Data: 
Lunedì, 22 Luglio, 2019
Nome: 
Lucia Annibali

A.C. 1913-A

Signora Presidente, Governo, colleghi, il decreto-legge n. 53 del 2019, cosiddetto “sicurezza bis”, all'esame oggi dell'Aula, è un provvedimento con ogni evidenza - lo abbiamo detto - incostituzionale, che si pone in palese contrasto con il diritto internazionale, che in larga parte servirà soltanto ad alimentare e a promuovere l'ennesima propaganda. Un provvedimento particolarmente odioso nei suoi primi articoli, il cui contenuto, se possibile, è persino peggiorato nel corso della sua trattazione nelle Commissioni congiunte affari costituzionali e giustizia. Sono tre i pilastri fondamentali di cui si compone: contrasto all'immigrazione illegale, ordine e sicurezza pubblica; potenziamento dell'efficacia dell'azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza; contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive. Ma prima di entrare nel merito dei contenuti vorrei dire subito, anzi ribadire, che il Partito Democratico considera questo provvedimento nel suo complesso sicuramente inaccettabile, sia nel merito che nel metodo. Quanto al metodo: ancora una volta, nel passaggio in Commissione abbiamo assistito a gravi strappi regolamentari volti a impedire alle opposizioni di svolgere serenamente il loro ruolo. Le proposte emendative del Partito Democratico - l'abbiamo già detto - sono state respinte, non si è tenuto in alcun conto dei rilievi mossi da giuristi, professori, UNHCR, Garante dei detenuti e sindacati delle forze dell'ordine, tutti molto critici con l'impianto del provvedimento. Non sono state ascoltate le organizzazioni non governative, le destinatarie principali di questo decreto: Tavolo Asilo, Medici Senza Frontiere, Open Arms, Mediterranea e Antigone non sono intervenuti in Commissione in solidarietà a Sea-Watch, esclusa dall'audizione - lo sappiamo - in seguito alle proteste della Lega. Questo è un altro strappo senza precedenti, che ha segnato l'iter di questo provvedimento, un atteggiamento della maggioranza, ancora una volta, arrogante e sordo, che ha spinto - lo sapete - il Partito Democratico ad abbandonare i lavori delle Commissioni, lavori condizionati pesantemente da pressioni esterne che hanno impedito un esame del provvedimento scevro da polemiche. Veniamo al merito delle misure contenute.

Abbiamo detto che i primi due articoli rappresentano sicuramente il cuore e il manifesto politico del Governo, o meglio del Ministro dell'interno, disposizioni che continuano a reiterare l'equazione che assimila problemi di sicurezza interna al tema delle migrazioni, che denotano tutti i limiti dell'attuale Governo nella gestione del fenomeno migratorio, che richiederebbe uno sforzo legislativo lungimirante e sistematico in termini di programmazione, gestione e integrazione dei migranti e che invece sconta la totale assenza di un approccio strategico a livello nazionale ed europeo e si affida a norme illegittime inefficaci, come quelle che stiamo appunto discutendo. Misure che sicuramente non daranno più sicurezza, ma che, al contrario, alzeranno il livello dello scontro politico, creando confusione tra ambito amministrativo e penale. Un decreto che si accanisce contro le ONG, lo abbiamo capito, quando è invece evidente che i problemi sono altri. E ce lo dicono con chiarezza i dati elaborati dall'Ispi, diffusi nei giorni scorsi da Il Post. Leggo testualmente e ripeto: nel 2019 sono sbarcati in Italia 3.073 migranti. Soltanto 248 sono arrivati a bordo delle navi delle ONG; circa l'8 per cento, quindi. Il 92 per cento del totale sono arrivati con modalità meno visibili o, perlomeno, meno raccontate, in maniera completamente autonoma, attraverso i cosiddetti sbarchi fantasma, quindi quegli sbarchi che avvengono a bordo di gommoni o piccole imbarcazioni difficilmente individuabili oppure in maniera semi autonoma. E parliamo soprattutto di piccole barche arrivate fino ai confini delle acque italiane e poi trainate in porto dalle navi delle autorità italiane.

