C. 4595
Grazie, Presidente. Dicevo, sono convinto che questo esame in Assemblea possa costituire un'ulteriore occasione per chiarire i diversi aspetti e riportare il dibattito sui binari della correttezza, pur nella legittima diversità di opinioni tra i vari gruppi parlamentari.
Voglio ricordare che questo decreto-legge ha iniziato il suo iter al Senato, nell'altro ramo del Parlamento, ed è stato un percorso lungo e articolato: ben 40 giorni di esame in Commissione ed in Aula. Obiettivamente, oggettivamente, rispetto al tempo che abbiamo avuto a disposizione alla Camera, il Senato ha avuto la possibilità di approfondire il provvedimento in molti suoi aspetti: sono stati approvati numerosi emendamenti, ed è stato modificato il testo rispetto alla versione iniziale. E tutto questo, voglio ricordarlo perché è molto importante, senza ricorrere al voto di fiducia: sapete bene quanto sia importante raccogliere una maggioranza in quel ramo del Parlamento. Ed è stato quindi un dibattito vero, è stato un dibattito parlamentare, dove tutti hanno potuto esprimersi, a volte anche con delle espressioni un po' colorite, come avete potuto ascoltare; ma sicuramente è stato un dibattito parlamentare vero, pur con le diverse espressioni e le diverse posizioni. Ed inoltre, il provvedimento al Senato è stato votato da una maggioranza più ampia della maggioranza che sostiene il Governo.
Il secondo elemento che voglio sottolineare è che, quando il provvedimento è stato trasmesso alla Camera, la Commissione affari sociali ha svolto ugualmente un esame molto ampio: certamente con un periodo minore a disposizione rispetto al Senato, ma in maniera molto intensa. Le giornate di domenica, lunedì e martedì hanno permesso un ulteriore confronto con il Governo, il Ministro, i sottosegretari hanno partecipato a questa discussione: oltre venti ore di discussione generale e di discussione sugli emendamenti. Quindi un ampio spazio alla discussione, anche alla verifica e al confronto sulle proposte emendative. Il testo così come quindi è stato mandato all'Aula di oggi, è lo stesso identico testo che è stato approvato al Senato.
Questo testo ovviamente potremmo dire che astrattamente potrebbe essere migliorabile, perfettibile: qualunque legge e qualunque provvedimento è perfettibile e migliorabile. Ed è credo però legato ad un nuovo punto di equilibrio, un punto di equilibrio che, vista la situazione data, viste le condizioni di partenza, credo che sia opportuno non alterare. È questo punto di equilibrio che noi ovviamente vogliamo oggi ribadire qui in Aula. Quindi non è solo, semplicemente, meramente una questione di tempi, come è stato riportato durante il dibattito in Commissione, legata alla scadenza del decreto-legge, come è stato detto da altri, ma è soprattutto legato alla volontà di non modificare il testo di un provvedimento al quale si riconosce una grande importanza.
Vengono quindi a questo punto le ragioni che hanno spinto alla necessità di emanare questo decreto-legge. Prima di tutto voglio ricordarvi… Lo dico anche come medico, come medico specializzato in medicina preventiva, epidemiologo, dove l'abbiccì della medicina preventiva parte proprio dall'insegnamento del valore straordinario della prevenzione primaria e dell'attività di vaccinazione.
La vaccinazione è quindi un contesto di sanità pubblica: l'immunizzazione di un soggetto non è solo un vantaggio al singolo soggetto, ma determina un beneficio per l'intera comunità. Infatti le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, delle società scientifiche, del mondo della scienza in generale, fanno sempre riferimento alla possibilità di raggiungere un livello di protezione così ampio e così importante, perché il virus, il microrganismo, il batterio possa non circolare all'interno della comunità. Ecco che appunto viene definita per questo motivo un interesse di sanità pubblica.
La vaccinazione rappresenta quindi un atto sanitario con un rapporto rischi/costi e benefici molto vantaggioso, direi straordinariamente vantaggioso: non è paragonabile a nessun'altra prestazione sanitaria. Per la frequenza con cui tali infezioni possono colpire una popolazione, per i danni che possono determinare sotto il profilo scientifico, le vaccinazioni sono da ricomprendersi in un ambito di sanità pubblica, e non in un aspetto di protezione individuale. Basti ricordare un fatto e una data storica, che forse ci siamo già dimenticati: l'8 maggio 1980 l'Assemblea dell'Organizzazione mondiale della sanità, dopo circa duecento anni dalla sperimentazione sui vaccini, dichiarava le completa eradicazione del vaiolo dal nostro pianeta. Una data memorabile e storica: basti ricordare i danni devastanti che questa infezione provocavano sugli individui.
