Discussione generale
Data: 
Venerdì, 27 Ottobre, 2023
Nome: 
Anthony Emanuele Barbagallo

A.C. 1416-A

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Sottosegretaria Siracusano, oggi arriva all'esame dell'Aula quello che sarebbe più giusto definire non come decreto Sud, ma come decreto contro il Sud. Nel suo primo anno, il Governo targato Meloni-Salvini, ha cancellato una serie di strumenti di sostegno a cittadini, comuni e imprese, che avevano permesso al Mezzogiorno, nel momento più difficile, quello della pandemia, di tenere, in un clima di coesione sociale. Un Governo non contro la povertà, ma contro i poveri, è stato più volte definito dal nostro partito in queste settimane: è quel Governo che ha colpito milioni di percettori del reddito di cittadinanza e, quindi, milioni di disoccupati e di lavoratori sottopagati.

Dopo il differimento dei termini del PNRR e il definanziamento dello scorso luglio di 15 miliardi di interventi del PNRR a favore dei comuni, adesso arriva la stretta su aree interne, Fondo di sviluppo e coesione e un perentorio colpo di spugna alle ZES. Salta, infatti, completamente la territorializzazione degli interventi. Le ZES, per come introdotte nella scorsa legislatura, signor Presidente, garantivano l'ammissibilità della fiscalità di vantaggio e, quindi, del credito d'imposta anche per i piccoli e medi interventi, in una serie di aree specificamente individuate a seguito di una procedura partecipata con il diretto coinvolgimento di regioni e di enti locali. Venne garantita la territorializzazione delle risorse verso aree di sviluppo, come porti, aeroporti, interporti, aree artigianali e industriali. Un disegno frutto della concertazione e, francamente, anche della democrazia. Per quanto riguarda, ad esempio, la regione più importante del Sud, la Sicilia, la perimetrazione avvenne con un decreto a lungo atteso, dopo una concertazione di anni tra sindaci, amministrazioni locali, forze politiche e forze sociali, che alla fine culminò nel decreto dell'assessore regionale del tempo.

Con l'ennesimo tandem decreto-legge/fiducia, invece, adesso, il Governo nazionale cancella tutto per imporre un modello centralistico e assolutamente discrezionale: centralistico perché viene prevista una sola ZES per tutto il Mezzogiorno, con sole 84 unità tra dirigenti ed esperti per gestire tutta la selezione degli interventi e la relativa attribuzione delle risorse, con una procedura di assegnazione delle risorse che dura sostanzialmente 60 giorni, ivi compreso il termine per l'autorizzazione ambientale e per la dichiarazione di pubblica utilità. Non siamo più nel dibattito “semplificazione sì, semplificazione no”, ma certamente quello di 60 giorni è un termine che cozza con un'istruttoria minima per interventi di questa portata. E perché cozza? Perché il segnale vero che si vuole dare al Paese è che non c'è più meritocrazia, c'è certamente un imbuto che aumenterà caos e burocrazia e verranno finanziati i progetti degli amici o degli amici degli amici, come si suole dire in questi casi.

Un altro aspetto fortemente negativo, a nostro giudizio, è che espressamente saranno ammissibili soltanto gli interventi superiori ai 200.000 euro. Salta, quindi, completamente l'accessibilità diffusa degli investimenti per le piccole e medie imprese, ivi compreso il settore dell'artigianato e del commercio, che era stata proprio una caratteristica precipua delle ZES, prevista proprio per dare sostegno al piccolo imprenditore o alla media impresa che avevano la possibilità, utilizzando le ZES, di individuare un'area, ottenere il credito d'imposta e collegare direttamente quell'area alle infrastrutture come porti e aeroporti, in modo da garantire lo scambio delle merci.

Nessuna garanzia, inoltre, per gli interventi che hanno ottenuto fino adesso una prima ammissibilità. Abbiamo ricercato più volte nel testo una parola rassicurante, ma non abbiamo trovato nemmeno un rigo che dia certezza a quegli imprenditori che, fino adesso, avevano investito sulle ZES e ottenuto contatti rassicuranti, lettere, riscontri o un avvio confortevole del procedimento. Salta anche completamente il principio di sussidiarietà, dato che non vengono coinvolti né le regioni, né i comuni.

