Data: 
Venerdì, 9 Gennaio, 2015
Nome: 
Andrea Manciulli

Grazie Presidente, Ministro, colleghi, io sono molto soddisfatto della sua relazione e vorrei, oltre a ringraziare lei, ringraziare per suo tramite anche le nostre forze dell'ordine, i nostri servizi che senza dubbio stanno svolgendo un ottimo lavoro e manifestare loro una grande stima. 
Tuttavia, è evidente che le piazze di queste giornate per la prima volta hanno acceso luci di una consapevolezza diffusa che deve avere la forza di non disperdersi, perché la sfida contro il terrorismo e il terrorismo di matrice islamica non sarà né breve né senza avere, purtroppo, altre prove. E da questo punto di vista penso che quello che accade, quelle piazze chiamino in causa fortemente la politica, chiamino in causa anche noi perché questa battaglia non si vincerà senza unità e senza rigettare, nella maniera più assoluta, ogni possibilità di far scadere il confronto su una materia come questa in un confronto come tutti gli altri nei quali ci si mette un di più ideologico. 
Questa è una materia che ha bisogno di senso dello Stato, ha bisogno anche di senso del dovere di difendere dei valori di democrazia che oggi, perché si è colpita la libertà di stampa, sono evidenti a tutti ma debbono essere altrettanto evidenti come quando in Pakistan muoiono 140 bambini in una scuola o come ieri diversi villaggi di una parte dell'Africa a noi lontana, ma idealmente vicina, vengono bruciati e forse più di duemila persone trovano la morte. 
È una battaglia che va compiuta bene e che ha bisogno di precisione e ha bisogno soprattutto di essere affrontata nel merito, come tutte le battaglie serie. Da questo punto di vista mi permetto di condividere con lei quello che ha detto e vorrei, per sintesi, sintetizzare in tre le grosse minacce che ci riguardano. Forse riguardano in questo momento un po’ meno il nostro Paese ma riguardano gli altri Paesi dell'Europa e dell'Occidente e non possiamo dire che non riguardino in qualche maniera anche noi. È evidente, la prima cosa, che il miraggio di uno Stato islamico ha attivato un rigurgito radicale, perché è un miraggio, è una prospettiva, ed è evidente che se non si colpisce quel miraggio ci sarà una prospettiva attrattiva che per noi è molto pericolosa. 
Il secondo punto. In questi giorni anche nelle trasmissioni televisive – ed è bene parlare su certe cose quando si conoscono in profondità – si sono spesso sovrapposti due temi: i foreign fighter e i «lupi solitari». Non sono la stessa cosa, non sono affatto la stessa cosa e hanno una diversa intensità di pericolosità. I foreign fighter sono un fenomeno più conosciuto e si sa molto di quelli che escono, di chi va a combattere. I «lupi solitari» – come abbiamo visto in Australia e in Canada – sono cellule o entità che si attivano senza che lo si sappia e sono difficili per tutti da fronteggiare. Per il nostro Paese, questa è la prima preoccupazione che dobbiamo avere. 
Terzo. C’è quel tema che lei evocava – e mi avvio a concludere – cioè il tema della competizione; purtroppo, la vicenda dello Stato islamico ha aperto una competizione di visibilità. Ciò ormai lo si vede anche nella tipologia e nel modo in cui vengono dimostrate le esecuzioni; c’è una competizione dell'orrore che è pericolosa per noi. Non commettiamo l'errore di stigmatizzare soltanto ISIS o Al Qaeda, purtroppo si sta assistendo ad una volontà di emergere mediaticamente che è pericolosa e della quale dobbiamo occuparci. 
Per questo, voglio concludere rivolgendomi anche alle altre forze politiche, nel senso di quell'unità che dobbiamo ricercare. Bisogna sfatare alcuni luoghi comuni e io voglio chiudere su due punti che sono poi i punti sui quali si dibatte e sui quali ci si confronta anche criticamente. C'entra l'immigrazione in tutto questo ? Se uno desse una risposta o tenesse qualsiasi atteggiamento manicheo, sarebbe sbagliato; bisogna guardare, ma se c'entra in qualche maniera, non c'entra per le cose che vengono dette. 
Vedete, per me che mi occupo di queste cose da tempo – ci sono persone qui che lo sanno quanto me e chiudo davvero –, per i terroristi, bisogna entrare nella loro testa, è un investimento, e non lo mettono su un barcone. La vera preoccupazione che c’è sull'immigrazione è che ormai le bande armate che stanno dall'altra parte del mare guadagnano tanti soldi con l'immigrazione e con quei soldi finanziano anche il terrorismo islamico: quella è la prima preoccupazione. 
E per finire Sì, concludo subito. Non basta più dire: c’è l'Islam moderato e l'Islam radicale; bisogna preoccuparsi del fatto – e lo devono fare anche le entità musulmane – che nelle nostre periferie sta crescendo un radicalismo più profondo e cresce nelle terze e nelle quarte generazioni. Non è un problema di altri, ma è un problema nostro.  È un problema nostro e noi, da questo punto di vista, dobbiamo metterci tutto l'impegno affinché cresca l'Islam della pace.