Grazie, Presidente. Signor Ministro, onorevoli colleghi, di solito si sa che il DEF ha un po' una testa rivolta all'indietro e una testa rivolta avanti. C'è la parte all'indietro che è appunto il tendenziale, che ci dà una rappresentazione di cosa è successo nel Paese dal punto di vista macroeconomico; e poi c'è la parte rivolta avanti sul programmatico, che degli eventi noti quest'anno non si è svolta ma che, se vogliamo, nella discussione di oggi sulle risoluzioni in qualche modo ha una sua dignità. Anche nel mio intervento dividerò il mio pensiero in due parti: la parte con la testa rivolta all'indietro e la parte con la testa rivolta avanti.
Veniamo alla prima. Che cosa è successo nell'economia di questo Paese negli ultimi quattro anni? Noi venivamo, nel 2014, da un doppio colpo mortale: uno choc congiunturale, una caduta di 25 punti della produzione industriale, una perdita di più di un milione di occupati, una perdita di diversi punti di PIL, quella che recentemente la Banca d'Italia ha riconosciuto essere la più grave crisi economica della storia italiana, superiore anche a quella del 1929. Quello era lo choc congiunturale e in più venivamo da un problema strutturale: in questo Paese da metà degli anni Novanta la produttività, che è il motore definitivo dell'economia nel lungo periodo, non cresceva più e rimaneva ferma o addirittura in diminuzione.
In mezzo a queste due tipologie di problemi, quello strutturale, che viene da lontano, e quello congiunturale, l'influenza momentanea, avevamo il problema delle banche, che aveva un po' entrambe le caratteristiche: era un po' un problema congiunturale, perché è evidente che quando sei colpito dalla più grave recessione della tua storia le aziende di credito vanno in sofferenza perché fanno fatica a rientrare dai prestiti, ma avevamo anche un problema strutturale dovuto a come le nostre banche erano gestite. In questo Paese fino a vent'anni fa, che in tempo storico non è nulla, le banche erano enti di diritto pubblico, dove per aspettare il nome dell'amministratore delegato non bisognava aspettare l'esito di un concorso internazionale ma bisognava aspettare l'esito di un congresso di partito, con tutte le scelte e le distorsioni derivanti da queste sbagliate scelte di allocazione del credito.
Questo era il Paese che il Partito Democratico ha preso in mano nel 2013 e nel 2014. Che Paese riconsegna, certificato dai conti di questo DEF? Riconsegna un Paese in cui il PIL cumulativamente in questi anni guadagna tre punti e mezzo, non ancora quelli che ha perso durante la più grave crisi della sua storia ma ha ripreso a mettersi in moto; l'occupazione ritorna ai livelli precedenti la crisi, con il guadagno di un milione e duecento mila occupati. Vorrei dire all'onorevole Mollicone, che parla dei giovani precari, delle angherie, eccetera, che in questo Paese nel 2014, nel febbraio 2014, la disoccupazione giovanile era al 43 per cento e adesso è al 32 per cento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), e se mi ritirate ancora di fuori la storia dei lavori di uno o due ore io dico che forse in tv non c'è questo obbligo ma in quest'Aula l'obbligo di aprire bocca soltanto quando si sa quello che si dice dovrebbe esserci (Commenti dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), perché se voi guardate i dati Istat, se andate sui dati Istat questi vi dicono quante sono le persone che lavorano da una a dieci ore settimanali. Ebbene, nel 2014 erano il 3 per cento degli occupati mentre adesso sono il 2,5 per cento degli occupati. gli investimenti privati in questo Paese cumulativamente in questi anni si sono ripresi quasi del 10 per cento, del 9,5; il deficit in rapporto al PIL si è dimezzato, dal 3 per cento all'1,6 previsto quest'anno, e il debito pubblico che, lo ripeto, non va misurato in valori assoluti mentre continuate a dire 300 miliardi, 200 miliardi: il debito in valori assoluti cresce sempre finché c'è un deficit positivo, ma il debito va misurato in rapporto al PIL e in rapporto al PIL si è stabilizzato al 131,8 per cento, anche se è un valore molto alto.