Anche sul tema del lavoro, la scelta di questo provvedimento è nefasta: non vi è alcuna stabilizzazione per i precari che in questi anni avevano lavorato nelle ZES, né alcun percorso per la valorizzazione delle competenze. E ci chiediamo in quest'Aula oggi: ma che Stato è quello che non garantisce il personale che ha formato, che non garantisce i percorsi che ha avviato, che non garantisce altresì i finanziamenti che ha promesso?

Il testo oggi all'esame dell'Aula è l'ennesima spallata vera alla credibilità del Governo.

Un'altra parte consistente del decreto-legge è quella relativa al Fondo sviluppo e coesione. Con una sola norma vengono assestati tre colpi ferali al Mezzogiorno. Innanzitutto, salta la certezza della distribuzione dell'80 per cento del Fondo sviluppo e coesione al Sud. A nostro giudizio, infatti, l'articolato sistema degli accordi di coesione, unitamente alla minaccia del definanziamento per il mancato rispetto del cronoprogramma e il diretto sostegno delle iniziative, a titolarità del Governo nazionale, anche in aree che non sono riconducibili direttamente al Mezzogiorno rappresentano un preavviso di scippo al Sud. La narrazione per cui il Sud non è in grado di spendere le risorse, quindi le destiniamo ad interventi a titolarità è l'assurdo corollario che sta alla base del testo ed è l'argomento con cui il Mezzogiorno negli anni si è visto distrarre proprie risorse. Serviva, in questo tempo, l'esatto opposto. Serviva aiutare le amministrazioni a rispettare il cronoprogramma, dotandole di personale adeguato, di professionalità, di strumenti agili, di procedure di gara trasparenti e di imprese qualificate.

Ed ancora, nessuna garanzia di copertura dei progetti avviati con il PNRR e definanziati dal Ministro Fitto lo scorso 27 luglio. Mancano, come dicevamo all'inizio, oltre 15 miliardi. Questo argomento, o meglio, questo taglio è stato anche al centro del dibattito di questi giorni da parte di tanti amministratori all'Assemblea annuale dell'ANCI, a Genova. I comuni che non sono stati coinvolti nella revisione e che, anzi, si ritrovano a subirla, cogliendo lo spirito riformatore del PNRR, hanno investito nel rapporto di fiducia con lo Stato, credendo nello Stato, investendo le proprie risorse e le proprie iniziative e azioni con il personale a disposizione, bandendo le gare e mandando avanti progetti, e oggi si ritrovano con un pugno di mosche in mano. Questa doveva essere l'occasione per garantire certezze ai comuni e certezze in ordine al recupero dei 15 miliardi, e invece neanche un rigo.

Ancora, nessuna verifica - e questa doveva essere l'occasione per farla - della circostanza che, a seguito del differimento del PNRR e dello storno del 27 luglio, venga garantito comunque il 40 per cento delle risorse al Sud. L'impressione che abbiamo è che in questo valzer tra spostamenti e differimenti - è un po' il gioco delle tre carte - sia saltato certamente il limite, la previsione del 40 per cento e al Sud con il PNRR andrà di meno. Noi, questo, Presidente, non lo permetteremo. In quest'Aula e fuori dall'Aula faremo una battaglia per controllare, centesimo per centesimo, le risorse che spettano al Mezzogiorno e non andremo indietro di un millimetro.

E ancora, tra i tagli al Sud che prevede il testo, c'è quello per noi più doloroso: saltano, infatti, completamente i 300 milioni per la valorizzazione dei beni confiscati alla mafia. Signor Presidente, lo scorso anno abbiamo ricordato i 40 anni dall'approvazione della legge Rognoni-La Torre, quella legge frutto dell'intuizione di Pio La Torre e che gli costò la vita. Celebriamo l'ennesimo scivolone del Governo, invece, sui temi della legalità.

C'è un calo preoccupante nella lotta alla mafia e lo denunciamo dall'inizio di questa legislatura. Non è soltanto il tema dei provvedimenti che si votano, in questo settore è anche il segnale che diamo al mondo della criminalità organizzata. Sui beni confiscati alla mafia, il pugno deve essere durissimo. L'azione dello Stato deve essere ferma e inflessibile. Il Governo avrebbe dovuto sancire che quelle risorse non si toccavano, anzi avrebbe dovuto sancire che si spendevano subito in luoghi certi. Invece, condiamo questo storno delle risorse e dei beni confiscati alla mafia con un bel codice degli appalti che consente subappalti a cascata e affidamenti diretti. Sono veramente segnali preoccupanti.

