Discussione sulle linee generali
Data: 
Venerdì, 24 Giugno, 2016
Nome: 
Marco Causi

A.C. 3892

 

Grazie, Presidente. Mi faccia dire, in premessa al mio intervento, che sono molto stupito che finora, in quest'Aula, mentre affrontiamo la discussione sulle linee generali di un provvedimento relativo al sistema bancario, nessuno abbia ricordato che, mentre noi parliamo qui di questo decreto, il giorno in cui ne parliamo, il 24 giugno 2016, oggi, resterà nella storia come uno dei giorni più terribili per il sistema economico e finanziario mondiale.
Poco fa, sentivo dire che questo decreto non è urgente e mi stupisce, Presidente, vuol dire che non si sa: questo decreto, con quello che è successo stanotte, quindi, per effetto del voto dei cittadini inglesi sull'Unione europea e con quello che sta succedendo oggi in tutto il mondo, è già vecchio, perché le situazioni di instabilità finanziaria che dovremo affrontare per effetto del voto sulla Brexit, rendono questo decreto una piccola cosa già, probabilmente, vecchia; altro che mancanza di urgenza. 
Io so che qui siamo nel tempio del legislatore: io sono un volgare economista, però io chiedo ai legislatori almeno di guardare la televisione e di leggersi i giornali, perché mi sembra finora di avere sentito persone che vivono sulla luna, pur parlando o pretendendo di parlare degli interessi dei cittadini. Questo decreto ha a che fare, Presidente, con la difficoltà e il vero e proprio stato di crisi del settore bancario in Italia e noi su questa difficoltà e su questo stato di crisi non possiamo permetterci di fare pura demagogia: dobbiamo riconoscerlo, perché, come in qualsiasi settore, se c’è una crisi va affrontata. 
Non dobbiamo fare confusione, perché questa crisi deriva da due questioni che vanno distinte fra di loro, perché confonderle crea solo confusione: ci sono alcuni fattori di tipo sistemico e strutturale del nostro sistema bancario italiano che hanno generato questa crisi e su cui bisogna incidere. Poi, ci sono – altra questione – vicende specifiche di singole banche e, dentro le vicende specifiche di singole banche, che hanno le loro microstorie, come ciascuna organizzazione industriale, possono emergere anche responsabilità che vanno accertate e sanzionate, ma che sono sempre responsabilità individuali. 
Confondere fra i fattori sistemici, le storie specifiche delle banche che sono in difficoltà e le eventuali responsabilità da sanzione o da accertare, a livello personale, non distinguere fra questi fattori crea soltanto una confusione strumentale e non si fa un buon servizio a quella che Amartya Sen chiama una buona discussione pubblica. 
Allora, discutiamo per un attimo quali sono i fattori sistemici che hanno portato a questa crisi del settore bancario: non deriva questa crisi da un eccesso di finanza strutturata, così come è stato, invece, per il settore finanziario americano e anche tedesco e francese nella crisi del 2008-2009. Il paradosso della crisi nel sistema bancario italiano è che non deriva da un eccesso di finanza creativa. Infatti, per anni si è detto, fra il 2008 e il 2012, che le banche italiane sono state meno investite perché facevano meno finanza strutturata, ma il paradosso è proprio questo: che, invece, le banche italiane sono andate in crisi come controeffetto della crisi prolungata dell'economia reale. Dopo sette, otto anni di crisi così profonda dell'economia reale, le banche vanno in crisi perché i loro clienti sono andati in crisi: meno 10 per cento di PIL, meno 25 per cento di produzione industriale, tante imprese in difficoltà e, quindi, ergo, anche le banche in difficoltà. 