L'onorevole Cantalamessa - Presidente, glielo riferisca quando lo vede - dice che invece in questi anni ci sono stati tagli alla sanità e agli enti locali. La sanità nel 2014 aveva un finanziamento di 109 miliardi di euro; quest'anno è superiore ai 116 miliardi di euro. Ma di quali tagli stiamo parlando? Forse stiamo parlando della spesa in rapporto al PIL, perché adesso vi piace questo indicatore. Ma io vi chiedo: perché la spesa sanitaria deve essere misurata in rapporto al PIL? Il debito va misurato in rapporto al PIL perché è chiaro che il fardello che ho sulle spalle dipende dalla mia capacità di ripagarlo; le tasse vanno misurate in rapporto al PIL, perché è evidente che altrimenti più guadagno più in valore assoluto pago tasse. Ma che cosa vuol dire esattamente che la spesa sanitaria in rapporto al PIL deve crescere? Pensatelo su un individuo: ma è vero che quanto più divento ricco più devo spendere in sanità? Non è un indicatore giusto. È l'unico che potete usare, perché in valore assoluto cresce la spesa sanitaria in questi anni, ma non è un valore corretto. La spesa sanitaria cresce se la popolazione invecchia, non se il PIL diventa maggiore.
Vengo poi gli enti locali. Ma in che mondo stiamo vivendo? L'ultimo taglio ai comuni in questo Paese c'è stato nel 2014, con effetto sul 2015. Da allora non è stato tolto più un euro di spesa corrente ai comuni. E io voglio sapere a che punto della storia la politica è diventata quella cosa in cui i fatti sono soggetti alla forza di chi ha vinto. Cioè, sembra che, siccome il 4 marzo il Partito Democratico ha preso il 18 per cento, i fatti misurati dalle agenzie indipendenti e dai numeri delle leggi di bilancio non valgono più. Ma a che punto della storia la politica è diventata una cosa in cui i rapporti di forza legittimi, misurati nelle urne, ci portano a guardare indietro e a non vedere la situazione che è ma quella che noi vorremmo che fosse, perché più funzionale alle nostre esigenze di propaganda? Non è questo il dibattito pubblico che vogliamo e non credo sia questo il dibattito pubblico che i cittadini ci chiedono.
Ora tocca a voi. Non c'è un DEF programmatico, c'è una risoluzione che richiama gli impegni che questo Governo ha assunto nelle sue comunicazioni della settimana scorsa e in quelle comunicazioni c'era scritta la flat tax, richiamata da molti in questo intervento. Nelle dichiarazioni giornalistiche ho letto che la flat tax forse viene fatta entro agosto, e lo diceva il viceministro Garavaglia probabilmente. Il Presidente Conte, durante il dibattito sulle comunicazioni del Governo per la fiducia, a una sollecitazione specifica ha risposto che la flat tax verrà intesa come un sistema di aliquote con no tax area e progressivo. E io ho cercato impunemente di chiedere in che cosa un sistema di aliquote con no tax area e progressivo si differenzi dalla situazione attuale. Viene continuato a dire che la flat tax verrà inserita sulle imprese, dimenticando che esiste da tempo, ma viene detto: “No, va bene esiste da tempo ma noi la mettiamo al 15 per cento”. Per scendere dal 24 al 15 per cento di IRES servono 13,2 miliardi. Io non ho ancora capito dove li andate a prendere.
Onorevole Centemero, la statistica che lei citava - il 64 per cento - è il total tax rate della Banca mondiale, a onor del vero calcolato da Banca mondiale e PricewaterhouseCoopers. È riferita all'anno 2015. Se lei va a guardare - a meno che anche questo sia stato cancellato dal 4 marzo -, ma se voi andate a guardare lo stesso rapporto della Banca mondiale e di PricewaterhouseCoopers per il 2016 quel numero è al 48 per cento, inferiore a Francia e Germania, cioè il peso delle tasse e dei contributi su una piccola e media impresa rappresentativa.
