A.C. 3134
Grazie, Presidente. I pensionati sono persone serie; io li conosco e sanno valutare. Per quello che compete a noi qui, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 65 del 2015 si propone di dare, appunto, applicazione alla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, ripristinando il rispetto dei principi costituzionali violati dal comma 25 dell'articolo 24 del decreto-legge cosiddetto «salva Italia», definendo, con un nuovo meccanismo di rivalutazione dei trattamenti complessivamente superiori a tre volte il minimo per gli anni 2012-2013, un corretto bilanciamento con le esigenze di finanza pubblica. La Consulta ha più volte ammesso la legittimità di interventi legislativi che incidano sull'adeguamento degli importi dei trattamenti pensionistici, sia pure nell'osservanza dei principi costituzionali di proporzionalità e adeguatezza delle pensioni. La sentenza n. 70 del 2015, dunque, non comporta di per sé la corresponsione della perequazione, che sarebbe stata riconosciuta se si fosse applicata la normativa previgente, prevista dalla legge n. 388 del 2000. Quale intervento legislativo allora e perché ? In sintesi le obiezioni contenute nel pronunciamento della Corte al «salva Italia»: avere escluso del tutto la rivalutazione di pensioni oltre un certo importo, non aver previsto alcun criterio di progressività, avere penalizzato trattamenti di importo medio-basso, avere ridotto il carattere eccezionale della misura e determinato una perdita costante nel tempo, avere motivato il blocco con il richiamo generico a esigenze finanziarie non illustrate nel dettaglio.
Quei provvedimenti furono disposti in una situazione particolarmente difficile dell'economia mondiale, che in Italia, insieme agli errori di coloro che avevano governato e a mali antichi del nostro Stato, aveva portato a un arretramento pesante dell'economia e del lavoro e anche a rilevanti rischi per i conti pubblici. Si attuarono una serie di manovre finanziarie in un quadro di regole dell'Unione europea restrittive e improntate ad un austerità ben più attenta al rigore dei conti pubblici che alle esigenze dello sviluppo e della protezione sociale, e tra quelle manovre il blocco dell'adeguamento delle pensioni, che si è dimostrato non rispettoso dei principi costituzionalmente tutelati.
Il decreto-legge n. 65 del 2015 si propone di ripristinare il rispetto di quei principi e, contemporaneamente, di avere riguardo per le conseguenze finanziarie sui conti pubblici che deriverebbero dalla semplice abrogazione delle norme del 2011, per evitare che questo passaggio possa, a sua volta, determinare un danno e una violazione dei diritti sostanziali per i cittadini, compresi gli stessi anziani. Pensiamo a cosa significherebbe la riapertura di una procedura per deficit eccessivo o l'impossibilità di usufruire della cosiddetta clausola di flessibilità o l'attivazione delle cosiddette clausole di salvaguardia, che prevedono l'aumento dell'IVA. Il provvedimento e la relazione illustrativa non contengono, quindi, un richiamo generico alla contingente situazione finanziaria che la Corte ha contestato alla norma del 2011; con l'esborso stimato di oltre 17 miliardi e mezzo netti nel 2015 e 4,5 circa dal 2016, si ridurrebbero significativamente anche i margini di intervento per misure a sostegno della crescita, a tutela delle fasce più svantaggiate della popolazione ed anche per la modifica di quelle altre parti della manovra Fornero sulle pensioni, che stanno dimostrando anch'esse, pur in assenza di una pronuncia della Corte, carattere di iniquità.
Quanto al merito del provvedimento, oltre a confermare la rivalutazione al 100 per cento dei trattamenti sino a tre volte il trattamento minimo, si prevede per i trattamenti da tre a quattro volte il minimo una rivalutazione più significativa rispetto alle fasce superiori. La Corte nella sentenza sottolinea che è in particolar modo dall'interesse dei pensionati titolari di trattamenti previdenziali modesti che deriva il diritto costituzionalmente fondato ad una prestazione previdenziale adeguata, e questo è stato irragionevolmente sacrificato e a questo dà risposta il decreto n. 65 del 2015. Per le fasce superiori si ristabilisce una forma di progressività, almeno per una quota la rivalutazione automatica è riconosciuta anche per gli anni successivi, entrando nella base di calcolo per future rivalutazioni. Non siamo in presenza di una sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo e non si tratta di un rimborso forfettario né di un risarcimento, ma della somma di arretrati che maturano sulla base di questa nuova forma di perequazione.
Riguardo alle obiezioni sul fatto che il decreto disattenderebbe i principi e le regole di contabilità e finanza pubblica, restano fermi i livelli del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato fissati dalla legge di stabilità del 2015, anche utilizzando il margine di miglioramento tendenziale evidenziato nelle stime del DEF. Un'applicazione integrale della normativa previgente, quella sì, avrebbe creato un serio pregiudizio alla possibilità di rispettare l'articolo 81 della Costituzione, del quale pure la Consulta è custode. Ci sono, quindi, tutte le condizioni per respingere le pregiudiziali di costituzionalità del provvedimento in esame, sulle quali dichiariamo il voto contrario del gruppo del Partito Democratico. Il Parlamento entrerà poi nel merito del decreto e potrà migliorarne i contenuti per confermare e rafforzare un'impostazione equa e insieme attenta alle esigenze della finanza pubblica.