Circa 200 miliardi di crediti bancari incagliati, deteriorati in vario modo: questa crisi e, quindi il fatto che le banche italiane abbiamo 200 miliardi di crediti incagliati, crea un paradosso, perché, da un lato, la Banca centrale europea inonda il mercato di liquidità e inonda le banche di liquidità, ma, dall'altro lato, le banche possono evitare di usare questa liquidità perché hanno paura di fare credito, perché se il credito che fanno, poi, non gli rientra perché non viene restituito, allora, questo peggiora i loro coefficienti patrimoniali e le obbliga a ricapitalizzare. Quindi, paradossalmente, se la situazione dell'economia reale continua ad essere così drammaticamente negativa – in questi ultimi mesi, è meno drammaticamente negativa, però, come sappiamo, il tono della ripresa è ancora modesto –, le banche non trasmettono pienamente l'impulso monetario della Banca centrale perché hanno troppi crediti deteriorati. Quindi, incidere su questo problema di come disincagliare i crediti deteriorati è un fatto importante, perché toglie quello che oggi è il principale ostacolo ad una ripresa ordinata e normale del mercato creditizio in Italia. 
Poi ci sono altri due fattori sistemici che incidono. Primo il fatto che il nostro Paese – come si sa – è un Paese con tantissime piccole e medie imprese e le piccole e medie imprese hanno come tradizionale canale di finanziamento il canale bancario e creditizio e hanno una difficoltà di accesso agli altri canali di finanziamento e al mercato dei capitali. Si dice che il nostro Paese è un Paese bancocentrico e quindi, ancora di più, ogni elemento di difficoltà strutturale del sistema bancario si riflette e peggiora il tono dell'economia reale. 
Ma poi ci sono altri fattori sistemici, che sono stati ampiamente discussi, e che stiamo poco affrontando, e che sono innanzitutto un eccesso di localismo bancario. Guardate che noi abbiamo discusso in quest'Aula la riforma delle banche popolari, la riforma delle banche cooperative e io ho sentito in quest'Aula posizioni un po’ ideologiche in merito a quanto è bella la piccola banca locale. Ebbene, non è vero affatto che la piccola banca locale sia bella, non è detto neanche che sia brutta, però la piccola banca locale ha in sé un elemento di distorsione che è dovuto al fatto che il suo rischio è tutto su un solo territorio e inoltre è un altro elemento di distorsione perché quando va poi a chiedere ai suoi clienti – come è successo – di diventare azionisti o di comprare le obbligazioni subordinate, va anche a fare sollecitazioni del risparmio sempre su quel territorio. Quindi questo circuito vizioso significa che, se poi quella banca va male, e in alcuni territori italiani coinvolti dalle crisi bancarie di oggi è successo proprio questo, l'eccessiva concentrazione territoriale sia del rischio di credito, sia della sollecitazione del risparmio crea un potenziale – se non è ben governata e se non è tenuta sotto controllo – rischio di tipo strutturale. 
Poi certo, collegati a questi rischi e a queste situazioni di rischio, ci sono anche aspetti digovernance perché un'attività bancaria che come governance ha il voto capitario, le elezioni dei consigli di amministrazione, come fossero elezioni politiche di consiglio municipale o di consiglio comunale, e non invece la professionalità, l'efficienza, il merito e la scelta del credito sulla base del merito, può creare anche lì dei fattori distorsivi. 
Guardate che questi elementi distorsivi non implicano necessariamente che poi ci siano, come dire, responsabilità amministrative, di natura penale o legale, ci possono anche essere quelle, ma anche se non ci sono quelle, queste distorsioni esistono e sono perfettamente venute in evidenza anche dai fatti di cronaca degli ultimi mesi. Di fronte a questa crisi del sistema bancario e di fronte al tema di come uscire dall'incaglio di 200 miliardi di crediti deteriorati, io ho sentito molto spesso, non soltanto oggi, da parte delle opposizioni parlamentari al Governo Renzi, delle posizioni fortemente contraddittorie – mi permetta, Presidente, di mettere in evidenza queste contraddizioni – perché, da un lato, si dice che le banche sono cattive, potenti e vengono dipinte col cappello capitalistico di fine Ottocento, come istituti che affamano le piccole e medie imprese; dall'altro lato, finisce invece che le banche sono poco virtuose, che erogano troppo credito, che si prendono troppi rischi e infatti poi falliscono e falliscono poi soprattutto quelle appunto governate male. 