Per quanti anni continueremo a citare il 64 per cento, dimenticandovi che, nel frattempo, qualcosa è successo in questo Paese e quel numero un po' è sceso? Avete detto che volete fare la pace fiscale, cioè un condono, perché avete letto che ci sono mille miliardi di crediti in pancia all'Agenzia delle entrate dal 2000 al 2016, ma vi siete scordati di leggere la riga sotto di quel rapporto della Corte dei conti che dice che la maggior parte di quelli sono riferiti ad attività produttive non più esistenti e che di esigibili ce ne sono circa ancora 60. E state dicendo che, applicando un'aliquota che non ho capito, del 20 o 25 per cento, su quei 60 ne ricavate 50? Di che cosa esattamente stiamo parlando? Non parlo neanche dell'effetto negativo che ha il condono sulla futura compliance, cioè sui futuri incassi fiscali, ma mi volete spiegare come si fa ad applicare un'aliquota di sconto su una cartella vecchia, che ammonta a 60 miliardi di euro, e ricavarne 50, applicando un'aliquota di sconto del 20 per cento? A casa mia il 20 per cento di 60 miliardi non fa 50 miliardi!
Gli impegni programmatici di questo Governo sulla finanza pubblica variano a seconda dei giorni pari e dei giorni dispari. Nei giorni dispari si dice che il debito va cancellato, che non è un problema, perché, spendendo di più, tanto il PIL cresce e il rapporto debito/PIL scende. Poi qualcuno vi avverte che non è esattamente la cosa da dire, anche per rassicurare chi ci presta 400 miliardi all'anno, e nei giorni pari - oggi è un giorno pari, no, il contrario - dite e scrivete nella risoluzione che farete tutto nel rispetto degli impegni europei.
Nella risoluzione di maggioranza avete scritto che rispettate gli impegni europei. Non so se, mente lo scrivevate, avevate presente quali fossero questi impegni europei. Questi impegni europei vi obbligano a raggiungere fra due anni, non fra vent'anni, il pareggio di bilancio nominale, cioè scendere dall'1,6 del PIL di deficit previsto per quest'anno allo zero nel 2020. Quindi, voi ci state venendo a dire che nei prossimi due anni ridurrete il deficit di quanto noi lo abbiamo fatto in quattro anni? E come finanziate tutte le cose che avete promesso agli italiani e sulle quali avete raccolto il vostro legittimo consenso? Le priorità non sono queste, signor Presidente; le priorità sono andare in Europa con cognizione di causa. Noi siamo stati in Europa e il Ministro Padoan è stato in Europa in questi anni proponendo concretamente come cambiare le regole fiscali.
In Europa si va dicendo qualche “no”, ma dicendo qualche “sì” e facendo le alleanze giuste in un contesto intergovernativo complicato come è l'Unione a 28 o a 27. In Europa si va con proposte chiare e concrete su come modificare le regole fiscali, su come dire “sì” al Fondo monetario europeo e su quali concessioni politiche fare per raggiungere quell'obiettivo nell'interesse di tutti. Le priorità sono gli investimenti privati. Le aziende di questo Paese ancora aspettano di sapere se e come gli incentivi agli investimenti selettivi sull'innovazione, iper ammortamento e super ammortamento, ma ci aggiungo anche gli incentivi alla contrattazione di secondo livello per la produttività, se e come verranno confermati e resi strutturali, perché l'aumento di quasi 10 punti degli investimenti privati occorso in questi anni, grazie anche ai nostri Governi, non può fermarsi. L'investimento, per definizione, è un'attività che guarda al futuro: se un imprenditore non ha certezze su come sarà il trattamento fiscale di questi investimenti, smette di investire subito.
