Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 1 Febbraio, 2016
Nome: 
Fabrizia Giuliani

A.C. 3297

 

Grazie, Presidente. Dunque, io non voglio entrare ancora nel merito – lo ha già fatto, prima di me, il relatore – ma vorrei soltanto soffermarmi su alcuni aspetti politici che sono legati al testo che abbiamo in discussione e che ritengo importante sottolineare e condividere in questa sede, in primis, il fatto che la linea giuridica e anche l'indirizzo politico che sostiene la linea che abbiamo fin qui tenuto è in sintonia con quanto viene affermato nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Volevo ricordare anche questo dato perché, sempre più, ci mettiamo su quella strada, giustamente, dove si afferma, non solo che la parità di genere deve essere assicurata in tutti i campi, ma che il principio di parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a sostegno del sesso sottorappresentato. 
In secondo luogo, vorrei soffermarmi ancora sui provvedimenti che appunto abbiamo approvato nel corso delle ultime due legislature, per promuovere l'equilibrio di genere all'interno delle assemblee elettive, sottolineando appunto come questo sia un discorso ormai sempre più affermato e sostenuto a livello trasversale e stia anche portando a risultati importanti. 
Nella scorsa legislatura è stata approvata – veniva ricordato poco prima – la legge n. 215 nel 2012, volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali. Nella legislatura in corso, abbiamo introdotto misure per garantire la rappresentanza di genere nel sistema di elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, che ha dato frutti molto importanti, nonché le correzioni che sono state apportate all’Italicum, provvedimenti che, in qualche misura, appunto, stanno ottenendo dei risultati importanti e, quando si va su questo terreno, non si parla soltanto di rappresentanza. Sappiamo appunto che si stanno ottenendo risultati importanti, se guardiamo anche agli indici del Gender Gap che e sono stati pubblicati lo scorso novembre dal World Economic Forum, un indice che analizza e monitora la situazione dell'uguaglianza di genere in 145 Paesi. Queste misure hanno consentito all'Italia di raggiungere il settantanovesimo posto e di passare dal sessantanovesimo al quarantunesimo, confermando il trend positivo di miglioramento registrato. 
Leggendo i dati relativi all'indice, si scopre appunto che uno dei settori, nei quali le donne italiane hanno fatto il balzo in avanti più importante, è esattamente quello del potere politico, un miglioramento che è stato reso possibile nelle ultime elezioni politiche europee e che ha consentito al nostro Paese di raggiungere i Paesi europei più moderni. 
Nel febbraio del 2013 sono state elette infatti 198 deputate, pari al 31,4 per cento degli onorevoli, contro il 16,3 per cento del 2006, il 20,2 per cento del 2008, mentre, alle ultime elezioni europee – mi riferisco naturalmente al 25 maggio del 2014 – le donne elette nella delegazione italiana sono state il 39,7 per cento, contro il 22,2 per cento del 2000. Questo cambiamento è stato reso possibile, non solo da una volontà politica più orientata al rispetto di una reale democrazia paritaria, ma anche dalla nuova legge elettorale che abbiamo appena ricordato. 
Se però volgiamo lo sguardo ai numeri delle assemblee elettive regionali – come è stato fatto poco fa dal relatore – questo entusiasmo inevitabilmente si smorza, perché qui, in media, le donne sono rappresentate in misura anche inferiore al 18 per cento, che ricordavo. 
Come è noto, il sistema di elezione dei consigli regionali è demandato alle scelte delle singole regioni, tenute però a muoversi entro il parametro tracciato dal legislatore statale, cui compete di fissare i principi della materia. 
