Data: 
Martedì, 5 Febbraio, 2019
Nome: 
Sara Moretto

AC 1550

Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia da anni, anzi, da decenni soffre di una malattia che appare ormai incurabile, la cosiddetta “buropazzia”. Letteralmente, il potere degli uffici che nel tempo si è tradotto nell'inadeguatezza dell'amministrazione pubblica di gestire efficacemente i processi decisionali nei confronti dei cittadini, ma anche e soprattutto nei confronti delle imprese, che sono il vero cuore pulsante del nostro Paese. Una malattia che è emersa in tutta la sua gravità anche in un recente studio condotto dalla CNA. Cosa dice questa ricerca? Facciamo degli esempi per capirlo fino in fondo.

La ricerca ci spiega che, prima ancora di servire il primo caffè, il titolare di un bar deve affrontare settantuno adempimenti burocratici per aprire la propria attività e spendere, tra bolli, corsi e autorizzazioni, 14.667 euro. Per trasformare il suo sogno in realtà, l'aspirante gelataio può trovarsi ad affrontare, invece, fino a settantatré adempimenti, con ventisei enti coinvolti e quarantuno contatti da prendere. In questo caso, la spesa per le pratiche burocratiche, da sola, arriva a superare i 12.500 euro. Ecco, questi sono i problemi che quotidianamente affronta chi fa impresa, chi lavora nel nostro Paese.

Oggi, però, c'è una novità: oggi, nelle stanze dei bottoni, abbiamo il Governo del cambiamento e, se questo Governo del cambiamento porta in Parlamento un decreto che, coraggiosamente, chiama “decreto semplificazioni”, ci si aspetta, o almeno i cittadini si aspettano, un provvedimento che semplifichi davvero e che, quindi, migliori la vita di cittadini e imprese. Dentro e fuori da quest'Aula, io ho sentito parlare di semplificazione, sburocratizzazione, digitalizzazione, roboanti annunci, e, invece, che cosa ci ritroviamo oggi ad esaminare? Un testo scritto male e rivisto peggio, che è un insieme confuso e raffazzonato di norme che intervengono in maniera marginale, insignificante, irrisoria rispetto ai problemi a cui ho fatto accenno prima.

Questo decreto, Presidente, contiene misure piccole e piccolissime, un “decreto omnibus”, come ha già detto qualcuno che è intervenuto prima di me, che dà qualche da qualche microrisposta, ma lascia il mondo produttivo italiano nell'assenza di un vero cambiamento. Questo è l'ennesimo decreto senza coraggio di questo Governo. Un decreto che, come dicevo, è stato riempito e svuotato nell'assoluta mancanza di rispetto anche delle procedure costituzionali di decretazione d'urgenza. Al Senato il testo era lievitato con l'inserimento di notevoli misure che poi, però, si sono rilevate assolutamente incoerenti con il percorso e l'iter della decretazione d'urgenza. Il fatto è che questo decreto di urgente aveva solo l'esigenza di rimediare velocemente agli errori che questo Governo aveva compiuto in legge di bilancio solo qualche giorno prima.

Ma proviamo ad entrare anche nel merito di questo provvedimento, che, appunto, nel titolo contiene le parole “sostegno” e “semplificazione”. Sostegno alle piccole e medie imprese in difficoltà - primo articolo di questo provvedimento -, imprese in difficoltà anche a causa dei crediti che, purtroppo, vantano nei confronti della pubblica amministrazione. Qual è la risposta? Una sezione speciale, ovvero un sottotitolo, ad un fondo che esiste già, senza metterci neanche un euro in più.

Sostegno, poi, altro titolo di articolo, al mondo del terzo settore: ma quale sostegno? Qui si rimedia ad un errore gravissimo commesso in legge di bilancio in cui si raddoppiava l'IRES a quei soggetti che nel nostro Paese svolgono funzione essenziale di assistenza, beneficenza, istruzione.

Poi, semplificazione: semplificazione tributaria? Macché: altra correzione del decreto fiscale e della legge di bilancio. Semplificazioni in materia di lavoro? Altre misure microsettoriali, con tutto il rispetto, ovviamente, per quei settori che hanno ottenuto delle risposte, come le tintolavanderie sicuramente, come citava prima il collega, e i produttori di burro e pasta. Risposte sicuramente che sono utili a chi lavora, ma misure microsettoriali, non strategiche, non sintomatiche di un vero cambiamento per il nostro Paese.