L'anno prossimo fanno dieci anni dalla legge sul federalismo fiscale, la legge n. 42, che io considero uno dei fallimenti di centrodestra e di centrosinistra della cosiddetta Seconda Repubblica. Ci prendiamo l'impegno, a dieci anni da quella legge, di farne un'altra migliore? Presidente, dica all'onorevole Cattaneo, abbia pietà, federalismo significa meno spesa pubblica, federalismo significa autonomia fiscale e meno spesa pubblica. Non so se si è messo d'accordo con il presidente Zaia, che, nel motivare la sua richiesta di autonomia fiscale, ha chiesto, invece, più soldi. Cioè, dice: datemi quelle funzioni, ma calcolatemele non al costo storico, ma al costo dei fabbisogni standard, di modo che io possa avere più risorse. Quindi, è evidente che così il giochino non si tiene. Mettiamoci d'accordo: se il federalismo in questo Paese significa che ognuno può spendere di più senza vincoli, quello non è federalismo. Federalismo, come lo intendiamo noi, è l'accoppiata di autonomia e responsabilità, e in questo Paese chi vuole essere autonomo non vuole essere responsabile e chi è responsabile non vuole essere autonomo. Solo se combiniamo questi due pezzi di ragionamento facciamo un buon servizio al Paese. La priorità è il welfare, signor Presidente. Per la povertà abbiamo presentato una proposta per l'estensione del REI, senza voli pindarici. Per l'occupazione femminile, perché sono quei dieci punti in meno di tasso di occupazione femminile che abbiamo rispetto all'Europa che ci danno quel gap di crescita strutturale, e la mancanza di investimenti pubblici ci dà il gap di crescita congiunturale. Questi sono i bubboni sui quale agire e in fretta. La priorità è continuare il processo di riduzione del cuneo contributivo per i lavoratori a tempo indeterminato. L'OCSE ci mette dietro la lavagna da questo punto di vista. Il cuneo contributivo, la differenza fra quanto costa un lavoratore all'impresa e quanto entra in busta paga, nonostante i nostri sforzi, è ancora il terzultimo, vado a memoria, d'Europa, è ancora troppo alto.
Quindi, la priorità è concentrare le risorse su quel punto. Tutti impegni che abbiamo scritto nelle nostre risoluzioni. Un'ultima cosa sul Sud: va benissimo il Sud, va benissimo maggiore attenzione, va benissimo la clausola del 34 per cento degli investimenti ordinari, ma cerchiamo anche, se vogliamo essere responsabili e non fare comizi in quest'Aula, di ricordarci che il problema del Sud sta anche nel fatto che i comuni del Mezzogiorno spendono riguardo alle funzioni generali di amministrazione molto più del loro fabbisogno standard e sulla spesa sociale molto meno del loro fabbisogno standard. Quindi, il primo problema sta nell'allocazione della spesa degli amministratori di alcune regioni, che, evidentemente, preferiscono concentrare le risorse in eccesso rispetto al loro fabbisogno standard in funzioni, quelle generali, che forse danno più consenso politico, e meno del proprio fabbisogno standard per quanto riguarda la spesa sociale.
Questa è la priorità, e, mentre dedichiamo maggiore attenzione al Mezzogiorno, non scordiamoci anche qui il concetto di più autonomia e più responsabilità, altrimenti un sistema federale non sta in piedi. Signor Presidente, avete utilizzato un termine orribile, non lei direttamente, non voi direttamente, ma il Ministro dell'interno Salvini, nei giorni scorsi, nei confronti di 629 disperati su una nave: è finita la pacchia. Noi vi diciamo che la pacchia è finita per voi. È finita la campagna elettorale, è finita la pacchia di poter chiacchierare senza un riscontro con la realtà o uno scontro con la realtà; da oggi in poi, da questa risoluzione che presentate, è finita la pacchia e comincia il duro ma bellissimo sacrificio di governare. Mentre vi auguriamo nuovamente buon lavoro, vi ricordiamo che al Governo è molto difficile da fare un comizio in campagna elettorale, un comizio in televisione o anche parlare in quest'Aula senza avere la minima idea di quello che si sta dicendo.