Voglio far presente che i vaccini, prima di essere impiegati, prima di essere utilizzati su larga scala nell'uomo devono avere una serie importanti dei requisiti. Prima di tutto la sicurezza: un vaccino non deve procurare effetti collaterali indesiderati, sia nel momento in cui viene inoculato, sia successivamente, sia a livello locale che a livello generale; e questa è una caratteristica fondamentale, come tutta la scienza del farmaco, ma a maggior ragione vista la sua applicazione su scala mondiale, in milioni e milioni di dosi, ogni giorno, ogni anno, nel nostro pianeta. È importante sapere che tra l'ideazione di un vaccino e la sua disponibilità sul mercato trascorrono circa sei anni: sei anni di sperimentazione clinica, varie fasi importanti e definite e disciplinate dalla normativa europea e dal Parlamento europeo, che in sedute importanti ha disciplinato e ha reso uniforme la modalità di sperimentazione di questi importanti farmaci in tutta l'Unione europea.
Inoltre, il vaccino deve essere efficace: dev'essere in grado di prevenire l'infezione, la malattia, le sue complicanze. Deve anche durare nel tempo: deve determinare questa immunizzazione nel tempo.
È altrettanto importante la via di somministrazione: anche questa non è una scelta banale, lasciata al caso, del somministratore, del medico di turno. La via di somministrazione è basata anche in questo caso su studi importanti, sull'efficacia, sulla risposta immunologica, sulle caratteristiche del vaccino, sulle reazioni indesiderate locali e generalizzate. Ed è per questo che è molto importante anche la modalità con la quale questa vaccinazione deve essere praticata, o meglio ancora la sequenza con la quale il vaccino deve essere somministrato: il cosiddetto calendario vaccinale. Anche questa vorrei dire che non è un'invenzione del legislatore, non è una scelta della politica, il calendario vaccinale, e si lascia la discrezionalità individuale del professionista o della famiglia. Il calendario vaccinale è stabilito attraverso approfonditi studi, volti a valutare il momento migliore, sia dal punto di vista biologico e immunologico per somministrare il vaccino, sia rispetto a criteri epidemiologici adeguati per garantire ai soggetti vaccinati la protezione nel momento di maggior rischio di esposizione a microrganismi patogeni. Il calendario è costantemente aggiornato, tenendo conto degli aggiornamenti della scienza, della situazione epidemiologica delle diverse malattie e dell'evoluzione, delle esigenze organizzative e delle nuove preparazioni vaccinali: i vaccini sono andati cambiando moltissimo nel corso dei decenni, sono andati purificandosi, migliorando, e migliorando non solo nella composizione, ma anche nell'efficacia.
Voglio altresì ricordare anche qui un altro punto, un elemento del dibattito che è emerso durante la nostra discussione, sulla spesa per i vaccini, il costo dei vaccini.
Voglio ricordare che la spesa per i vaccini nel mondo corrisponde solamente al 2 per cento della spesa complessiva dei farmaci e nell'ultimo anno molte multinazionali produttrici dei farmaci, a partire dagli Stati Uniti e dall'Europa, hanno smesso di produrre questi farmaci. Le aziende produttrici infatti preferiscono investire sia nella ricerca, che nella produzione, in quei farmaci più redditivi, in quei farmaci che danno maggiore garanzia di guadagno e se i vaccini sono sicuramente un farmaco ad elevato valore sociale, il valore sicuramente economico ad essi attribuito è molto basso se paragonato agli altri farmaci. Eppure, mentre la vaccinazione di un bambino protegge non solo il singolo dalla malattia, ma anche l'intera comunità, qualsiasi altro farmaco esplica la sua azione solo sul paziente che lo assume. Questa è la sostanziale differenza.
