Presidente, colleghe, colleghi, ha ragione il Presidente del Consiglio quando dice che sono giornate decisive, come ha detto nella sua succinta informativa, per la crisi libica, in cui un equilibrio instabile e precario rischia di precipitare in una guerra civile che avrebbe conseguenze umanitarie disastrose, ed è una questione di importanza cruciale per il nostro Paese. Meriterebbe più attenzione dei battibecchi sulle coperture inesistenti, sugli annunci improbabili, sui decreti dai nomi altisonanti che si perdono nelle stanze delle nostre amministrazioni, perché è una grande priorità per il nostro Paese. C'è in gioco il rischio di una catastrofe umanitaria, innanzitutto: due milioni di abitanti nella grande area di Tripoli, più di un terzo degli abitanti della Libia. Pensate che cosa sarebbe una guerra strada per strada, casa per casa, in un contesto come quello.
E ci sono in gioco nostri interessi strategici: interessi della sicurezza, perché è ovvio che in una situazione di guerra il confine tra Tunisia e Libia sarebbe un confine in cui le infiltrazioni dei qaedisti di Anṣār al-Sharīʿa sarebbero molto più semplici. Abbiamo grandi interessi economici: una parte dei nostri approvvigionamenti energetici viene dalla Libia. Abbiamo interessi connessi alle politiche migratorie. Il collega che mi ha preceduto forse li sottovalutava e dava tutta la colpa a Sarkozy, forse dimenticando di far parte di un partito che in quel momento in cui ci fu l'intervento in Libia era al Governo.
Ma, comunque, ci sono questioni che riguardano anche i flussi migratori, perché l'intesa che io raggiunsi con Serraj nel gennaio 2017 è quell'intesa che ha consentito al nostro Paese di infliggere un colpo durissimo ai trafficanti di esseri umani e di far precipitare il numero di migranti irregolari che arrivano in Italia. Su questo, purtroppo, il Governo attuale non ha investito, non ha investito sull'integrazione, non ha investito sulle migrazioni regolari, non ha investito su quello spiraglio che avevamo aperto per consentire alle organizzazioni umanitarie di entrare nei campi dove sono confinati i rifugiati in Libia.
E, quindi, la guerra porterebbe anche conseguenze molto serie dal punto di vista migratorio, perché l'utilizzo propagandistico della chiusura dei porti nei confronti di poche decine di migranti cambierebbe di segno - e voi lo sapete, signori del Governo - nel momento in cui avessimo flussi consistenti di migranti che, per definizione, avrebbero diritto all'asilo visto che fuggono da una situazione di guerra. Tutto questo, dunque, è fondamentale per i nostri interessi nazionali.
Lei, signor Presidente, si è presentato come avvocato del sovranismo populista e qui si parla di interesse nazionale, ma l'interesse nazionale non si difende eccitando gli animi a Casal Bruciato; l'interesse nazionale si difende in Libia in questo momento. L'interesse nazionale non si difende andando a incontrare i gilet gialli che sfasciano Parigi; l'interesse nazionale si difende oggi accanto ai diplomatici, ai militari e all'intelligence che lavorano a Tripoli, a Bengasi e a Misurata. Noi cerchiamo di difendere la nostra patria. Il nazionalismo, caro Presidente, rischia di danneggiarla e non è la prima volta che succede una cosa del genere, come lei sa, in questo Paese. Dopo due o tre anni di fragile equilibrio la situazione si sta sgretolando e purtroppo la Conferenza di Palermo - e mi dispiace doverlo dire - alla fine è risultata solo un'occasione per qualche foto ricordo.
Ma è ancora possibile fermare il disastro. L'Italia non deve avallare l'offensiva del generale Haftar né in pubblico né dietro le quinte. L'Italia può recuperare un ruolo cardine nella comunità internazionale per premere per una soluzione politica nell'ambito delle Nazioni Unite, in cui si consolidi un equilibrio di cui facciano parte non solo Haftar e Serraj ma anche le mille altre componenti del contesto libico. Questo ruolo potremmo recuperarlo ad alcune condizioni: la prima è il ricoinvolgimento degli Stati Uniti. Noi siamo stati in grado di promuovere consenso internazionale attorno agli accordi del 2015 grazie alla collaborazione degli Stati Uniti. Senza gli Stati Uniti non riusciamo a svolgere un ruolo e, purtroppo, gli Stati Uniti in questo momento non ci sono. Dunque, il primo obiettivo della nostra diplomazia è coinvolgere di nuovo gli Stati Uniti. In secondo luogo, abbiamo bisogno - udite, udite - dell'Unione europea. Abbiamo bisogno, lavorando con alcuni Paesi e, in modo particolare, con la Germania, con la Spagna e con Bruxelles naturalmente, di costruire una cornice europea nella quale anche i diversi interessi che si manifestano talvolta in quell'area tra l'Italia e la Francia vengano racchiusi in una cornice comune. E, infine, dobbiamo rassicurare tutti i vicini: nessuno può vincere questa guerra per procura e gli unici a perderla sarebbero i libici.
Ma, in conclusione, non nascondiamoci, colleghi, che la vera condizione per poter tornare a svolgere un ruolo è da noi, è in casa nostra. Noi abbiamo un Governo in cui qualcuno dice a Mosca di sentirsi più a casa che a Bruxelles, qualcun altro manifesta simpatia per Maduro, molti sono entusiasti del Presidente Trump, tranne poi bisticciare con gli Stati Uniti perché si fanno delle aperture alla Cina in cambio di piccoli piatti di lenticchie.
In questo quadro è molto difficile che noi si svolga un ruolo. Non siamo mai stati così isolati in Europa e nel Mediterraneo!
E allora per concludere, signor Presidente, all'insegna di quel motto che oggi va così tanto di moda, “tanti nemici, tanto onore!”, non solo avremo caos in Libia ma avremo un'Italia più debole ed emarginata. Cambiate rotta finché siete in tempo, cambiate rotta e se lo farete avrete il nostro pieno sostegno.