Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 13 Marzo, 2024
Nome: 
Claudio Michele Stefanazzi

A.C. 1759

Grazie, Presidente. La vicenda Ilva è strettamente connessa alla storia del nostro Paese, ad una fase di quella storia sinistramente simile a quella che stiamo vivendo in questi anni dall'insediamento del Governo Meloni, durante la quale si immaginò che commissariare il Mezzogiorno e imporre scelte industriali ed economiche da Roma fosse la soluzione ai mali del Sud. I frutti malati di quella stagione continuano a mortificare la vita di un'intera comunità, quella tarantina, costretta dall'odiosa contrapposizione fra salute e lavoro a subire un'ignominia sociale, sanitaria ed economica.

Qualche settimana fa, si è finalmente chiusa la gestione fallimentare di ArcelorMittal e il decreto che oggi esaminiamo è stato adottato proprio per consentire - ci auguriamo - una transizione ordinata verso una nuova gestione commissariale. Abbiamo gridato da quest'Aula e implorato a più riprese che si desse la giusta attenzione su quanto stava accadendo a Taranto.

Oggi, a disastro avvenuto, si esamina un provvedimento che, lo dico subito, non ci convince fino in fondo, non è risolutivo e anzi alimenta ulteriori perplessità e moltiplica le angosce sul territorio. Abbiamo gridato nei mesi scorsi quello che i giudici del tribunale di Milano hanno accertato di recente e cioè l'assoluta assenza di liquidità nelle casse della società. Un dato che abbiamo più volte sottolineato e che ha compromesso, come abbiamo detto in quest'Aula senza essere ascoltati, la continuità aziendale minacciando, temiamo in maniera irreversibile, la sopravvivenza di questa realtà produttiva. Mi permetta, Presidente, di tornare rapidamente sulla inquietante partita che ArcelorMittal ha giocato finora sulla pelle dei tarantini rispetto a un asset strategico come l'acciaio per il nostro Paese. Ho già detto prima nell'intervento nella discussione dell'ordine del giorno che la Commissione europea, quando aveva concesso l'autorizzazione sotto il profilo dell'antitrust ad ArcelorMittal (che ricordiamo è il più importante produttore di acciaio d'Europa) aveva individuato una serie di prescrizioni necessarie, proprio per preservare il diritto della concorrenza. I timori della Commissione erano infatti che ArcelorMittal volesse acquisire Ilva per eliminarla dal mercato, trattandosi del suo più importante competitor in Europa, che si trattasse, come ho avuto modo di dire, di una cosiddetta killer acquisition. Sono anni che gridiamo che il comportamento tenuto da ArcelorMittal successivamente all'acquisizione - tra l'altro, con espressa rivendicazione della volontà di non attuare il piano industriale - conferma e sostanzia i timori che la Commissione aveva al momento in cui ha concesso l'autorizzazione. Agiremo in tutte le sedi perché questa responsabilità venga accertata e perché, grazie alle norme comunitarie, possano essere risarciti i diritti di chi ha avuto un contraccolpo negativo da questa azione predatoria da parte di ArcelorMittal. Però, per il momento, il colpevole ritardo nell'attivare il contenzioso legale lascia sul campo condizioni drammatiche che il territorio e l'acciaieria vivono. L'ex Ilva, come è stato ricordato, produce acciaio per meno di un quarto della sua capacità produttiva, un quantitativo che è assolutamente incompatibile con qualsiasi standard di sostenibilità aziendale, ma che nonostante ciò provoca ancora allarmanti emissioni di sostanze nocive nelle aree, come hanno molto di recente dichiarato anche le autorità che controllano le emissioni di Mittal. Una dimostrazione plastica di tutto ciò che ArcelorMittal non ha fatto nei 5 anni e mezzo di gestione di Ilva, perché uno degli impegni principali che era stato chiesto ad ArcelorMittal sin dall'inizio era proprio mettere in sicurezza l'azienda ed impedire che proseguisse quell'inquinamento della catena alimentare che ha creato un danno senza precedenti nella storia del nostro Paese. Quello che ArcelorMittal avrebbe dovuto fare pur avendo una consapevolezza piena dei dati sull'incidenza delle malattie oncologiche nella popolazione tarantina, quello che Arcelor non ha fatto per impedire che un nuovo nato su 88 a Taranto sia affetto da disturbi dello spettro autistico. Bassa produzione però, ovviamente, anche bassa occupazione. Per tutto questo tempo, ArcelorMittal ha approfittato di ogni centesimo di contributo pubblico per tenere in cassa integrazione migliaia di lavoratori. Una situazione che oggi è diventata insostenibile. A ciò si aggiunge l'incubo che nelle ultime settimane stanno rivivendo le imprese dell'indotto. Più di 150 imprese e altri 4.000 lavoratori che vedono all'orizzonte una nuova scure del nuovo commissariamento, cioè la prospettiva che i 120 milioni di euro di crediti vantati diventino carta straccia, gettando all'aria un pezzo indispensabile dell'economia pugliese e aprendo una nuova crisi sociale in una comunità già martoriata.

