Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 10 Luglio, 2017
Nome: 
Giampaolo Galli

A.C. 4565-A

Grazie, Presidente. L'intervento oggi in discussione è un intervento necessario; come è stato appena detto, non salviamo i banchieri, ma le famiglie e le imprese che hanno rapporti con le due banche, i lavoratori e il territorio.

È facile capire cosa succederebbe se il decreto non fosse convertito; il mattino dopo, domani stesso, i depositanti correrebbero a ritirare i loro risparmi e le banche sarebbero costrette a richiamare i prestiti con effetto immediato. Si è detto che non è vero, che questa è un'esagerazione, perché c'è il Fondo di garanzia dei depositi, ma il Fondo garantisce depositi fino a 100.000 euro e molti depositi, specie di imprese anche piccole, stanno sopra questa soglia. Inoltre, i depositanti più piccoli, nell'incertezza e malgrado tutte le rassicurazioni, finirebbero per ritirare ugualmente i loro depositi, una massa considerevole di titoli all'attivo delle due banche sarebbe gettata sul mercato, con effetti destabilizzanti anche sul mercato obbligazionario. Inoltre e soprattutto, verrebbe minata la fiducia nell'intero sistema bancario italiano.

Naturalmente, è lecito ritenere che ci fossero altre soluzioni possibili e che, nel corso del tempo, si sarebbero potute fare scelte diverse. Attenzione, però, al senno del poi. Ricordo, innanzitutto, che nella discussione che facemmo in quest'Aula, nel marzo 2015, sulla legge di trasformazione delle banche popolari, le opposizioni ci dicevano che le banche malate erano le Spa, non le Popolari. Cito una frase che fu detta in Aula, fra le tante, da un esponente del MoVimento 5 Stelle, peraltro con ottima enfasi oratoria. Diceva, questo onorevole deputato: “non possiamo permettere che ci venga detto che le Banche Popolari sono fragili e vanno trasformate in Spa; non possiamo permettere che una delle motivazioni alla base di questo decreto-legge” - quello della trasformazione, quello che si discuteva allora - “sia la scarsa disponibilità di credito alle imprese, quando dati alla mano - dati alla mano, non chiacchiere, Presidente, dati alla mano -, le uniche che hanno continuato a mantenere il credito alle imprese durante la crisi sono proprio le Banche Popolari”. In effetti, le Banche Popolari venivano difese quasi da tutti, dagli imprenditori che stavano nei consigli d'amministrazione, dalla stampa, dai politici locali e, da ultimo, da alcune opposizioni in quest'Aula, proprio perché davano credito con facilità ed erano poco attente al principio della sana e prudente gestione.

Ma perché sono emersi i problemi di queste due banche? I problemi di fondo sono stati generati dalla recessione e da una governance malata, quella che, appunto, le opposizioni, testardamente e caparbiamente difendevano, in contrapposizione con il modello, tra virgolette, “capitalistico” delle società per azioni. Ma i problemi vennero alla luce a seguito degli stress test europei del 2014, quando, per migliorare i coefficienti di capitali, le due banche iniziarono a chiedere ai loro clienti di comprare azioni a fronte dei prestiti concessi: una pratica illegale, che fu sanzionata e che indusse la vigilanza italiana ed europea a dichiarare che il capitale così raccolto non era vero capitale, e comunque non era più computabile ai fini dei coefficienti patrimoniali. Di qui, l'emergere della crisi.

Nel marzo del 2015, quando discutevamo delle Banche Popolari, noi non sapevamo dei problemi specifici delle Banche Venete, ma capivamo benissimo - e lo dicemmo - che le Banche Popolari non avrebbero potuto far fronte alle esigenze di rafforzamento patrimoniale, che erano emerse non solo in Italia, ma in tutto il mondo, con la grande crisi. E anche su questo vi fu la totale incomprensione e caparbia chiusura delle opposizioni.

