Data: 
Mercoledì, 9 Marzo, 2016
Nome: 
Lia Quartapelle Procopio

Grazie Presidente. Ministro, colleghi, vorrei innanzitutto esprimere, a nome del gruppo del Partito Democratico, il dolore per la morte di Salvatore Failla e Fausto Piano e la vicinanza alle loro famiglie, e al tempo stesso la gioia per la liberazione di Gino Polliccardo e Filippo Calcagno. 
Questi sentimenti immagino che ci accomunino tutti, vorrei però che non condividessimo solo questi sentimenti, ma una riflessione: la drammatica vicenda dei nostri quattro connazionali ha evidenziato tutti i problemi che registriamo da tempo in relazione alla Libia. Ne abbiamo discusso in quest'Aula, ne abbiamo discusso in Commissione, sono al centro del lavoro dei ministri degli esteri e della difesa e del Governo tutto, e sono i problemi legati al fatto che in Libia non esiste più un'autorità centrale che controlla il territorio, ma il Paese si trova frammentato tra micro autorità locali in lotta tra loro. 
A questa situazione si affianca una frattura istituzionale grave tra Tobruk e Tripoli e in questa situazione di instabilità totale si sta facendo strada la crescente islamizzazione delle milizie e la penetrazione di elementi, anche stranieri, collegati al terrorismo di Daesh. Sappiamo che alcune milizie utilizzano la connotazione religiosa per contrapporsi a forze più laiche, sappiamo anche che altre milizie invece hanno brandito effettivamente la bandiera nera di Daesh. Quello che è certo è che, nella grave situazione di fluidità della Libia, basta pochissimo perché il quadro cambi e perché vi sia una radicalizzazione delle posizioni. La frammentazione libica ha radici profonde ed è legata al percorso storico dello Stato. Ci sono stati due tentativi di costruzione dello Stato libico, con limiti oggettivi. Il primo è stato un tentativo coloniale fondato su una conquista militare; il secondo è stato il tentativo anticoloniale, fondato su un'aspirazione legittima, cioè l'indipendenza ma il cui collante era il risentimento nei confronti del conquistatore, e poi con Gheddafi ha preso invece la piega dell'autoritarismo e della negazione dei diritti umani. Ora la Libia sta affrontando una terza fase: o rinuncia ad essere uno Stato e si disgrega consegnandosi nelle mani di altri, o ritrova in sé le ragioni del proprio essere uno Stato libero, indipendente, ma anche democratico e rispettoso dei diritti umani. Se accetta questa duplice sfida, cioè di essere uno Stato unitario e di essere uno Stato di diritto, può cominciare una terza fase nelle sue relazioni con l'Occidente, con l'Europa e con il mondo intero, ovvero quella di un partner privilegiato di una cooperazione tra vicini. Per questo il tema non è l'intervento militare, ma come costruire una solidarietà internazionale con un Paese che deve combattere con le interferenze esterne del terrorismo e le spinte interne alla disgregazione. 
È dal 2011 che l'Italia guarda con grande preoccupazione all'evoluzione della situazione in Libia, lo abbiamo guardato in modo trasversale tra le forze politiche anche con forti preoccupazioni precedenti a questo Governo. Questo testimonia come l'Italia, intorno a una vicenda così strategica, sa trovare una capacità di ragionamento che è nell'interesse del Paese e riesce a travalicare le contrapposizioni tra forze politiche. La vicenda libica è per noi infatti vitale, non è solo una questione di controllo delle migrazioni, c’è anche il tema della sicurezza energetica e c’è il tema più recente di contrasto all'insediamento di un terrorismo pericoloso in Libia. 
Quando noi diciamo che ci si deve occupare della Libia, ci riferiamo a un quadro più ampio di quello relativo ad un intervento armato, perché invece nel dibattito pubblico di questi giorni è passata l'equazione molto pericolosa che se non si dà l'avvio immediato ad una spedizione militare allora non ci staremmo occupando della Libia, allora l'Italia non avrebbe una politica estera. In realtà non dobbiamo confondere gli strumenti della politica estera, come appunto lo strumento militare, con il quadro di visione necessario ad avere una strategia internazionale, e un quadro di visione si basa sul riconoscere che bisogna affrontare in modo distinto i due problemi della Libia. Il primo di questi è la frammentazione della nazione, che dà origine al secondo problema: la questione del terrorismo legato a Daesh. 
Come diceva il Ministro, riferendosi all'articolo 52 della Costituzione e alla legge n. 124, i nostri apparati di sicurezza sono già impegnati in stretto coordinamento con gli alleati nel contrasto alla minaccia terroristica, ma non dobbiamo dimenticare che il nostro principale nemico è la frammentazione della nazione libica, che è causa della penetrazione terroristica. Sappiamo bene che non è con le bombe dal cielo che si ferma la fragilità delle istituzioni, lo sappiamo dall'Afghanistan, lo sappiamo dall'Iraq. Serve un sentiero politico che costruisca il dopo, serve accompagnare la volontà del popolo libico nel ricostruire il loro Paese. La prima forza di cui la Libia ha bisogno non è la forza degli eserciti stranieri, ma la forza del proprio popolo, desideroso di scrivere una storia unitaria, di essere uno Stato che può sedersi al tavolo con gli altri Stati. È questa la politica estera dell'Italia: sostenere i nostri partner nel primato del diritto, nel rendersi Stato di diritto. 
La strada perseguita con caparbietà, da questo Governo e dai Governi precedenti, segue un percorso condiviso internazionalmente, che si basa su una risoluzione ONU, lo ricordava il Ministro la n. 2259, e su continui sforzi internazionali di mediazione, l'ultimo ha avuto sede qui a Roma ed è stato il vertice ministeriale del 13 dicembre. Qualsiasi altra soluzione, come può essere un intervento affrettato senza una cornice, non solo di legittimità internazionale, ma soprattutto di riconoscibilità interna nazionale alla Libia è estremamente pericolosa. L'Italia, dicendo questo, non si tira indietro rispetto a una responsabilità verso la Libia, lo diciamo da cinque anni, ma proprio per queste ragioni sappiamo che occuparsi della Libia implica non solo l'uso dello strumento militare, ma un insieme di strumenti politici e diplomatici innanzitutto, ma anche di cooperazione ed economici, con una visione di lungo periodo. Questo significa avere una politica estera e questa è la politica estera dell'Italia.