto a smentirlo, peraltro senza neppure troppa convinzione e altri che continuano ad evocare referendum, senza che nessun membro dell'Esecutivo li smentisca a tal riguardo. Ecco, l'unico risultato che abbiamo ottenuto e che avete ottenuto in questi primi due mesi è solo la perdita di circa cento punti di spread. E allo stesso modo penso alle dichiarazioni e ai balletti inaccettabili sulle grandi opere e infrastrutture: siamo spettatori attoniti di un Ministro pro tempore, che parla ogni giorno con toni aspri di bloccare tutti i cantieri del nostro Paese, e della Lega che con imbarazzo si barcamena senza sapere se e come reagire a questa posizione, che noi troviamo inaccettabile.

Guardate, noi non possiamo che censurare l'approssimazione e la superficialità di dichiarazioni che non tengono conto, non solo dell'interesse del Paese, delle imprese e dei cittadini, ma anche e soprattutto della tenuta dei nostri conti pubblici. Noi abbiamo assistito - era lei col Ministro “ToniNo”, come è stato definito da parte della stampa - ad un cortometraggio interessante su un presunto aereo, dicendo che dal risparmio di una commessa si potevano risparmiare 100 milioni di euro o qualcosa del genere. Apprezzeremmo che lo stesso cortometraggio fosse fatto nei cantieri della TAV Torino-Lione per vedere e per dire agli italiani il costo di 3 miliardi di euro che provocherà l'interruzione di questa infrastruttura strategica per il nostro Paese, e lo stesso per la TAP, la cui interruzione provocherà 40 miliardi di danni sui conti pubblici e quindi alle tasche degli italiani. Per non parlare dell'ILVA - caro, signor Ministro - dove la confusione mi pare regni sovrana: rinunciare alla vendita e alla riconversione di questo stabilimento industriale produrrebbe danni per 7 miliardi di euro. Ci piacerebbe che parlaste anche di questo e che faceste dirette Facebook anche su queste cose. Sarebbe molto interessante per il Paese!

Del resto, qui esce allo scoperto la nostra differenza politica, credo radicale: noi guardiamo a un Paese dinamico, con infrastrutture di eccellenza, che possa migliorare la qualità della vita ai nostri cittadini e incentivare gli investimenti, soprattutto nel Mezzogiorno. Bloccare le grandi opere vuol dire condannare anzitutto il Sud, vuol dire condannare il Mezzogiorno a non poter colmare il gap infrastrutturale nei confronti di altre aree del Paese e, se questo risponde a una logica probabilmente punitiva di alcune forze del Governo che da anni nonostante i recenti restyling del simbolo hanno avuto atteggiamenti sprezzanti nei confronti del Mezzogiorno, questo non dovrebbe essere lo stesso atteggiamento che dovrebbe caratterizzare voi, che al Sud e al Mezzogiorno avete guadagnato consensi e ora l'abbandonate dopo neppure due mesi di lavoro. Allora, diciamolo chiaramente ai cittadini italiani: voi siete per un Paese diviso, voi siete per un Paese rinchiuso su se stesso, un Paese direi medioevale, un Paese che ritorna indietro di decenni sul piano degli investimenti e del lavoro. Noi siamo per un Paese diverso, europeo, aperto e dinamico, un Paese nel quale difendere e tutelare l'Alta velocità, difendere e tutelare le grandi infrastrutture, come l'autostrada del Sole. Potremmo mai immaginare - lo dico ai nostri concittadini - un Paese senza le grandi infrastrutture che danno dinamismo, modernità e che consentono alle imprese di fare investimenti nel nostro Paese? Voi credete di si; noi crediamo assolutamente di no.

E allora questo è l'atteggiamento complessivo dell'Esecutivo e questo atteggiamento non sta aiutando per nulla né gli investimenti, né l'occupazione. Su questa linea si colloca - e arriviamo al merito specifico di quanto stiamo discutendo oggi - il decreto, che non a caso abbiamo definito con convinzione “disoccupazione”. Guardate, voi sapete bene che per produrre crescita e ricchezza in un Paese le imprese hanno bisogno di semplificazione innanzitutto, amministrativa burocratica e legislativa, ma hanno bisogno anche di sostegno agli investimenti e alle assunzioni.

