Data: 
Lunedì, 12 Maggio, 2014
Nome: 
Fabrizia Giuliani

A.C. 2309

Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, la norma che compie questo processo – lo hanno ricordato tutti i colleghi che hanno parlato prima di me – conclude un percorso che è lungo e complesso, ma io penso che sia proprio questa la ragione che ci deve spingere oggi a mettere un punto fermo. Dobbiamo farlo non solo perché qui sono in gioco i diritti umani, ma perché qui è in gioco la dignità. E quando sono in gioco questi aspetti – lo hanno ricordato molto bene, lo hanno sottolineato i relatori quando hanno introdotto questo provvedimento – è in gioco la qualità democratica di un Paese.
  Considero, dunque, questa norma un atto necessario per un Paese membro della Comunità europea e soprattutto per un Paese che vuole partecipare al processo di costruzione europea rafforzandone i valori fondanti.
  Io credo che proprio per questa ragione occorra fare veramente molta attenzione quando si ha a che fare con materie come questa. Infatti, lo hanno ricordato anche le colleghe Binetti e Miotto prima di me, su questo terreno, sul terreno del trattamento delle persone che soffrono dal punto di vista psichico e che, quindi, incontrano nella loro vita, nelle relazioni, nella vita collettiva e civile pregiudizi, condanne facili, ogni volta che si ha a che fare anche con pene connesse a questo tipo di sofferenza, noi sappiamo che il nostro Paese ha un'eredità importante sulle spalle, atti normativi importanti.
  Lo hanno ricordato prima di me: la legge n. 180, le norme Gozzini. Ora, quelle riforme sono state improntate, al tempo, ad un'innovazione coraggiosa, carica di premesse migliori. Hanno accompagnato ed hanno segnato – penso anche, per esempio, i racconti ed i film che hanno accompagnato quegli anni – quella stagione di riforme in modo inequivocabile.
  Ecco, proprio perché la materia è delicata e questo processo è stato anche segnato da controverse importanti, io penso che ciò che questo passato ci consegna è che non si deve in alcun modo cedere alla sicurezza di apparati ideologici che sono irreparabilmente consumati. Non ci si può ancorare a vecchie certezze. Quando ci si accosta a questa materia – proprio perché è così delicata e complessa, perché tocca la vita delle persone, tocca le relazioni, tocca la qualità, possiamo dire, della nostra quotidianità – occorre davvero trattarla con rispetto e delicatezza, occorre andare al merito, mettere da parte certezze che si sgretolano poi, di fronte alla vulnerabilità ed al limite che la vita ci mette davanti. E proprio perché la materia è così delicata, aggiungo e faccio una considerazione politica, sarebbe davvero opportuno sottrarla alla strumentalità ed alla contingenza della discussione politica, perché queste polemiche e questi giudizi facili che abbiamo ancora una volta ascoltato in quest'aula – i giudizi affrettati, le condanne morali, le condanne di chi ha preso queste decisioni – dovrebbero davvero arrestarsi di fronte alla sofferenza e invece farsi partecipi di una risposta costruttiva.
  Hanno già ricordato prima di me i colleghi l'iter di questo programma, di quello che oggi qui andiamo a discutere. Questa norma risponde alle esortazioni delle più alte figure istituzionali, ma soprattutto risponde alle esortazioni dei territori, delle comunità.
  La relazione Marino, che è stata più volte ricordata, ha davvero messo tutti di fronte a questioni che non avremmo davvero mai voluto leggere.
  Voglio soltanto ricordare qualche riga estrapolata da un'intervista resa dall'allora senatore Marino ad un'associazione di volontari di Bologna: «Sono di fronte a persone nude, legate ai letti, con al centro un buco arrugginito per la fuoriuscita degli escrementi. Questi sono luoghi senza frigorifero per raffreddare l'acqua da bere, nonostante la temperatura sia di 40 gradi. Gli internati utilizzano la latrina di un bagno alla turca per rinfrescare le loro bottigliette d'acqua. I soggetti sono internati senza alcun tipo di pericolosità sociale manifesta. Mi viene in mente» prosegue ancora «un uomo che era stato internato nel 1985 perché si vestiva da donna. L'abbiamo ritrovato ancora ai giorni nostri, ancora internato e ancora vestito da donna».
  L'iter e il seguito dell'iter legislativo è noto ai più: dopo che il decreto-legge del 2011 aveva previsto la chiusura degli ospedali psichiatrici entro il 31 marzo del 2013, ritardi sia nell'attuazione dei programmi regionali di accoglienza degli internati che della disciplina attuativa da parte dello Stato hanno portato il Governo, nel 2013, al differimento della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.
  Ora io credo che gli aspetti più importanti del testo che abbiamo oggi in discussione sono quelli che sono stati ricordati.
  Tra sei mesi ci sarà la verifica, da parte dei Ministri della salute e della giustizia e del Comitato paritetico OPG sull'attuazione da parte delle regioni delle nuove norme.
  I programmi regionali dovranno dimostrare, appunto, che entro il 31 marzo del 2015 gli OPG saranno realmente chiusi, pena il commissariamento immediato per le regioni inadempienti.
  Viste le tempistiche, alle regioni è consentito rivedere i programmi sulle REMS, che sono già state ampiamente ricordate dai miei colleghi e su cui non mi dilungo ancora.
  Sottolineo soltanto che l'internamento dei pazienti deve essere davvero l’extrema ratio, l'ultima opzione attuabile, viste le nuove disposizioni, che privilegiano misure alternative e quelle relative alla pericolosità sociale.
  Entro 45 giorni dall'approvazione della legge, le regioni dovranno trasmettere al Governo ed alla magistratura i programmi di dimissione degli attuali internati negli ospedali psichiatrici giudiziari, motivando le ragioni che dovessero impedirle.Il giudice, anche quello di sorveglianza, adotterà misure alternative al ricovero, salve eccezioni, anche per misure provvisorie e per dimissioni.
  Il punto fondamentale è il seguente: le condizioni economico-sociali e la mancanza del progetto terapeutico individuale non potranno più motivare la pericolosità sociale e dunque l'internamento e nemmeno le proroghe.Questo è un dato che io considero, non solo importante dal punto di vista giuridico, ma soprattutto culturale. In parole semplici, il fatto che il paziente sia povero anche dal punto di vista di relazioni sociali e familiari non lo rende socialmente pericoloso, come pure un malato senza cure e abbandonato dai servizi non può essere pericoloso.
  Non intendo davvero ancora entrare nel merito, né alimentare polemiche sul perché siamo arrivati ad un'ulteriore proroga. È arrivata, accogliamola, andiamo avanti. Traiamo da questo l'occasione per far avanzare il nostro Paese nel percorso di una crescita civile e di rispetto della vulnerabilità e della dignità delle persone vulnerabili, come abbiamo fatto anche con altre norme, se vogliamo apparentemente eterogenee, come quelle che hanno trattato l'omofobia e la violenza contro le donne, ma anche quel faticoso processo di revisione che stiamo avviando degli istituti delle pene, della rieducazione e della prevenzione. Ecco, io credo che davvero su questa strada occorra proseguire, non solo senza modificare questo decreto-legge per arrivare, quindi, ad un superamento di questi OPG, ma soprattutto perché dobbiamo convincerci che questa è la strada lungo la quale proseguire nonostante le difficoltà e le resistenze che incontriamo da parte spesso di parti politiche eterogenee. Ma non c’è dubbio che è questa la strada da seguire perché forse abbiamo oggi anche le condizioni politiche per farlo.