Nell'ordinamento finora vigente nel nostro Paese, abbiamo quattro vaccinazioni obbligatorie per i neonati bambini, la difterica, l'antitetanica, la poliomelite, l'anti epatite B. Fino al 1999 (lo voglio ricordare in maniera così descrittiva perché è giusto che coloro che ascoltano non solo nell'Aula, ma anche le persone che ci ascoltano da casa lo sappiano) il mancato rispetto dell'obbligo comportava l'applicazione di sanzioni pecuniarie e il rifiuto dell'iscrizione a scuola. Nel 1999 fu deciso di abolire il divieto di iscrizione a scuola perché nel nostro Paese si era pensato di aver raggiunto la copertura vaccinale sufficiente a garantire una maggiore diffusione e immunizzazione nel nostro territorio. Tuttavia non è avvenuto così: nel corso di questi anni, per tutte le tipologie di vaccinazione, non solo ovviamente per quelle 4 obbligatorie, il livello di copertura vaccinale non ha raggiunto quei valori che erano stati auspicati e i livelli di soglia sono stati definiti e indicati da numerose organizzazioni scientifiche diversificate anche per le diverse patologie, le diverse malattie infettive, però sicuramente tutti al di sotto di una soglia che viene considerata una soglia di sicurezza. Non voglio qui dettagliare le percentuali che oggi, a far data da oggi, abbiamo come copertura e a garanzia della nostra popolazione sul tetano, la difterite, la pertosse; sicuramente siamo al di sotto delle soglie. Anche l'Organizzazione mondiale della sanità ci invita ripetutamente, ha invitato il Ministro Lorenzin, il Ministero della salute, le nostre organizzazioni scientifiche italiane, ad intervenire per evitare che si possano determinare situazioni come quella che sta avvenendo per il morbillo.
Vedete, è stato detto ripetutamente che occorre intervenire nell'ambito delle vaccinazioni e rafforzare il ruolo delle vaccinazioni quando ci sono le epidemie: Un errore clamoroso; le vaccinazioni servono proprio per prevenire le epidemie. Non si interviene quando l'epidemia è in corso, perché non è possibile fermare e curare con il vaccino il morbillo, il morbillo va prevenuto, va agito perché la corte di persone sensibili a questa malattia venga in qualche modo immunizzata e si impedisca che si arrivi a questa. Pensate a quanti costi sociali e costi economici, ad esempio, per un ricovero ospedaliero di un bambino. Sapete bene che le complicanze per il morbillo sono molto elevate soprattutto per il bambino, ma anche per l'adulto.
Sul tema della copertura (l'ho sentito anche nel dibattito in Commissione): “ma allora perché non facciamo la vaccinazione agli adulti?”. Perché semplicemente la scienza ci dice che l'unico vero meccanismo per impedire il veicolo e la circolazione del microrganismo è intervenire sulle corti in un particolare segmento di età. Se noi impediamo che il bambino prenda il morbillo o la rosolia è evidente che questa non verrà trasmessa poi al genitore perché nella stragrande maggioranza dei casi il morbillo viene trasmesso dal bambino che è più esposto perché ha un sistema immunitario che si difende ovviamente in maniera diversa rispetto all'adulto e quindi è più esposto a certe malattie infettive. Ed è per questo che in tutto il mondo le vaccinazioni vengono praticate, soprattutto per alcune malattie cosiddette dell'infanzia, proprio nel periodo dell'infanzia.
Potrei dire che in questi anni abbiamo perso la cultura della vaccinazione, che nel nostro Paese questa cultura della vaccinazione è andata in qualche modo disperdendosi e forse ci sono anche delle responsabilità. Ci sono delle responsabilità delle istituzioni pubbliche che forse non hanno fatto tutto quello che dovevano fare, ma c'è anche la responsabilità di chi ha alimentato la disinformazione. Le fake news, le bufale, che si sono riscontrate, le cattive verità che si sono alimentate nel corso di questi anni non hanno certamente contribuito a instaurare una corretta cultura della vaccinazione.
E poi, anche qui, è particolarmente curioso: ormai in tutti i colloqui, gli incontri che abbiamo, non ascoltiamo più i “no vax”, ascoltiamo coloro che sono a favore della vaccinazione, ma guarda caso, ci sono tanti se e tanti ma, che mettono nel cammino dell'affermazione chiara e netta di quanto sia importante il ruolo della vaccinazione.
C'è un altro punto che resta molto critico a proposito di salute pubblica ed è quello della diversa distribuzione, delle differenze significative, che ci sono nel nostro Paese. Veniva detto - mi sembra negli interventi che sono stati fatti - che il meccanismo del federalismo regionale ha prodotto anche questa anomalia. Non è ammissibile e accettabile che ci siano alcune regioni che riescono a tutelare meglio di altre un sistema di difesa rispetto a queste malattie infettive. I dati sono abbastanza preoccupanti: solo sei regioni riescono a superare la soglia di sicurezza; otto regioni sono addirittura al di sotto del 93 per cento. Queste differenze significative tra regione e regione stimolano ancora di più l'importanza di un indirizzo unico per tutto il Paese in materia di prevenzione primaria. Questo è un passaggio fondamentale sul quale noi dobbiamo riflettere. Anche nel dibattito in Commissione abbiamo guardato sempre i valori dei tassi vaccinali, guardiamo la media. Ma non è la media che dobbiamo guardare, dobbiamo guardare episodio, situazione, territorio per territorio, e preoccuparci che in alcuni territori pur essendoci sicuramente stato un impegno (dobbiamo dire che c'è un modello, ad esempio, quello del Veneto, che ha fatto un lavoro importante in termini di comunicazione, di coinvolgimento, di investimenti economici, ma stiamo parlando di una delle migliori regioni, benchmark del nostro Paese, non stiamo parlando dell'Italia) non si sono ottenuti i risultati auspicati. Il Veneto, ad esempio, non è riuscito a ottenere quelli che erano i suoi obiettivi pur avendo fatto un investimento importante in termini di comunicazione e in termini di formazione e di coinvolgimento. Allora dobbiamo intervenire per fare in modo che questo nostro impegno abbia una vocazione nazionale e non solo territoriale.