Poi, veniamo al sostegno alle piccole e medie imprese per i ritardi di pagamento: una norma di questo decreto vieta di prevedere delle condizioni di pagamento troppo a lungo termine per le imprese più piccole. Come ho avuto modo di dire ieri in Commissione: bene, buon passo in avanti, un segnale forte a quelle imprese che sono meno organizzate e che hanno bisogno di maggior tutele. Ma allora perché non cogliere in questo decreto l'occasione di allargare questa misura anche ai professionisti? Mi riferisco, per esempio, ai professionisti più giovani, quelli meno attrezzati, quelli che hanno meno armi per affrontare la competizione che c'è nel nostro mercato italiano. Quindi, anche qui, si fa una norma positiva a cui, però, manca un pezzo, un pezzo importante, ci si dimentica di un pezzo, che è quello tipico della nostra italianità: quello della competenza, della creatività, quella che i professionisti mettono in campo nel nostro Paese ogni giorno. Ma anche a questa proposta è stato detto “no”.

Semplificazioni per le ZES e per le ZLS? È l'ennesima conferma, come è già capitato in passato, che le misure messe in campo dai Governi PD sono misure positive che vanno sostenute e, addirittura, ampliate. Infatti, in questo decreto si fa qualche aggiustamento ad una misura positiva che il Governo Gentiloni ha messo in campo e, poi, si istituisce una cabina di regia; ovviamente, nessuna risorsa in più per agevolare le imprese che operano all'interno di queste zone speciali.

Poi, veniamo ad alcune parti di questo decreto che, come dicevo prima, fanno grandi annunci e arrivano perfino a parlare di deburocratizzazione per le imprese: quindi, fossi io un imprenditore che legge per la prima volta questo decreto, da un titolo del genere, mi aspetterei grandi risposte. Quindi, una grande responsabilità quella di parlare alle imprese di deburocratizzazione: credo sicuramente che sia positiva, ma il fatto che questo articolo contenga l'iperammortamento per gli scaffali è sicuramente una grande misura positiva, ma non è significativa per il sistema produttivo italiano.

Cito poi anch'io, come ha fatto la collega Muroni, l'argomento della tracciabilità dei rifiuti. Ovviamente, lo sappiamo tutti il Sistri è un sistema che non ha mai funzionato, che è costato alle nostre imprese anche investimenti di adeguamento e, soprattutto, incertezza normativa perché è un sistema che, di fatto, non è mai entrato in funzione. Il Governo ha deciso di affrontare questa questione, di porre termine, ma quale sarebbe la semplificazione che deriva dall'eliminazione del Sistri? Nessuna semplificazione: si ritorna alla tracciabilità dei rifiuti tradizionale, ritorniamo ai registri, ai formulari e ai MUD e, nel frattempo, non si dice alle imprese cosa ci sarà dopo, non si mette un termine alla definizione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti.

Io credo che questo sia un modo di governare molto comodo, legato ad annunci, a misure bandiera, ma che poi, nel concreto, lascia le imprese nella stessa incertezza, se non ancora maggiore rispetto a quella di prima. Come ho avuto modo di dire ieri in Commissione, siamo assolutamente consapevoli che è necessario coniugare due aspetti su questo tema: da un lato, la necessità di tracciare i rifiuti, soprattutto i rifiuti industriali, quelli pericolosi, ai quali sono legati molti degli scandali anche recenti nel nostro Paese; dall'altro, però, bisogna fare in modo che questa tracciabilità sia sostenibile dalle imprese e non sia vissuta come un costo, come un costo eccessivo e, soprattutto, come un costo a perdere come è stato il Sistri. Volete affrontare questa questione? Facciamolo insieme, ma non prendiamoci in giro: porre fine al Sistri senza definire già quali saranno i termini entro i quali si dovrà necessariamente realizzare e applicare il nuovo sistema di tracciabilità è assolutamente inutile.

Veniamo, poi, alle semplificazioni degli appalti: anche su questo tema tra le imprese ci sono molte aspettative. Noi non possiamo accettare che la risposta alla richiesta di semplificazione degli appalti sia l'innalzamento della soglia per l'affidamento diretto da 40 a 150 mila euro. Questa è una presa in giro non solo per il Parlamento che vi ha ascoltato e che ha letto le vostre proposte, ma è anche una presa in giro per quei tanti comuni che in questi anni, invece, attraverso questa norma, hanno messo in campo delle procedure trasparenti e di legalità e per tutte quelle imprese che, proprio grazie a queste norme, hanno potuto dimostrare la loro trasparenza, la loro capacità e la loro competenza. Noi riteniamo che questo modo di affrontare le cose sia, oltre che miope, anche davvero pericoloso.