Oggi, sulle Banche Venete c'è chi critica il Governo per aver perso tempo con l'ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale, che alla fine non è stata accettata dalla Commissione europea, e c'è chi lo critica per il motivo opposto: non aver sfidato la Commissione europea insistendo comunque su quell'operazione. Ora, la ricapitalizzazione precauzionale ha certamente il pregio della chiarezza, è un'operazione in cui lo Stato mette dei soldi e a fronte di questi ottiene delle azioni, tipicamente di controllo: la nazionalizzazione temporanea, come peraltro si sta facendo con Monte dei Paschi di Siena. Al Governo questa sembrava l'ipotesi più ragionevole, quindi comprensibile che abbia battuto questa strada per molti mesi. Si poteva procedere senza il consenso della Commissione? La risposta è: certamente no! Avremmo avuto un danno reputazionale molto forte e saremmo stati accusati di un illecito, cioè di dare alle banche aiuti di Stato non consentiti. Ciò avrebbe messo in dubbio la stessa sostenibilità dell'operazione. La Commissione avrebbe, poi, chiesto alle due banche di restituire i soldi, come avvenne in passato con altri aiuti di Stato dichiarati illegittimi, quali le quote latte o i contributi pubblici per i contratti di formazione lavoro. Per lo stesso motivo sarebbe stato impossibile utilizzare le risorse del Fondo interbancario di garanzia dei depositi. Questa, dunque, era una strada che non poteva essere percorsa, in particolare dopo che la Vigilanza europea dichiarò che le due banche erano in situazione fallimentare: ciò avvenne - è bene ricordarlo - solo il giorno 23 giugno, ossia il venerdì precedente alla domenica in cui fu emanato il decreto.

Si poteva, per altro verso, rinunciare prima all'ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale, in modo da fare, come qualcuno dice, le cose con tempi più adeguati. Ci sarebbe stato il tempo per fare un'asta pubblica? Si sarebbero spuntate condizioni migliori per il contribuente? La risposta, a mio avviso, è, ancora una volta, certamente negativa. Per fare l'asta, occorre dichiarare lo stato in cui si trovano le banche, insolvenza o quasi insolvenza, e cosa si vuole farne, liquidazione. Una volta che questa notizia è pubblica, occorre aver risolto il problema prima che riaprano gli sportelli, altrimenti succede un guaio enorme. Questo è il motivo per cui l'asta è stata effettuata presso intermediari nazionali ed europei in tempi molto brevi, peraltro secondo le indicazioni di schemi previsti dalla Commissione europea. Non ha alcun senso la critica di chi dice che, se ci fosse stato più tempo, si sarebbero spuntate condizioni più favorevoli per il contribuente e, quindi, meno favorevoli per il cessionario che poi è stato scelto, cioè Intesa San Paolo. Questa critica non fa i conti con la realtà, di cosa significa e quali tempi richiede la gestione della crisi di una banca.

Un'altra critica che viene mossa a questo decreto è quella secondo cui avremmo frettolosamente innovato la procedura di liquidazione. Questo è vero solo in parte e, al riguardo, credo vadano fatte due osservazioni: in primo luogo, le regole europee sul bail-in e sulle gestioni delle crisi bancarie sono nuove e la caratteristica comune a tutte le crisi bancarie verificatesi in Europa fino ad oggi è che non hanno mai applicato il bail-in. Quindi tutti hanno dovuto trovare strade innovative e ciò è avvenuto in una situazione di transizione, in cui un numero davvero eccessivo di autorità aveva un ruolo nella decisione; in secondo luogo, le crisi hanno sempre una loro specificità e difficilmente possono essere gestite senza innovare. Desidero approfondire un attimo questo punto, anche perché da qui ha origine una critica ancora più radicale al Governo: ogni crisi è stata trattata in modo diverso, il che ha dato luogo a disparità di trattamento nei confronti dei diversi stakeholder delle banche. Certamente, le disparità vanno evitate nella misura del possibile, ma la semplice verità è questa: è, di fatto, fallito il tentativo dell'Unione europea di scrivere un libro delle regole piuttosto rigido e applicabile nello stesso modo a tutte le situazioni.

Questo fallimento o, comunque, grave difficoltà ha varie ragioni, vorrei sottolinearne una che riguarda la radice profonda del problema: gli interventi sulle crisi devono avere sempre un margine di discrezionalità. Il punto - che è ben noto a tutti gli esperti almeno dal 1873, quando uno scrittore inglese scrisse un libricino prezioso intitolato Lombard Street, che è tornato di grande interesse negli ultimi anni - è che, se si scrive un libro delle regole, in cui si sa quando e come si interviene, i banchieri e i loro azionisti tenderanno ad assumere rischi eccessivi, perché, tra virgolette, “tanto, se le cose vanno male, paga lo Stato o la Banca centrale”. Per evitare che questo accada, cioè per evitare l'azzardo morale, sarebbe sensato non avere alcun libro delle regole e annunciare che lo Stato non interverrà in caso di crisi, se non per salvare i piccoli risparmiatori. Quando, però, la crisi si verifica, lo Stato deve intervenire almeno nei casi in cui rischia di essere travolto l'intero sistema. Di qui l'indicazione che gli interventi devono essere decisi di volta in volta, con margini di discrezionalità a seconda delle caratteristiche della gravità della crisi. Si può ritenere che questo sia, per molti versi, uno stato dell'arte insoddisfacente, l'Europa ha cercato di superarlo e dobbiamo prendere atto che, per ora, non c'è riuscita: un manuale per la gestione delle crisi, per ora, non c'è.