Gli sbarchi fantasma, allora, sono pericolosi, perché una parte importante di questi sono gestiti dalla criminalità organizzata, non solo straniera, ma anche italiana, e spesso sono associati a traffici illeciti di armi, sigarette, droga. Una parte consistente delle persone che arrivano non sono conosciute e non vengono identificate. Ce lo ha ricordato con molta chiarezza anche il procuratore Patronaggio, audito in Commissione, secondo il quale il pericolo maggiore per la sicurezza pubblica non arriva tanto dai gommoni che vengono dalla Libia, ma è costituito dai cosiddetti sbarchi fantasma, sia per la composizione etnica di questo tipo di immigrazione sia perché i barchini fantasma, che in genere provengono dalla Tunisia, portano soggetti che hanno problemi giudiziari nel loro Paese e che astrattamente potrebbero avere problemi giudiziari anche in relazione ad attività di terrorismo svolte a favore dell'Isis.

E allora un decreto sicurezza degno di questo nome forse di questo si dovrebbe occupare. Ma che il Governo non si trovasse nella necessità di adottare misure talmente urgenti da risultare incompatibili con il normale svolgimento dell'iter legislativo parlamentare lo ha confermato innanzitutto, e direi anche paradossalmente, proprio il Ministro dell'Interno, il quale, nella conferenza stampa successiva al Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto, ha evidenziato che, sulla base dei dati in possesso del Viminale, si registra attualmente un'importante riduzione degli sbarchi di stranieri irregolari, così come delle richieste di asilo politico e delle presenze nei centri per l'immigrazione sul territorio. Sempre i dati del Viminale rilevano una diminuzione dei reati che normalmente destano allarme sociale, come furti, rapine e omicidi. Dati, allora, che allineano il nostro Paese alle statistiche dei Paesi europei comunemente ritenuti sicuri. E allora, analogamente a quanto è stato osservato rispetto al primo decreto sicurezza, anche questo nuovo intervento risulta ispirato da finalità tra loro eterogenee, tenute insieme soltanto da generici riferimenti all'ordine pubblico e alla sicurezza pubblica che, proprio per la loro vaghezza, non soddisfano in alcun modo i requisiti di specificità ed omogeneità richiesti per la decretazione d'urgenza. In effetti - ce lo ha ricordato anche il collega Paolini - questo decreto si occupa di passaggio di navi, immigrazione, modifica del codice penale, esecuzione di sentenze penali, universiadi, rimpatri, violenza sportiva, manifestazioni pubbliche, intercettazioni e molto altro; insomma, di tutto e di più.

I primi due articoli, dicevamo, rappresentano il nocciolo dell'operazione di propaganda sulla chiusura dei porti italiani; disposizioni che criminalizzano comportamenti che sono, invece, coerenti con i principi costituzionali e la normativa internazionale. L'obbligo di salvare persone in mare e portarle in un porto sicuro non può essere cancellato da una legge nazionale. Una norma di rango primario, come il decreto-legge che noi esaminiamo, non può porsi in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia. Allora, sul punto molte cose si potrebbero dire e molto è già stato detto. Mi limito a ribadire, anche per i colleghi giuristi presenti in Aula, che chiudere i porti confligge con il necessario rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia; obbligo, questo, previsto dalla nostra Costituzione all'articolo 117. E allora questo vuol dire che, nonostante l'entrata in vigore del decreto sicurezza bis, il nostro Paese dovrà comunque continuare a rispettare le norme convenzionali sul soccorso e il salvataggio delle persone in mare; che nulla cambia in ordine al dovere per ciascun comandante di nave di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo e di procedere, quanto più velocemente possibile, al loro soccorso, come stabilito tanto dalla Convenzione sul diritto del mare quanto dalla Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare.

Ancora, che nulla muta in ordine al dovere per il nostro Paese di offrire, quando le condizioni lo richiedano, un porto di approdo sicuro alla nave che ne faccia richiesta, essendo da escludere, allo stato, che la Libia possa essere considerata un porto di approdo sicuro. E ancora, che dovremo continuare a rispettare le norme convenzionali previste dalla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati. E ancora, saremo chiamati a rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che protegge il diritto d'asilo; diritto fondamentale, peraltro, tutelato anche dell'articolo 10, comma 3, della nostra Costituzione e che vieta le espulsioni collettive e le espulsioni verso Paesi in cui lo straniero sia esposto al rischio di pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti. E allora, alla luce di quanto detto fino adesso, il provvedimento in titolo appare evidentemente, allo stato, sostanzialmente disapplicabile in via interpretativa dai giudici.