Ora, o l'una o l'altra cosa: o le banche sono cattive e affamano le piccole imprese, oppure le banche sono poco virtuose e invece danno il credito a chiunque senza valutarlo bene. La verità, Presidente, è che i fattori sistemici di crisi del sistema bancario sono emersi con tantissima evidenza, tra l'altro anche ieri in Commissione finanze congiunta Camera e Senato, il Governatore Ignazio Visco ci ha dato anche dei numeri drammatici: nel 2015 sono ventitré le procedure di amministrazione straordinaria nei confronti di banche e altri intermediari, solo sei finite felicemente, senza il fallimento, sette finite con la liquidazione, sei in corso e, di queste sei, quattro – come sappiamo – mettendo in campo non la tradizionale liquidazione coatta amministrativa, ma il nuovo istituto di risoluzione della crisi. 
Allora, la verità è che i fattori sistemici di crisi danno ragione al lavoro importante e rilevante che in questa legislatura si sta facendo per superare i fattori sistemici di crisi e le debolezze strutturali del sistema bancario italiano.
Noi in questa legislatura – lo voglio dire a voce alta – stiamo compiendo un lavoro di riforma e di superamento di questi vincoli strutturali, che non oso dire che è storico e arriva, come altre riforme in Italia – con troppo e tanto ritardo. Abbiamo eliminato la distorsione che il sistema fiscale metteva sui crediti delle banche, perché da noi, fino a due anni fa, il trattamento fiscale delle svalutazioni dei crediti incagliati in Italia era molto, ma molto meno favorevole di tutti gli altri Paesi europei; abbiamo allineato quindi la distorsione fiscale. Siamo intervenuti sulle distorsioni localistiche e di governance con la riforma delle grandi banche popolari e con la riforma del credito cooperativo, una riforma che – lo sottolineo – è importante sia dal lato della concessione dei crediti e sia dal lato della composizione dell'azionariato. Abbiamo – e mi stupisce che nessuno finora l'abbia ricordato – rafforzato i poteri di vigilanza della Banca d'Italia. Con il decreto legislativo n. 72 del 12 maggio 2015 abbiamo fatto una cosa che la Banca d'Italia chiedeva da anni e che colpevolmente il legislatore e i Governi di questo Paese non avevano mai fatto fino all'anno scorso e cioè abbiamo conferito alla Banca d'Italia dei poteri sanzionatori che prima non aveva. Oggi, grazie a questo decreto legislativo, la Banca d'Italia può intervenire durante una crisi bancaria non più soltanto – come è sempre stato – con la moral suasion, ma a rimuovere singoli componenti dei consigli di amministrazione o gli interi consigli di amministrazione delle banche, laddove emerga nella banca in crisi che il consiglio di amministrazione o singoli membri siano inadatti a gestire quella crisi o abbiano compiuto azioni che hanno portato alla crisi. 
La Banca d'Italia può intervenire restringendo l'attività della banca, può intervenire vietando l'effettuazione di alcune operazioni: noi finalmente, con grande ritardo, l'anno scorso, in questa legislatura e con questo Governo, abbiamo rafforzato i poteri di vigilanza della Banca d'Italia. Vi ricordate in passato, quando si diceva, come nel caso del Monte dei Paschi: la Banca d'Italia arriva, interviene, fa la vigilanza, manda le carte alla Procura, ma non può intervenire sugli organi amministrativi. L'intervento sugli organi amministrativi doveva comunque derivare da una moral suasion.