Vorrei sottolineare come non ci sia neanche negli Stati Uniti, non è solo un problema europeo, e che anche negli Stati Uniti si è proceduto per tentativi successivi e con molti errori. Vale la pena ricordare alcuni passaggi chiave di quell'esperienza, perché presentano moltissimi elementi di riflessione per mettere nella giusta luce quanto sta accadendo da noi, anche in vista dei ragionamenti che dovremo fare nella Commissione bicamerale d'inchiesta sul sistema bancario. Vedo che alcune forze politiche hanno già emesso la sentenza: le autorità sono colpevoli. Devo dire che con questo approccio è difficile fare un serio lavoro di indagine. La sentenza viene emessa prima che ci sia, come dire, il procedimento. Io trovo più utile prepararci a quel lavoro cercando di capire cosa è successo in Italia e come si confronta con quanto è successo altrove. Ricordo allora, molto in sintesi, che il 15 settembre la banca Lehman Brothers fu lasciata fallire, il giorno dopo la FED salvò AIG, la più grande assicurazione americana con un intervento per ben 85 miliardi di dollari.

Nei giorni successivi, alcune banche furono salvate con la nazionalizzazione temporanea, come stiamo facendo noi con MPS, altre con accorpamenti in banche più grandi e con l'aiuto di risorse pubbliche, come stiamo facendo con le banche venete. Lo stesso “fondo Paulson” da ben 700 miliardi di dollari, approvato il successivo 3 ottobre dal Congresso, avrebbe dovuto garantire o farsi carico degli attivi tossici delle banche; in realtà, fu usato principalmente per le ricapitalizzazioni.

Di fronte a questi fatti, molti esponenti del Congresso mossero alle autorità americane - l'Amministrazione Bush e la Fed di Bernanke - accuse che assomigliano molto alle accuse che vengono mosse oggi alle autorità italiane. Ne elenco alcune: inaccettabile che il Parlamento sia stato scavalcato; inaccettabile che nulla si sapesse circa l'utilizzo di ben 85 miliardi di dollari per la AIG; mancanza di una strategia coerente per affrontare la crisi; inaccettabile che i problemi non fossero stati compresi ed affrontati per tempo dalla vigilanza; Fed connivente o, addirittura, succube delle grandi banche di Wall Street. Tutte queste accuse le sentiamo fare anche oggi a proposito di un intervento da 5 miliardi, non da 85 o da 700 miliardi.

Barack Obama, allora candidato democratico alla Presidenza, non si unì alle critiche di comodo e, a fine 2008, appena eletto Presidente, cioè un mese dopo, scelse come Ministro del tesoro proprio quel Tim Geithner che, in qualità di presidente della Fed di New York, aveva gestito in prima persona tutte le crisi bancarie; e, nel gennaio del 2010, rinnovò il mandato a Bernanke come presidente della Fed.

Queste scelte costarono molto ad Obama in termini di reazioni populiste: Obama fu accusato di essere il Presidente dei banchieri e lo stesso movimento “Occupy Wall Street” nacque negli Stati Uniti l'anno dopo ed era rivolto, in principio, proprio contro l'amministrazione Obama, anche se poi si allargò a molti altri Paesi. In realtà, quella di Obama, con il senno di poi, fu una scelta lungimirante e coraggiosa, perché Geithner e Bernanke, ottimi banchieri centrali, avevano le conoscenze giuste per affrontare e risolvere la crisi, cosa che poi fu fatta per fortuna di tutti noi.

Oggi sappiamo che, se dopo il fallimento di Lehman le altre grandi banche non fossero state salvate, la crisi mondiale avrebbe avuto conseguenze ancora più nefaste di quelle, già terribili, che abbiamo sperimentato. Auspico che anche in Italia, alla fine, prevalga la saggezza di Obama o che, comunque, si facciano analisi serie e scevre di pregiudizi nei confronti del nostro Governo e delle nostre autorità.

Queste considerazioni sugli Stati Uniti mi aiutano anche a rispondere a quella che è l'accusa più pesante che una parte del Parlamento rivolge oggi al Governo: di aver messo, cioè, il Parlamento di fronte al fatto compiuto e di non aver dato, quindi, al Parlamento la possibilità nel tempo per modificare il decreto. Questo è un problema reale, ma vorrei dire che è un problema che si è posto sempre e ovunque nei casi di crisi bancarie. Ripeto: nel momento in cui emerge la crisi, essa va risolta immediatamente.