E le stesse conclusioni, le stesse osservazioni - le ricordava il collega Ceccanti - sono state svolte dal Comitato per la legislazione, che ha confermato che il provvedimento non potrà che essere disapplicato secondo un'interpretazione conforme alla Costituzione. La maggioranza, allora, più coerentemente avrebbe dovuto dichiarare che le convenzioni internazionali in materia debbono essere modificate e avere il coraggio di intervenire su tale aspetto. Il decreto-legge in esame - lo abbiamo detto inizialmente - non si limita soltanto alla chiusura dei porti per fermare la tanto sbandierata invasione, che invece non c'è, come ha certificato lo stesso Ministro dell'Interno, ma all'articolo 2 del decreto - anche questo è stato detto - si prevedono sanzioni economiche abnormi nei confronti degli operatori che, dopo il soccorso in mare, accompagnano i migranti nei pressi delle nostre coste e l'ingresso dei nostri porti; sanzioni che sono state portate fino alla cifra, abbiamo detto, di massimo un milione di euro.

La sanzione amministrativa piuttosto onerosa si aggiunge alle sanzioni penali quando il fatto costituisca reato, verosimilmente quello di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare. Peccato che, come hanno rilevato tutti gli auditi, questa duplicazione sanzionatoria si ponga in conflitto con il divieto del ne bis in idem, sancito dall'articolo 649 del codice di procedura penale, dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dall'articolo 4, protocollo 7, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Vale forse la pena di nuovo sottolineare che, per quanto riguarda la ONG che compie un'operazione di salvataggio, fino a questo momento le indagini condotte non hanno mai prodotto riscontri su connessioni o accordi con i trafficanti di esseri umani. Va precisato, se non altro per amore di verità, che, a dispetto di quanto sostiene la propaganda governativa, la loro presenza non rappresenta un incentivo, cosiddetto pull factor, a partire e intraprendere un viaggio in mare. Questo è smentito dai dati da numerose dichiarazioni. La presenza di navi nel Mediterraneo non rappresenta un fattore di attrazione; i migranti sono spinti da tanti altri fattori, tra cui il principale è il deterioramento delle condizioni di vita in Libia.

Passando, poi, velocemente alle norme in materia di ordine e sicurezza pubblica, possiamo ribadire ancora una volta che questo decreto rischia con ogni evidenza di minare il diritto dei cittadini a manifestare. Le manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico diventano così una sorta di aggravante generale per i reati commessi contro pubblici ufficiali. L'intento sembra quello di voler criminalizzare in modo ingiustificato condotte già sanzionate dal codice penale soltanto per la circostanza di essersi verificate nel corso di manifestazioni, ovvero nel momento in cui i cittadini esercitano un diritto costituzionalmente garantito che è la libera manifestazione del pensiero. Nel complesso, quindi, questo sottopacchetto di disposizioni si connota per un surplus di afflittività rispetto a fatti di reato commessi nel corso di manifestazioni, di cui oggettivamente si fa fatica a individuare una ratio, se non quella di un valore politico simbolico. Concludendo, allora, questo decreto sicurezza omnibus è per il Partito Democratico da respingere nella sua quasi totalità per motivi di metodo, ma, soprattutto, per motivi di merito, per le norme che introduce.

Siamo di fronte, ancora una volta, all'ennesima pessima legge incostituzionale, dannosa e in molte sue parti inapplicabile, mossa con ogni evidenza da un intento persecutorio nei confronti delle ONG che fanno salvataggi in mare, identificate come il nemico pubblico numero uno. Governo e maggioranza, evidentemente, non vogliono la sicurezza del Paese, ma, al contrario, vogliono costruire un nemico con una narrazione che è ridicola, considerato che il numero di salvataggi effettuati dalle ONG rappresenta un dato statisticamente non significativo. Ma la cosa più grave è che questa operazione mediatica è fatta per distogliere l'attenzione sulle più gravi responsabilità del Ministro Salvini e del suo partito, per i quali la sicurezza nazionale evidentemente è un concetto a geometria variabile.