Ma proprio perché questo è il segnale peggiore, al peggio non c'è fine, perché l'80 per cento dei beni confiscati alla mafia si trova nella mia regione e ci saremmo aspettati, in queste ore, un sussulto, una richiesta, un'istanza o, almeno, un comunicato del presidente della regione, Schifani, che era tenuto a difendere la dignità della sua terra e della sua isola. E invece, l'ennesimo silenzio che per noi è assordante.

L'articolo 17 del testo poi - vado verso le conclusioni - tratta il tema del servizio idrico. Anche qui ci saremmo aspettati che il Governo e l'intervento normativo facessero chiarezza sulle tante zone d'ombra nelle gestioni del servizio idrico al Sud. All'articolo 17, invece, addirittura, al comma 2, si consente la possibilità che una partecipata dello Stato, la SACE, garantisca le cauzioni delle imprese private per la regolare esecuzione di contratti pubblici. Insomma, usiamo le risorse dello Stato per dare una mano alle imprese private. Con questa stessa premura perché il Governo non interviene sugli 11 gestori del catanese che, senza gara, gestiscono il servizio idrico, lucrando profitti e capitale? Ancora, perché il Governo non interviene con la stessa solerzia sui temi che riguardano la Calabria, la Sicilia e l'altra parte del Mezzogiorno a proposito dei ritardi sulla rete fognaria e sui depuratori, che ogni mese ci costano sanzioni salatissime?

Su Lampedusa il collega Ricciardi ha fatto un intervento, trattando degli aspetti che riguardano il tema dei migranti. Noi dall'inizio della legislatura abbiamo più volte chiesto risorse e risarcimenti per le imprese che fanno turismo, fanno accoglienza, risorse per gli edifici pubblici a Lampedusa. Finalmente arriva, dopo 12 mesi, un segnale da parte del Governo ma c'è un grande assente sull'articolo che riguarda Lampedusa e il grande assente sono i trasporti. Sapete - lo dico ai rappresentanti del Governo - che oggi, per andare, ad esempio, a Linosa non basta un giorno di viaggio, perché l'aliscafo e la nave non partono con la coincidenza e bisogna pernottare a Lampedusa? Lo sapete che, spesso, non si può andare a Lampedusa e fare ritorno nello stesso giorno perché non c'è l'aereo di ritorno e bisogna per forza dormire una notte a Lampedusa? La situazione dei trasporti verso Lampedusa e Linosa è un disastro, condita da navi che sembrano quelle di 2 secoli fa, e certamente questo tema, quello dei trasporti, avrebbe dovuto essere affrontato con priorità. Ci preoccupa pure questo occhiolino strizzato contro le procedure ambientali. Lampedusa e Linosa non si toccano, c'è una storia di aree marine naturali protette, di lotta delle associazioni ambientaliste. Cancellare con un colpo di spugna le previsioni e le tutele ambientali certamente non può essere meritevole di apprezzamento.

Un altro taglio dolorosissimo è quello per le aree interne. Vengono eliminati 725 milioni per infrastrutture sociali e per le infrastrutture di comunità, in sostanza, le risorse per la tutela dei minori, per la tutela degli anziani e delle fasce più deboli nelle aree più fragili del nostro Paese.

Concludo, signor Presidente. Il provvedimento battezzato decreto Sud, a nostro giudizio, è un provvedimento che, come già accaduto con il decreto Lavoro dello scorso maggio, contraddice la sua denominazione e nei fatti fa l'esatto opposto. È un provvedimento iniquo e dannoso, che acuisce le diseguaglianze fra Nord e Sud ma anche quelle tra aree metropolitane e aree interne, non soltanto in termini di distribuzione delle risorse ma anche per i servizi e le opportunità, quelle opportunità che meritano le giovani generazioni del Mezzogiorno, troppo spesso tradite dai Governi del Paese e che, ahimè, oggi subiscono l'ennesimo oltraggio.