Aggiungo un'altra considerazione: è quasi impossibile risolvere una grave crisi prima che essa esploda. Molti oggi dicono - anche qui, il senno di poi - che si sarebbe dovuto intervenire molto prima sull'intero sistema bancario, comunque prima che entrassero in vigore le norme sugli aiuti di Stato, come fecero Germania, Spagna ed altri. Può darsi, ma l'esperienza di questi anni ci dice in modo del tutto inequivocabile che i Governi riescono ad intervenire mettendo soldi pubblici nelle banche solo quando la crisi è conclamata e sotto gli occhi di tutti. Solo allora l'opinione pubblica, forse, capisce che l'intervento è necessario.

Gli USA non avrebbero mai fatto questo senza il crollo di Lehman, lo stesso vale per la Germania, l'Olanda, il Regno Unito e tanti altri. Noi non avevamo, a differenza di altri, una crisi sistemica: avevamo focolai di crisi che avrebbero potuto ingenerare una crisi sistemica, il che è molto diverso.

Ricordo, inoltre, che gli unici interventi che furono fatti prima del 2015 in Italia furono i Tremonti e, poi, i Monti-bond per il Monte Paschi di Siena e che questi interventi sono stati usati ampiamente, ancora oggi vengono usati, nella polemica politica per dire che il Partito Democratico è intervenuto per salvare la sua banca; il che è falso, come è falso quanto si dice su Banca Etruria, che pure non ha ricevuto un euro, ha visto sanzionati i suoi amministratori, è stata commissariata e, infine, messa in risoluzione. Chissà quale sarebbe stato il favore nei confronti di questa banca?

Aggiungo che, nel caso dell'Italia, si sarebbe dovuto fare come in Spagna, dichiarando che la crisi era sistemica, attingendo al Meccanismo europeo di stabilità (MES o ESM) e sottoponendoci al programma imposto dalla cosiddetta troika. Non so quanti in questo Parlamento avrebbero approvato una scelta del genere, quanti fra coloro che oggi dicono che la crisi avrebbe dovuto essere stata risolta prima.

Essendo il relatore di questo provvedimento in Commissione bilancio, desidero infine chiarire un punto relativo ai conti dell'operazione. Alcuni deputati hanno sostenuto che è irrealistico ipotizzare, come fa la relazione tecnica, un recupero crediti per 9,9 miliardi su 17,8 miliardi di crediti deteriorati. Il problema è che questi colleghi, a mio avviso, confrontano la stima del recupero che si può ottenere nell'arco di molti anni - quella a cui fa riferimento la relazione tecnica - con i prezzi di vendita sul mercato dei crediti deteriorati, che sono del 17-20-25 per cento. Il confronto in questi termini è, dunque, disomogeneo.

Il dato della relazione tecnica è ottenuto sulla base dell'esperienza reale delle banche e della stessa SGA nel caso del Banco di Napoli. Vi sono studi specifici della Banca d'Italia che portano a questo risultato, citati nella relazione tecnica, tenendo anche conto della circostanza che i crediti deteriorati che vengono ceduti alla SGA includono non solo le sofferenze, ma anche le inadempienze probabili per 8,4 miliardi. È sempre legittimo, naturalmente, che il Parlamento discuta delle ipotesi della relazione tecnica, ma se lo si vuole fare, lo si faccia sulla base di dati reali e di confronti omogenei.

Qualcuno ha anche detto che, se questi sono i conti, non si capisce perché le due banche siano state messe in liquidazione: gli amministratori uscenti, quelli che furono scelti dal Fondo Atlante per rimediare ai guasti delle passate gestioni, potevano fare il loro recupero crediti e risanare le banche senza bisogno della liquidazione e dell'intervento di Banca Intesa. Si torna così, di fatto, all'ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale. Il fatto è che questo argomento non ha convinto la vigilanza europea che ha esplicitamente detto che i piani che erano stati sottoposti dalle due banche non erano credibili e perché lo fossero era, comunque, necessario che un investitore privato, come ha ricordato adesso l'onorevole Sanga, fosse disposto a mettere almeno un miliardo; cosa che non è avvenuta.

È certamente, infine, fantasiosa l'idea che si potesse far intervenire il Fondo interbancario di garanzia dei depositi in qualità di investitore privato mentre è in corso una controversia proprio su questo punto presso la Corte di giustizia europea.

Concludo con l'auspicio che, in questo o in altri provvedimenti, a breve si trovi il modo di accogliere almeno due richieste che sono state formulate dal relatore riguardo alla data del 1° febbraio 2016 per le misure di ristoro a favore degli obbligazionisti subordinati e alla possibilità di compensare le minusvalenze su azioni senza dover attendere la conclusione della liquidazione. Il provvedimento va, comunque, approvato nei tempi più brevi possibili al fine di eliminare ogni possibile fonte di incertezza sulla sorte dei tanti stakeholder di queste due banche