ArcelorMittal ha fatto, dunque, il bello e il cattivo tempo in questi anni, gestendo l'Ilva con un'unica preoccupazione: tutelare gli interessi del suo gruppo in Europa. Ora colleghi, diciamocelo tutto, soprattutto ai miei colleghi pugliesi. Nessuno di noi qui dentro è esente da responsabilità in quello che è successo a Ilva e alla comunità di Taranto in questi anni , ma altrettanto francamente dobbiamo riconoscere che il trattamento riservato ad ArcelorMittal negli ultimi 12 mesi è qualcosa che va oltre ogni limite di comprensione.

Perché l'epilogo di questa vicenda arriva così tardi? E perché arriva troppo tardi? Perché per mesi e mesi questo Governo seguiva due linee di pensiero, anziché, una sola, come doveva essere. Perché ai ragionamenti del Ministro Urso, competente per materia, si sono raggiunti, anzi, direi, sovrapposti quelli completamente opposti del Ministro Fitto, un Ministro che proprio non riesce a resistere alla tentazione di mettere bocca su qualsiasi dossier che riguarda questo Paese. Anche in questo caso è riuscito nell'impresa di fallire miseramente (come sta succedendo in tutti i dossier che sta gestendo, peraltro nella sua Puglia), portando avanti una trattativa solitaria con Arcelor di cui, ancora oggi, a distanza di mesi, non conosciamo termini e condizioni e poi facendoci beffare come un principiante dalla bravissima Morselli. Questo vorrei chiedere al collega Bellomo, suo tramite, di informarsi quale sia il contenuto di questo benedetto accordo che Fitto ha sottoscritto, perché, collega, ancora nessuno di noi qui dentro sa che cosa ha promesso il Ministro Fitto ad ArcelorMittal e quanto queste promesse renderanno difficile l'azione legale promossa da Invitalia contro ArcelorMittal. Qual era l'obiettivo del Ministro Fitto? Perché ha consentito, in totale disaccordo con il Ministro Urso, al quale era chiara, invece, la situazione, che si arrivasse a questo punto? Perché si è portata l'azienda a un punto di non ritorno? A vantaggio di chi?

Il nostro sarà un voto di astensione perché questo decreto porta con sé limiti evidenti. Mi riferisco ai 320 milioni di prestito ponte, che non possono assolutamente ritenersi risolutivi, e mi riferisco alla timidezza con cui sono state descritte le norme a sostegno dei lavoratori dell'indotto. Il Partito Democratico ha offerto il suo contributo durante tutto l'esame del provvedimento, portando in Commissione le richieste avanzate direttamente da chi sta subendo tutto questo. Grazie ai nostri emendamenti, questo è un decreto più giusto e lo è perché abbiamo permesso anche alle imprese più piccole di accedere alle misure previste, lo è perché finalmente obblighiamo il commissario a presentare entro 6 mesi un piano industriale chiaro, perché Presidente siamo veramente stanchi, insieme ai tarantini e ai pugliesi, di brancolare nel buio. Il decreto è più giusto anche perché, grazie a noi, consente alla regione Puglia quello che il presidente Emiliano si è offerto di fare. Utilizzare gli avanzi vincolati di amministrazione per dare concretamente una mano alle imprese in difficoltà e non le solite garanzie che in questi anni hanno generato solo ulteriori debiti. Il contributo del Partito Democratico non è però una cambiale in bianco, né un assoggettamento a quanto si sta facendo in queste ore. L'operato di questo Governo, così ondivago e contraddittorio, impone di sorvegliare a vista su quanto si sta facendo e si farà nelle prossime settimane, perché è evidente che questo provvedimento non si avvicina, nemmeno un po', a ciò che ci si aspettava e che era stato a più riprese promesso ai lavoratori e alle imprese coinvolte. Come ancora ragione di sdegno è la scelta di togliere il miliardo di euro di PNRR senza ripristinare questa somma per decarbonizzare gli impianti di Taranto. Insomma, signor Presidente, scriviamo la parola fine su questa storia, lo facciamo insieme, con le comunità locali, con le rappresentanze sindacali, dobbiamo farlo con gli enti pubblici coinvolti, per scrivere insieme il futuro, ci auguriamo, di Taranto. Basta morti a causa di Ilva, basta sofferenze, basta lacrime. La tutela dell'ambiente e della salute non possono essere variabili dipendenti, ma devono tornare a essere diritti inalienabili di ogni cittadino, come vuole la nostra Costituzione . Nella mia mente, Presidente, e in quella di molti della mia generazione è impressa una parte una frase dell'omelia del cardinale Pappalardo, durante i funerali del generale Dalla Chiesa, quando disse, citando Tito Livio, che mentre a Roma si discuteva, Sagunto era espugnata. Ora mi fa un po' strano, Presidente, fare questa dichiarazione di voto, sono molto emozionato, perché io sono stato uno di quelli che in questi anni, insieme a tanti altri ha gridato, spesso in enorme solitudine, dalla Puglia e da Taranto, aiuto al Paese per una situazione tragica, una situazione drammatica, di cui credo, temo, che quest'Aula non capisca la reale portata. Ora siamo nella condizione di dare una svolta a questa situazione e per la prima volta intravedo un percorso che può portare la fabbrica a uscire da questa situazione drammatica e i cittadini di Taranto, finalmente, ad avere una speranza. Siamo seri, siate seri. Non c'è più tempo.