Abbiamo poi affrontato tutto il tema dei requisiti patrimoniali e di accesso al mercato dei capitali per le banche piccole, perché le banche piccole, per esempio le banche cooperative, adesso col nuovo sistema del gruppo potranno più facilmente accedere al mercato dei capitali. Stiamo intervenendo sui tempi della giustizia civile – poi di questo parlerò – perché guardate che ridurre i tempi con cui, non solo le banche, ma qualsiasi soggetto, recupera un credito, per esempio anche un fornitore rispetto a un'impresa a cui ha fornito un bene, non è affatto leggibile come un favore fatto al creditore. In verità, maggiore certezza sui tempi di risoluzione di un contratto di debito-credito è utile anche per il debitore, perché questa maggiore certezza si trasforma, per esempio, in minor costo del credito. Se si sa che in un sistema Paese il contratto, se il debitore non paga velocemente, può essere risolto, il credito per tutti sarà meno costoso. Oggi in realtà la lentezza nei tempi di recupero dei crediti, anche fra privati, viene pagata dai debitori onesti che pagano regolarmente i loro debiti, ma li pagano a un costo più elevato perché quel coefficiente di rischio aggiuntivo viene spalmato su tutti. Anche alcuni dei nuovi strumenti che si introducono in questo decreto, come il pegno non possessorio o il «patto marciano» sono semplicemente un'estensione a nuovi oggetti del sistema delle garanzie, cioè un'impresa potrà ottenere credito anche ricorrendo a questi nuovi oggetti, anche se non è obbligatorio che lo faccia. Questo perché può essere importante in Italia ? Perché in Italia – ricordiamocelo – nelle piccole e medie imprese – è uno dei problemi strutturali italiani – c’è una indecifrabilità e indistinguibilità fra il patrimonio familiare e il patrimonio dell'impresa, infatti molto spesso le nostre piccole imprese si finanziano in modo inefficiente, dando le garanzie sui patrimoni personali con le cambiali firmate dalla moglie, dalla cugina, dal cognato nelle piccolissime imprese. Questo è un mondo che si deve cercare di modernizzare: se riusciamo a separare meglio il patrimonio delle persone da quello delle imprese, su quello delle imprese introduciamo nuovi strumenti di garanzia e non attacchiamo il patrimonio delle persone. Oggi invece per molte piccole imprese italiane, dove c’è questa indistinguibilità è il patrimonio delle persone e delle famiglie che viene attaccato quando c’è una crisi dell'impresa. Quindi, questi nuovi strumenti di garanzia sono strumenti che addirittura migliorano, sotto un certo punto di vista, la possibilità delle imprese di avere credito, fermo restando che poi, appunto, non sono obbligatori; sono strumenti aggiuntivi rispetto agli esistenti. 
In generale poi voglio ricordare a tutti, perché questo è un altro lavoro importante che è in corso e speriamo che si possa completare, che quando un'impresa va in difficoltà – qualsiasi impresa, anche una banca – è bene che queste difficoltà non arrivino all'esito ultimo del fallimento e della liquidazione ed è bene che vengano prese per tempo. Per esempio, noi abbiamo discusso, in Commissione giustizia, una riforma del diritto fallimentare che io spero possa introdurre degli istituti, diciamo così, di risoluzione prefallimentare della crisi che permettono, quindi, anche al soggetto che è andato in crisi di non arrivare proprio fino in fondo e che permettono ai soggetti creditori nei suoi confronti di rivalersi per quanto possibile. 
Questi nuovi strumenti di garanzia vengono criticati dai nostri oppositori, portando sempre il caso di un'impresa che fallisce: se un'impresa fallisce e ha fatto il pegno non possessorio perde i suoi beni strumentali. Ma, scusate: questo vale per qualsiasi strumento di finanziamento. Se un'impresa fallisce, e aveva ricevuto una linea di credito a medio termine da una banca e non la restituisce, la banca l'aggredirà perché non ha restituito quella linea di credito; se un Paese aveva emesso un'obbligazione, un titolo, e non lo rimborsa, verrà aggredito perché non lo ha rimborsato. Quindi, non è che la base di garanzia di quello strumento finanziario sia un'altra modifica la questione. Noi non dobbiamo guardare questi strumenti nel caso del fallimento, perché questi casi sono tutti uguali; dobbiamo guardarli nel caso di un'impresa normale, di un'impresa sana che con questi strumenti potrà avere più credito. 
