Grazie, Presidente. Se dovessi riassumere, illustri esponenti del Governo, in due concetti - due! - il senso di questo mio breve intervento, a corredo del lavoro paziente svolto da Lia Quartapelle Procopio con questa mozione sulla questione democratica a Hong Kong perché di questo si tratta - e mi lasci ringraziare tutti i gruppi parlamentari che hanno aderito e sono stati promotori di questo atto della Camera dei deputati -, Presidente, quello su cui vorrei riflettere con lei direi: diritti umani e Rule of Law. Nel dubbio delle convenienze e degli interessi, degli affari e delle relazioni, degli scambi commerciali e dei legami profondi, quando ti confronti con la misura di una democrazia, con la libertà dei suoi cittadini, non puoi che ripartire sempre e di nuovo da lì, dallo Stato di diritto, dalle sue condizioni e regole, dalla sua salute e dal rispetto dei diritti umani e civili; che non disegnano il perimetro di un protervo Occidente, mai così male in arnese, ma il level playing field, come usa dire oggi, il requisito minimo di reciprocità che dovrebbe - sottolineo dovrebbe - improntare le relazioni con qualsiasi Paese, lo spazio stretto di un dialogo possibile. Che si badi, è un cammino, quasi sempre impervio, molto spesso a perdere, fatto di piccoli avanzamenti, di altrettanti arretramenti, di fatica, anche di contraddizioni, pena l'ignavia, la scarsa credibilità, la ridotta attendibilità degli impegni che prendiamo e chiediamo.
Ne sappiamo qualcosa e qualcosa ne abbiamo visto anche di recente in quest'Aula: parlo del voto per il rifinanziamento delle missioni estere, in particolare penso a quella libica; che è inutile girarci intorno, divide e inquieta lungo linee di faglia che non riesce a ricomporre alcuna ragion di Stato, inquadramento geopolitico o richiamo alla coscienza. Perché nei rapporti tra gli Stati - e chiedo ai presenti una breve sospensione d'incredulità - valgono le leggi che regolano i rapporti tra le persone e addirittura con noi stessi: le stesse attese e aperture di credito, gli stessi dubbi e infingimenti.
Spero di non violare il clima di collaborazione trovato su questa risoluzione sottolineando due punti ai quali tuttavia non vorrei rinunciare. Il primo: una certa qual lentezza da parte del Governo italiano a far sentire la propria voce sulla preoccupante situazione che si è determinata a Hong Kong con l'approvazione della legge sulla sicurezza nazionale; laddove so bene che “propria” voce non significa solitaria, e che l'Unione europea e i Paesi del G7, e dunque noi con essi hanno trovato modo di esprimere perplessità e condanna e apprensione, ma che l'Italia, insomma, non è sembrata - magari è una mia impressione - proprio in prima linea nel chiedere alla Cina il rispetto dei diritti dei dimostranti e dei manifestanti ed esponenti politici arrestati a Hong Kong.
Lo dico - e vengo al secondo punto polemico, e poi, giuro, mi taccio - proprio per evitare che una certa, chiamiamola indolenza, possa prestare il fianco alle accuse strumentali da parte di una destra sovranista, come si dice con un certo sussiego mainstream (io avrei una definizione più icastica, ma evito), alleata con la peggiore risma in giro per l'Europa e nel mondo, pronta a fare la morale sulla liberal-democrazia a chi democratico, se permettete, ce l'ha come ragione sociale. Parlo per me, ma questa cosa mi fa davvero impazzire. E l'altro giorno, quando ho sentito per la prima volta il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale dire qualcosa su Hong Kong a seguito di un atto di sindacato ispettivo della Lega, confesso, mi sono dovuto mordere le mani.