Fra l'altro, l'offerta che noi, con il decreto, proponiamo, è in linea perfettamente con il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019, un Piano vaccinale che è stato in qualche modo preso a modello, ad esempio, in tutto il mondo. Siamo l'unico Paese che promuove un Piano vaccinale così bene articolato con un numero di vaccini così importante e totalmente gratuito. Voglio ricordare che ci sono molti Paesi che lottano per avere il diritto alla vaccinazione, avere il diritto di accesso alla vaccinazione. Nel nostro Paese questo diritto di accesso è garantito per tutti perché vi è una totale gratuità dell'offerta vaccinale.
Il provvedimento si articola in brevi ma importanti articoli, ad eccezione ovviamente del primo che è quello più importante sul quale al Senato sono state introdotte numerose modifiche. Sono state, rispetto al testo originario, individuate dieci vaccinazioni obbligatorie. Ovviamente è stata poi proposta la possibilità che altre quattro vaccinazioni possano essere consigliate, raccomandate. È stata inserita negli emendamenti del Senato la possibilità degli acquisti per i vaccini in formula monocomponente o combinata. Sono state introdotte altre importanti novità soprattutto nell'ambito della farmacovigilanza e credo che sia stato molto utile che questo approfondimento abbia permesso anche di valorizzare ancora meglio e di più il ruolo dell'AIFA e dell'Istituto superiore della sanità, anche per evidenziare, con grande trasparenza e con grande tempestività, i problemi che vi possono essere come qualunque altro farmaco.
Ovviamente possono essere presenti eventi avversi. Soprattutto la cosa importante è che ci sia un nesso di casualità tra quello che è la somministrazione del vaccino e i potenziali eventi avversi, perché sappiamo benissimo che una cosa è la segnalazione che viene fatta dal medico vaccinatore o dal genitore, altra cosa dimostrare il nesso di causalità tra la somministrazione e l'evento avverso.
Altra disposizione che è stata modificata al Senato è la sanzione amministrativa, ovviamente ridotta, pecuniaria, per l'obbligatorietà che come ben sappiamo va da zero a sedici anni.
Da zero a sei anni è legata all'iscrizione scolastica e da sei a sedici anni è legata ad una sanzione amministrativa, ma la sanzione amministrativa - ci voglio ritornare solo per un frangente di secondo - è l'ultima ratio. Prima della sanzione amministrativa c'è un percorso importante di conoscenza, di informazione e di coinvolgimento dei genitori e dei familiari, prima di tutto dalla scuola e poi soprattutto dagli uffici dell'igiene pubblica del territorio, che hanno il compito fondamentale di convincere e motivare nella scelta vaccinale e sulla bontà della vaccinazione.
Ovviamente, non mi dilungo sull'articolo 2 molto importante sulla comunicazione…
Concludo, Presidente. Dicevo che non mi dilungo in queste altre cose. L'altro punto importante è quello dell'anagrafe nazionale di vaccinazione, che ci darà la possibilità di censire meglio chi si vaccina e chi non può vaccinarsi.
Tuttavia, vorrei concludere con un semplice richiamo. Io credo che un Governo di un Paese abbia il dovere e l'obbligo di intervenire di fronte a problemi di sanità pubblica. Anche nel nostro Paese si è criticato molto, per problemi di mortalità negli incidenti, l'obbligatorietà delle cinture o l'uso del casco, oppure le norme di sicurezza per le morti bianche sul lavoro, oppure l'obbligatorietà per quanto riguarda l'igiene degli alimenti. Eppure, lo Stato, il Governo si è sentito in dovere di introdurre questa obbligatorietà, perché non era un problema solo individuale e soggettivo ma interessava l'intera comunità e l'intera salute pubblica dei cittadini.