Mi avvio alla conclusione, Presidente, ricordando che in questo decreto poi viene affrontato il completamento dell'introduzione in Italia delle famose procedure di risoluzione delle crisi ,ovvero del bail-in. Il bail-in è, in sostanza, il principio che è stato introdotto dalla legislazione europea, su spinta delle opinioni pubbliche di tutti i Paesi, perché anche in questo Parlamento io ho sentito tante volte dire che i cittadini normali non devono essere chiamati a pagare per gli errori dei banchieri. Ilbail-in è questo: i cittadini normali, il contribuente, lo Stato, non devono pagare per gli errori dei banchieri. Le direttive comunitarie sono state introdotte l'anno scorso, contrattate fra il 2012 e il 2013 a livello europeo, e purtroppo il nostro Paese, con questa crisi bancaria in corso, è stato il primo a sperimentarle sulla sua pelle. Il principio è giusto. Anche lì io ho sentito molti dei nostri oppositori di oggi partecipare per esempio al movimento «Occupy Wall Street» o al movimento «mai più soldi pubblici per i banchieri» e poi oggi, invece, cambiare idea e dire: «No ! Se una banca fallisce paga lo Stato, paga Pantalone, paghiamo tutti noi». Il principio, quindi, è giusto, è sacrosanto: azionisti e obbligazionisti subordinati sono i primi che devono essere chiamati a pagare. Voglio ricordare che quelle famose quattro banche non sono fallite perché il Governo ha fatto il decreto, ma è il contrario: stavano fallendo e l'intervento del Governo ha evitato che fallissero, perché se fossero fallite oggi non saremmo soltanto a pensare agli azionisti e agli obbligazioni, ma dovremmo anche pensare a 2 milioni di depositanti e a 700 mila imprese che ricevono i loro finanziamenti ordinari e quotidiani da quelle quattro banche. 
Invece, noi abbiamo – il Governo ha – con quel decreto salvato i depositanti, salvato le imprese, salvato il normale circuito del credito in quei territori, salvato l'occupazione e salvato le aziende bancarie. Quindi, è stato un intervento che ha minimizzato i danni. Dunque, i danni c'erano ma i danni derivavano da una gestione di quelle banche che, per effetto di quei fattori sistemici che poco fa citavo e anche per errori specifici che andranno ovviamente accertati e sanzionati, stavano appunto andando male. Quindi, il principio è sacrosanto ma, Presidente, l'attuazione di questo principio probabilmente ha trovato, nel circuito decisionale fra Italia e Unione europea, qualche elemento di difficoltà perché: l'attuazione poteva essere più graduale; c’è il tema, inoltre, se assoggettare o no al bail-in le obbligazioni, i titoli obbligazionari, che erano stati acquistati prima che la normativa del bail-in fosse introdotta e, infatti, in questo decreto il risarcimento automatico e forfettario avviene, appunto, per gli obbligazionisti che li avevano acquistati prima.
Poi, c’è il tema se nel caso di crisi bancarie si possano o no usare gli esistenti fondi di tutela dei depositi con i soldi delle banche. In Italia esiste il Fondo interbancario di tutela dei depositi, finanziato dai privati, finanziato alle banche senza soldi pubblici, che è sempre stato usato storicamente per le crisi bancarie, ma invece in questo caso l'Unione europea ci ha impedito di usarlo. Qui ci sono stati alcuni temi, che sono ancora aperti, ma voglio ricordare che questi temi non derivano dal percorso dell'unione bancaria; derivano, invece, da un'interpretazione della Commissione europea, Direzione generale della concorrenza, sul fatto che il Fondo interbancario di tutela dei depositi sarebbe, secondo la Commissione, un istituto che fornisce aiuti di Stato, e che, quindi, ai fini della concorrenza non è utilizzabile. Lo Stato italiano ha fortemente criticato questa posizione della Direzione generale della concorrenza e, come è noto, si è rivolto alla Corte di giustizia e adesso noi abbiamo presentato un ricorso alla Corte di giustizia proprio su questo punto.
Peraltro, il fatto che la Commissione europea abbia approvato il sistema dei rimborsi, sia quello di dicembre sia questo, ci dà un'apertura, nel senso che anche la Commissione europea si è resa conto che questa posizione della Direzione generale della concorrenza è probabilmente sbagliata. Chissà, Presidente, dato che un tema simile sta arrivando in Germania, perché è in grande difficoltà la Sparkasse di Amburgo e per intervenire sulla Sparkasse di Amburgo i tedeschi vorrebbero usare il loro Fondo interbancario di tutela dei depositi. Vedremo, dunque, se la Direzione generale della concorrenza, grazie alla spinta dei tedeschi, finalmente darà ragione anche a noi sull'uso di quel Fondo. Questo avrebbe sicuramente, anche per quanto guarda la costruzione della manovra di salvataggio governativa, portato molti meno problemi. 