Sono quindi molto contento che oggi siamo arrivati a discutere questa risoluzione, che fa alcune richieste molto precise e stringenti, accorte e intelligenti in linea con le istituzioni europee e con quella che - la dico “a fette” - dovrebbe essere sempre la nostra parte: quella delle democrazie liberali, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Lascio la raffinatezza dell'analisi geopolitica e l'assennatezza di un compromesso possibile ai colleghi deputati, che con maggiore esperienza e competenza hanno lavorato per raggiungere questo importante risultato; e mi faccia citare tra i non tanti giornalisti che si occupano di quel quadrante di mondo lo straordinario lavoro di informazione che fanno Giulia Pompili, Simone Pieranni e Giada Messetti: da loro posso soltanto imparare.
Il grumo che intendo spremere in questi pochi minuti, Presidente, riguarda il punto della libertà e della sua messa a repentaglio, che tanto dovrebbe essere cara ai democratici di ogni latitudine: in particolare della libertà di espressione, la libertà di poter dire pubblicamente le proprie opinioni senza rischiare l'arresto, la violenza, la censura, la detenzione o peggio. Di questo stiamo parlando a Hong Kong e di questo ci parla Hong Kong: del diritto delle persone di potersi esprimere liberamente, così come prevede una democrazia. De te fabula narratur, per quanto la fabula ci appaia remota ed esotica, altra da noi, lontana. Guardi il simbolo di questa lotta a Hong Kong, per esempio, Joshua Wong, richiamato prima dal collega Mollicone: un ragazzo ossuto con un'aria ordinaria, da nerd, giubbotto e jeans, una passione per Guerre stellari e i film della Marvel, niente che somigli alla fascinosa icona di Che Guevara, al rombo della poderosa, che ti viene quasi di dire: tutto qui? ma come, a resistere alla pressione della Cina è questo ragazzo con i suoi amici? Poi leggi, studi, ascolti, aprì gli occhi, e capisci che la lotta coraggiosa, paziente di questi ragazzi ti riguarda eccome.
Leggo da una raccolta di scritti di Wong, se me lo consente, Presidente: “Che vi piaccia o no - cito - la nostra lotta è diventata la vostra lotta, ed è proprio per questo motivo che il mondo libero non può restare a guardare mentre la situazione a Hong Kong non fa che peggiorare. Se Hong Kong fallirà, cadrà la prima linea di difesa del mondo intero, e se i Governi e le multinazionali continueranno a piegarsi alla volontà della Cina, ben presto i cittadini di tutto il mondo cominceranno ad avvertire la spina che abbiamo nel fianco da vent'anni a questa parte”.
Combattere per la Rule of Law, per il rispetto dello Stato di diritto e per la libertà di espressione e il riconoscimento dei diritti umani e civili a Hong Kong ci riguarda: questo dice la risoluzione. Ci riguarda perché riguarda cittadini e la loro battaglia quotidiana per una democrazia liberale. Lo sa, Presidente, lo ricordava prima il collega Mollicone, che tuttavia intervenendo prima in sede di discussione generale sulla Commissione contro le fake news evocava Orwell: già, quell'Orwell quel che combatté in Spagna contro la dittatura fascista. Lo sa, Presidente, che dal 1° luglio ci sono stati quasi 400 arresti, almeno 10 persone poco più che maggiorenni sono detenute per aver violato questa nuova legge sulla sicurezza? E che nonostante tutto questo i ragazzi pro democrazia hanno organizzato lo stesso le primarie per le elezioni legislative?
Badi, dunque, Presidente, rovesciando la lente questa battaglia, con le sue contraddizioni, con i suoi rovesci, con le sue ombre riguarda ognuno di noi in ogni parte del mondo; e mi permetta di sottolineare che la legge sulla sicurezza di Hong Kong probabilmente non è reversibile. Eppure non possiamo fare finta di niente, darla per persa, perché il messaggio sarebbe: okay, d'ora in poi qualunque violazione voi facciate noi ci giriamo dall'altra parte per non urtarvi.