Il decreto in esame va esattamente nella direzione opposta e ha un merito, quello sì, di mettere tutti d'accordo, lavoratori e imprese, come si è visto in questi giorni, nella forte preoccupazione e paura in merito alle conseguenze drammatiche che il decreto produrrà sul mercato del lavoro e sugli investimenti. Da questo punto di vista, direi che si colloca perfettamente in linea con l'impostazione di antipolitica economica che avete prospettato in campagna elettorale, soprattutto nel Mezzogiorno: lasciamo a casa tutti i giovani, le madri e i padri, senza lavoro, né occupazione, tanto ci penseremo noi a dare un sostegno, un presunto assistenzialismo di Stato a tempo indeterminato. Andrebbe tutto bene e sarebbe tutto coerente con questa logica, se non fosse però che non appena vi siete insediati avete chiarito ai cittadini italiani che il reddito di cittadinanza promesso era un inganno, era una favola raccontata solo per raccogliere voti e avete detto che non ci sarà nessun sostegno fisso degli 800 o 1.000 euro al mese promessi, soprattutto al Sud non si vedrà nulla. L'unica misura che sarete probabilmente in grado di confermare, cambiandogli il nome, è il nostro reddito di inclusione: questo è quello che rimane delle vostre promesse elettorali.

In questo quadro allora le uniche conseguenze della vostra azione di governo sono semplici: più disoccupazione, 8.000 posti di lavoro in meno all'anno, come chiarito dai nostri colleghi, dai miei colleghi nei precedenti interventi, e più povertà. Se pensiamo alle previsioni, per esempio, sui nuovi limiti a oneri per i contratti a termine, non accompagnati da alcuna riduzione strutturale del cuneo fiscale per i contratti a tempo indeterminato, pensiamo a un decreto-legge che avrà un effetto negativo dirompente e sarà in grado di distruggere in pochi giorni i risultati occupazionali positivi ottenuti negli anni dal nostro Paese. In pochi giorni, avremo centinaia, se non migliaia di ragazze, ragazzi, donne, uomini, madri e padri di famiglia che resteranno di colpo disoccupati perché non verrà più rinnovato loro il contratto presso le aziende nelle quali lavoravano. Solo la Nestlè, in Campania, una terra che lei conosce bene, ha annunciato qualche giorno fa decine e decine di licenziamenti a causa di questa misura, decine e decine di ragazze e ragazzi che non saranno assunti a tempo indeterminato, caro signor Ministro, ma saranno semplicemente sostituiti da altre persone impiegate nuovamente a tempo determinato, innescando un turnover infernale, che penalizzerà sia i lavoratori, che non avranno il tempo di fare esperienza e far valere le proprie capacità in azienda, sia le imprese che non avranno l'opportunità di far crescere al proprio interno la forza lavoro necessaria alle proprie esigenze. Quanto poi alla battaglia contro l'internazionalizzazione e la delocalizzazione delle imprese, il decreto innanzitutto riguarda principalmente e soltanto gli spostamenti extra Unione europea delle nostre aziende, poi prevede delle nozioni che noi abbiamo contestato e sulle quali abbiamo proposto degli emendamenti, come quella di aiuti di Stato, una nozione vaga, e vago è il termine a partire dal quale scatterebbero i cinque anni che produrrebbero le sanzioni. Ma soprattutto nel merito il decreto prevede tre norme, due delle quali in realtà sono semplicemente direi copiate dalla regolamentazione europea. La prima è quella in cui prevedete una sanzione per le imprese che beneficiano di aiuti di Stato regionali. Guardate, esiste già un Regolamento, il Regolamento n. 651 del 2014, che all'articolo 14, paragrafo 5, stabilisce già da tempo che gli aiuti a finalità regionale devono restare nel territorio interessato. Esiste già questa norma - non avete previsto nulla di nuovo - e bastava farvi rinvio, se aveste letto con attenzione la relazione tecnica. E allo stesso modo, laddove stabilite una penalità per le imprese che delocalizzano, dopo aver ricevuto misure mirate all'assunzione: anche lì siamo esattamente all'interno della logica dei fondi strutturali europei, in particolare di quelli legati al Fondo sociale europeo. E un'altra invece è la norma elaborata da voi, peggiorando la regolamentazione esistente che, contrariamente alle intenzioni di partenza, rischia di produrre danni maggiori alla nostra economia: mi riferisco al primo comma dell'articolo 5, che introduce un capolavoro, ossia stabilisce che, in caso di delocalizzazione di un'attività economica o di una sua parte per la quale siano stati concessi aiuti di Stato, l'impresa decade dal beneficio e riceve sanzioni di importo da due a quattro volte quello dell'agevolazione ricevuta. Sembra apparentemente una regola ragionevole e lineare, ma, a leggerla bene, ci si rende conto invece della sua insostenibilità e del disastro che si verrebbe a creare con la sua entrata in vigore. Allo stato attuale, ricordo che l'articolo 1, ai commi 60 e 61 della legge n. 147 del 2013, prevede già sanzioni per le imprese che delocalizzano dopo aver ottenuto un sostegno pubblico; il punto è che le imprese vengono punite solo se spostano il sito produttivo che ha ricevuto incentivi e solo se questo cambiamento di sede provochi una riduzione dei livelli occupazionali all'interno dell'azienda. Si lega in altri termini la sanzione potenziale all'impatto negativo sul lavoro causato dal trasferimento dello stabilimento interessato. La norma che invece voi state provando a fare approvare introduce una sanzione perché si applica a qualunque delocalizzazione e crea così un clima di terrore e di fuga degli investimenti dal nostro Paese.