Io penso – e concludo – che di fronte a problemi così seri, come quelli della crisi del settore bancario accumulata per fattori sistemi e strutturali esistenti da decenni, per troppo ritardo nelle riforme della modernizzazione del Paese, ci siano soltanto due atteggiamenti possibili: quello di affrontarli o quello di fuggire. Chi ha parlato prima di me, Presidente, mi sembra che non solo scappi, ma proprio non capisca e non riconosca i problemi che abbiamo di fronte, che sono problemi molto rilevanti e che, invece, i Governi di centrosinistra di questa legislatura stanno affrontando, recuperando un ritardo storico in qualche modo clamoroso, per esempio sui poteri di vigilanza e di intervento della Banca d'Italia. Quindi, io dico, come Partito Democratico, che dobbiamo andare avanti così: dobbiamo andare avanti così sull'unione bancaria, strappando finalmente, anche a livello di Unione europea, un accordo sull'assicurazione per i depositi; dobbiamo andare avanti sul completamento della costruzione europea. L'esito del referendum inglese ci mette di fronte – questo è evidente e ne discuteremo molto nei prossimi giorni – a un'alternativa drammatica, perché dopo quello che è successo stanotte l'alternativa è drammatica: o salta tutto o riusciamo a trovare il modo di rafforzare tutto, magari anche con un numero inferiore di Paesi, partendo da un numero più piccolo di Paesi. L'Italia come Paese fondatore, io credo assieme agli altri Paesi fondatori, ha una grande responsabilità storica in queste ore, non chissà quando. Quindi, occorre rafforzare la costruzione europea. 
Poi, c’è la politica monetaria, che ha acquisito in questi anni nuovi e importanti strumenti. Io do solo due numeri: in questo momento – in questo momento ! –, e grazie al quantitative easing dalla Banca centrale europea, noi abbiamo che il sistema della Banca centrale europea ha acquistato 156 miliardi di titoli pubblici – 130 miliardi italiani, l'8 per cento per cento del nostro debito pubblico – e in questo momento la liquidità che il sistema europeo garantisce alle banche italiane è di 158 miliardi: è il 10 per cento del fabbisogno finanziario per il credito alle imprese in Italia. Se venisse a mancare questo, cioè se venisse a mancare l'apporto del quantitative easing, noi registreremmo una restrizione credo del 10 per cento. 
Io apprezzo molto e devo dire che ritengo che politicamente anche alcune delle iniziative dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, relativamente alle loro remunerazioni, ai loro stipendi, abbiano una simbologia, come dire, che va nella direzione giusta. Hanno azzeccato simbologicamente questo tema. Però, voglio ricordare che stiamo parlando di 16 milioni, da un lato, e di 158 miliardi, dall'altro. La simbologia di quell'azione la capisco e capisco anche che va nella corretta direzione, però non si possono neanche illudere i cittadini italiani che con 16 milioni si risolve un problema che non è ancora risolto con 158 miliardi. Quindi, bene questa nuova politica monetaria, ma sarà necessario accostare alla nuova politica monetaria nuove politiche economiche di crescita, perché la politica monetaria può garantire la stabilizzazione dei mercati, può garantire che non ci sia instabilità, speriamo che ce la faccia il presidente Draghi in queste ore, in questi giorni, ma poi per crescere occorre rafforzare politiche fiscali di bilancio comuni e rafforzare anche il lavoro per le riforme strutturali che facciano ritornare i nostri Paesi europei su untrend di crescita. 
Quindi, quelle del sistema bancario sono riforme importanti, forse fra le più importanti di questa legislatura, e gli eventi critici che sono in corso in queste ore (ricorderei a tutti i colleghi deputati di connettersi con le notizie, con quello che sta succedendo nel mondo), se guardati con onestà intellettuale e non con pregiudizio strumentale, dimostrano la piena e totale ragione del lavoro riformista fatto sul sistema bancario in questi ultimi tre anni.