Ora, come ricordavo in precedenza, già nel 2012, il legislatore aveva messo mano alla legge n. 165 del 2004, al fine di aggiungere tra i principi fondamentali cui si devono attenere i legislatori elettorali regionali il principio di pari opportunità.  Per essere più precisi, la legge, da allora, dispone che le regioni, nell'elaborazione delle proprie leggi elettorali, siano vincolate anche al principio della promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive, attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso al genere sottorappresentato. Come si può facilmente comprendere, siamo tuttavia in presenza di una formulazione ancora generica, che si limita, di fatto, a ripetere quanto già è stabilito e non è un caso se gli effetti della modifica, introdotta ormai quattro anni fa, non abbia prodotto i risultati sperati. 
Dati alla mano, escluse le esperienze dell'Emilia Romagna, che raggiunge il 34,7 per cento, della Toscana (27,5 per cento) del Piemonte (26 per cento), tutte le altre regioni faticano a raggiungere una presenza di donne che rappresenti almeno un quarto del consiglio, con regioni come la Sardegna che si attestano intorno al 7 per cento, all'Abruzzo, al 3,4 per cento, alla Calabria, al 3,3 per cento: qui non arriviamo neanche a sfiorare il 10 per cento. Non vorremmo poi neanche menzionare casi come quello della Basilicata, che non ha eletto alcuna donna all'interno del proprio consiglio. È evidente, dunque, che, quando si parla di democrazia paritaria, non si tratta di quote o di tutela di una minoranza, come purtroppo, ancora troppe volte, viene ribadito, ma di sgombrare quegli ostacoli che consentano davvero al merito di correre, perché si fa fatica a pensare che regioni, come la Basilicata, o ad altre che ho citato, non dispongano di donne in grado di accedere a questa carica. 
Questi dati e queste statistiche acquisiscono un valore ancora più allarmante, se si pensa al ruolo cruciale che le regioni e i consiglieri regionali avranno nel nuovo Senato – questa mi sembra poi la materia che andremo a discutere, quando andremo in Aula – e l'impatto che avrà questa norma elettorale rispetta il nuovo impianto costituzionale ed istituzionale. 
Come cercavo di spiegare in precedenza, il cammino che il nostro Paese ha intrapreso negli ultimi anni per raggiungere l'obiettivo di una democrazia paritaria, che è cosa diversa dalle quote – lo voglio ribadire ancora – ma è un criterio che consente a uomini e donne di vedersi riconosciuta pari dignità, non soltanto nella sfera privata, ma anche in quella pubblica, ha fatto segnare passi avanti all'intero Paese. 
Il miglioramento che abbiamo prima riportato, a proposito appunto dell'ambito politico che ci circoscrivevano gli indici del Gender Gup, non può rappresentare un elemento di piena soddisfazione o coprire i principali problemi che le donne italiane affrontano quotidianamente, soprattutto in ambito economico e lavorativo. 
Nonostante appunto gli indubbi miglioramenti, non dobbiamo dimenticarci che l'Italia resta nelle ultime posizioni, se la si confronta con altri Paesi europei, e che il cammino verso una reale uguaglianza, che riconosca le differenze, è ancora purtroppo lungo e pieno di ostacoli, basti pensare che il Fondo monetario internazionale, nel suo ultimo rapporto sui danni del sessismo, ha certificato che l'Italia potrebbe crescere di ben il 15 per cento in più, se solo riuscisse a liberarsi dai lacci delle discriminazioni di genere. Non parliamo, dunque, soltanto di rappresentanza, ma anche di equilibrio economico, benessere complessivo, sviluppo, insomma. 
Il nostro Paese, anche attraverso le riforme portate avanti da questo Governo, si sta mettendo sulla via, si sta avviando man mano a diventare una democrazia moderna e matura e il Parlamento più rosa della Repubblica italiana ha il dovere di fare la propria parte per adottare i provvedimenti necessari a facilitare e ad accompagnare questo cambiamento. 
Per questo motivo, non posso che auspicare che le norme che stiamo discutendo qui oggi in Aula, che incidono direttamente ed in maniera positiva sulla qualità della nostra democrazia, possano ricevere, anche in quest'Aula, il consenso più ampio e trasversale possibile.