In primo luogo, quando si parla di attività economica incentivata, si colpiscono non solo le decisioni di spostamento del sito produttivo, ma ogni semplice azione di internazionalizzazione delle imprese, anche se non sono previste chiusure degli stabilimenti italiani, si ottiene cioè l'effetto perverso di sanzionare senza alcuna logica e razionalità ogni espansione economica delle nostre imprese, quella che noi dovremmo invece sostenere e aiutare e incentivare, proprio per recuperare competitività a livello internazionale.

E poi, cosa ancor più clamorosa, la previsione si applica indipendentemente dall'impatto sull'occupazione in Italia, nello stabilimento che svolge l'attività economica sostenuta dallo Stato. Cioè quale presupposto per la decadenza dei benefici non è richiesta alcuna riduzione dei livelli occupazionali. Per cui, detto in altri termini: se un'azienda che ha ricevuto sgravi o contributi decide nei cinque anni successivi all'investimento di aprirsi ad altri mercati internazionali, mantenendo però inalterati i livelli produttivi in Italia o addirittura aumentando questi stessi livelli produttivi, l'impresa sarà sanzionata ugualmente. Una norma folle dal mio punto di vista e dal nostro punto di vista, una norma illogica e irragionevole che rischia di comprimere la libertà di impresa garantita dalla Costituzione e da princìpi fondamentali europei, e una norma che limita in realtà non le delocalizzazioni, ma limita le localizzazioni delle imprese del nostro territorio: non vi saranno più imprese italiane o multinazionali straniere che decideranno di venire a investire nel nostro territorio, si creeranno dei danni enormi soprattutto al Mezzogiorno d'Italia, dove più frequentemente le imprese, soprattutto quelle multinazionali, decidono di impiantarsi creando occupazione e sviluppo. Solo in presenza di un sistema di incentivi serio… Io penso a quelli messi in campo anche nella precedente legislatura: i contratti di sviluppo, la misura “Resto al Sud”, gli incentivi sulle aree di crisi, le zone economiche speciali, sono tutti incentivi che funzionano e danno una mano al Mezzogiorno, se non bloccano però il futuro, per il futuro la crescita e gli sviluppi, eventuali futuri investimenti delle multinazionali e delle imprese italiane ed internazionali.

Allora, per tutte queste ragioni, guardate, noi ribadiamo la nostra profonda contrarietà all'impostazione complessiva di fondo del decreto-legge “disoccupazione” e vi chiediamo di ritirarlo nella sua globalità. Noi faremo un'opposizione seria, ferma e responsabile, sia in Aula che nel Paese, perché devo dirle una cosa: credo che è noto che il clima sta un po' cambiando, che il clima di torpore e di credito di fiducia al buio, incondizionata di cui state beneficiando da tempo nell'opinione pubblica inizia a venir meno. È stata ripresa da qualche commentatore in questi giorni una frase significativa di Manzoni: “Il buonsenso c'era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Ecco quanto è accaduto negli ultimi mesi o nell'ultimo periodo in Italia! Oggi però avvertiamo che il senso comune e il buonsenso cominciano ad essere sempre più allineati, e danno ancor più forza e voce alla nostra battaglia politica contro un provvedimento che rischia di produrre disastri economici e occupazionali inimmaginabili per i giovani, per le famiglie e per le imprese, nel nostro Paese e soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. Allora provate davvero a recuperare la dignità che rischiano di perdere con queste misure il lavoro e l'occupazione: fermatevi finché siete in tempo.