Veniamo, poi, a un altro tema che ho sentito spesso citare da questo Governo, sempre tra i roboanti annunci di cambiamento per il mondo produttivo: è il tema della digitalizzazione, della trasformazione digitale anche dei servizi della pubblica amministrazione per le imprese e per i cittadini. Noi siamo convinti che questa sia la strada da percorrere e mi pare di aver sentito anche dai banchi di questo Governo l'intenzione di percorrere questa strada. E qual è la prima misura che questo Governo mette in campo su questo fronte?

La demolizione dell'Agip, come è successo, ormai ci siamo abituati, questo Governo arriva e demolisce le strutture che ci sono e che dimostrano anche di saper funzionare, per farne una propria, semplicemente, sotto forma di struttura presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, o diversamente. Quindi l'idea è: smantelliamo quello che c'era prima non per fare meglio, ma per fame una mia, nella quale, senza trasparenza nelle procedure di assunzione, si crea un grande, nuovo carrozzone, che, tra l'altro, ha una gestione straordinaria senza scadenza.

Anche questo per noi è un modo miope e assolutamente insufficiente di affrontare un tema così strategico come quello della digitalizzazione della pubblica amministrazione nel nostro Paese. E su queste insufficienti micro misure, ci troveremo, Presidente, ancora una volta - ormai credo sia noto - a votare la fiducia: la fiducia ad un Governo che naviga a vista, un Governo che ha ignorato le buone proposte che anche ieri abbiamo discusso in Commissione, ma ho sentito che anche la maggioranza si è lamentata di se stessa e solidarizzo, quindi, con il collega Piastra, a cui il suo partito ha negato la possibilità di intervento, massima solidarietà, e sappiamo di che cosa parla. E ci troveremo, appunto, all'ennesima fiducia su un decreto, che doveva essere un decreto simbolico di questo Governo e che, invece, come ho detto in apertura, è un decreto raffazzonato, di micro misure, che non darà segnale di vero cambiamento per il sistema produttivo italiano.

Questo Governo, ancora una volta, e capita ormai da inizio legislatura, ha voluto cogliere un problema che c'è, che esiste e che è sentito nel Paese, sul quale i cittadini chiedono soluzioni, ma cosa ha fatto? Ha pensato a un gran bel titolo, un titolone che vuole attrarre, che vuole vendere copie, come si usa dire in gergo giornalistico, al quale poi fa seguire un provvedimento vuoto nella sostanza, che non riduce le difficoltà nel nostro Paese ormai in recessione. Ce lo siamo detti in diverse occasioni, ma non fa male ripeterlo: ormai l'Istat ha certificato che l'Italia si trova attualmente in recessione tecnica; per il 4 quarto trimestre del 2018 è stata registrata una variazione negativa dello 0,2 per cento, che va ad aggiungersi al meno 0,1 del terzo trimestre dello stesso anno. Questi due trimestri negativi fanno seguito a una lunga sequenza positiva, che, invece, si era protratta per 14 trimestri consecutivi, vale a dire per tre anni e mezzo dei Governi a guida PD. Una recessione che, quindi, non può essere attribuita a chi ha governato prima, lo dicono i numeri, come invece ha voluto dichiarare il Vicepremier Di Maio, ma ad una politica miope, sorda e confusa di un Governo che non ha ancora capito - e questo decreto lo dimostra - che, senza investimenti, e in legge di bilancio aveva l'occasione per farlo e ha perso anche quell'occasione per dare un segnale concreto al sistema produttivo italiano, che l'ha capito che vi ha già dato dei messaggi, soprattutto da quelle regioni nelle quali spesso c'è il fermento quando inizia la ripresa economica, e mi riferisco al Veneto, dal quale provengo, ma molte altre regioni, il sistema produttivo vi sta avvisando che avete preso, imboccato la strada sbagliata, che è necessario che si dia sostegno al mondo produttivo, perché senza impresa, non c'è lavoro e non c'è sviluppo. Questo è un paradigma che non vi è assolutamente chiaro, che in questo decreto dimostrate di non aver compreso e di non aver assolutamente voluto portare avanti e per tutti questi motivi riteniamo questo decreto insufficiente e assolutamente contrario rispetto agli annunci importanti e assolutamente sentiti dal Paese, relativi alla semplificazione e al sostegno alle piccole e medie imprese. Avete perso anche questa occasione per dare dei segnali concreti, credo che ormai non ci siano molti altri segnali da dare. Noi siamo qui, vi aspettiamo, vi misuriamo su quello che proponete, ma fino ad oggi - non siamo noi a dirlo, ma è il mondo produttivo a dirlo - dimostrate di non aver capito qual è la strada da imboccare per far ripartire l'economia di questo Paese.