Leggo dall'Internazionale la cronaca recente di Ilaria Maria Sala, giornalista di Quartz e del New York Times di stanza a Hong Kong: “Hong Kong oggi è un posto dove le cose spariscono, pennellate grossolane coprono i graffiti dei manifestanti lasciando spesso ombre. Gli account di Twitter, Instagram e Facebook scompaiono e alcune persone scrivono ai loro contatti chiedendo di cancellare le chat su Whatsapp. Le poche testarde manifestazioni a favore della democrazia che si sono svolte dall'annuncio dell'entrata in vigore della legge, il 1° luglio, sono state portate avanti da ragazzi e ragazze con in mano fogli bianchi, immobili e in silenzio. Alcuni di loro sono stati comunque arrestati dopo che la polizia aveva issato la bandiera viola, quella che avverte su possibili violazioni della nuova legge sulla sicurezza nazionale”.
E ancora: “La stampa ha avuto indicazioni vaghe su quello che si può ancora scrivere, molti opinionisti stanno chiedendo alle loro redazioni di cancellare dagli archivi online gli articoli che potrebbero essere considerati troppo vicini alle posizioni del Fronte Democratico. Altri hanno detto che non si occuperanno più di politica o hanno dato le dimissioni. Il nuovo corso si è già occupato di aprire un'inchiesta su RTHK, la radio e televisione pubblica di Hong Kong, accusata di essere a favore dei manifestanti per aver raccontato l'uso eccessivo della violenza da parte delle forze dell'ordine; un programma satirico è stato sospeso per avere fatto battute sulla polizia”.
Mi consenta allora concludendo, Presidente, anche ad uso di qualche pelosa solidarietà nei confronti della resistenza ad Hong Kong, di terminare ancora con le parole di Joshua Wong, quasi un manualetto, un enchiridion contro la tentazione del potere, di ogni potere, di soffocare il dissenso, di imbavagliare la libertà di opinione, di cancellare e confondere l'espressione del proprio pensiero; e non riguarda soltanto la Cina. Scrive ancora una volta Joshua Wong: “Con l'ascesa dei partiti di estrema destra in Occidente e dell'analoga crescita del populismo in tutto il mondo, anche le economie più avanzate rischiano di ritrovarsi nello scenario della rana bollita di Hong Kong, e di seguito trovate cinque cose che potete fare per contrastare questa minaccia globale”. Leggo: “Uno. Seguite le notizie di attualità e individuate i segnali di pericolo nel vostro Paese, per esempio la crescente polarizzazione politica, la sorveglianza dei cittadini, inserzioni pagate da lobby, il dispiegamento delle forze dell'ordine durante le manifestazioni non violente. Due. Parlate di questi segnali di pericolo condividendoli sui social network, discutendone con i vostri rappresentanti locali e unendovi a un'organizzazione per i diritti civili che si interessa alle questioni che vi stanno a cuore. Ricordate lo slogan: quando vedi qualcosa fallo notare. Un piccolo passo è partecipare a un evento per i diritti civili e capire se vi fa sentire più emancipati e pieni di energia; in caso contrario, provate a partecipare a un evento diverso. Tre. Imparate a riconoscere le fake news sui social network e sui giornali, visitate i siti web che controllano le proprie fonti e parlatene con i vostri amici: credo sia il modo migliore per sviluppare un'alfabetizzazione mediatica e affinare la capacità di distinguere il vero dal falso. Quattro. Proponetevi come volontari per la campagna elettorale di un candidato politico di cui condividete i principi: comprendere il sistema elettorale e immergervi in una campagna dall'inizio alla fine vi permetterà di capire a fondo il processo democratico.
Cinque. Organizzate una piccola protesta riguardante le tematiche che vi toccano da vicino, in relazione ai segnali di pericolo che avete individuato nel punto 1. Lavorate con amici che la pensano come voi per creare semplici striscioni e cartelli. Ricordate: tutte le campagne di successo iniziano con una voce, un volantino e un discorso. Credete nel potere dell'individuo”, fine citazione. Ecco, Presidente, rana bollita o canarino nella miniera, la battaglia per lo Stato di diritto a Hong Kong, l'abbiamo detto, riguarda ognuno di noi, la nostra libertà, i nostri diritti, la nostra democrazia, così fragile e umana, così preziosa e vitale.