Grazie, Presidente. La mozione sul Mezzogiorno che proponiamo oggi al voto dell'Aula e la sua stessa ragion d'essere trovano origine in una semplice e incontestabile constatazione: il Mezzogiorno è assente, totalmente assente nell'agenda e nell'azione di questo Governo. Infatti, lo è sul piano delle politiche, annunciate con grande enfasi da qualche balcone e modificate da insolite manine, ridefinite quasi quotidianamente ma sempre con risultati operativi nulli, la qual cosa rende questo Governo tanto ottimista per il futuro quanto assolutamente catastrofico per il presente. Il Mezzogiorno è assente non solo sul piano delle politiche ma lo è ancora di più sul piano della politica, quella vera e alta, quella che immagina, disegna, costruisce con passione e fatica il modello di società in cui vogliamo abitare e che vogliamo consegnare al futuro.
Per queste ragioni il Mezzogiorno e il suo essere, al contempo, questione e risorsa nazionale non può che costituire pietra d'inciampo e segno di contraddizione per questo Governo e per i partiti che lo sostengono. Come considerare altrimenti l'istituzione di un Ministero per il Sud, anzi la nomina di un Ministro per il Sud dopo aver formalmente consacrato nel contratto di governo l'inutilità di individuare specifiche misure con il marchio Mezzogiorno? Proprio così, Presidente: “con il marchio Mezzogiorno” - e cito testualmente - come se Mezzogiorno fosse un brand commerciale pessimo o, peggio ancora, una sorta di lettera scarlatta e non piuttosto il precipitato di una storia comune e controversa e che, forse, chiede ancora di essere compresa e condivisa fino in fondo.
Quanta distanza culturale, prima ed oltre che politica, tra il marchio Mezzogiorno, evocato dal contratto di governo, e il portato, invece, di opportunità personali, impegno civile ed azione imprenditoriale racchiuso già nella stessa intitolazione del programma “Resta al Sud”. Non si tratta di una contrapposizione lessicale ma di una contrapposizione ideologica: là dove voi auspicate una società che suddivide il poco tra molti, una società impaurita dalla competizione e dal futuro, chiusa nelle sue paure, noi vogliamo, invece, costruire una società aperta, equa, solidale, attiva e responsabile, in cui ciascuno abbia l'opportunità di realizzare al meglio le proprie capacità e il proprio progetto di vita. È a partire da qui che devono essere costruite le politiche pubbliche che coinvolgono cittadini, imprese e territori del Mezzogiorno.
Potete anche considerare il Mezzogiorno come uno stigma, ma sappiate che non è più possibile ignorare chi autorevolmente, da troppo tempo ormai, richiama l'attenzione sul fatto che il sistema Paese è molto più interconnesso e interdipendente di quanto non appaia comunemente guardando le sole classifiche sul divario nord-sud. E non è più possibile negare la radicale necessità, per lo stesso sviluppo nazionale, di un Mezzogiorno capace di crescere, di svilupparsi, di produrre ricchezza e di valorizzare la sua posizione geo-economica e, direi, anche geopolitica al centro del Mediterraneo.
Dunque, l'errore da evitare, anzi il duplice errore è ricondurre il Mezzogiorno ai dati del divario con il Nord ed è anche quello di chi ritiene, anche per questa via, che il Mezzogiorno sia una realtà omogenea e negativa in modo omogeneo. Per favore, prendete atto definitivamente che il Mezzogiorno è una realtà plurale, complessa e variegata, dove accanto a situazioni di degrado economico e sociale ve ne sono altre di grande eccellenza, capaci di performance in linea e addirittura migliori di quelle del Nord, che innovano, producono, sanno essere competitive, che non si presentano con il cappello in mano ma che pretendono dalle istituzioni il rispetto e il riconoscimento che merita chi ha dimostrato che cambiare è possibile e che nulla di ineluttabile è presente nella condizione meridionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Se vogliamo che il Paese cresca abbiamo bisogno che il Mezzogiorno cresca e a tal fine abbiamo l'obbligo di creare condizioni ottimali affinché le dinamiche economiche e sociali, che indagini recenti ci consegnano positive, non subiscano fasi di stallo o, peggio, di regressione.
Abbiamo il dovere, ma voi avete la responsabilità, di non stroncare i fermenti sociali ed economici del Mezzogiorno.
Nell'interesse di tutti e non solo dei cittadini che abitano nelle regioni meridionali, è necessario affermare politiche pubbliche capaci di coniugare sussidiarietà istituzionale e responsabilità collettiva, solidarietà sociale ed efficienza economica, impegno individuale e affiancamento pubblico. Sono questi i criteri che dovrebbero presidiare e orientare l'azione del Governo. È una lodevole aspirazione questa del Partito Democratico? Forse. Certo, se considero che dopo l'obbligo flessibile del concorso non selettivo, siamo stati costretti ad ascoltare autorevoli esponenti del Governo prefigurare addirittura, senza pudore alcuno, la configurazione di diritti sociali geograficamente condizionati nella loro fruizione; se ancora penso alle parole sulla necessità di investimenti produttivi, nello stesso tempo in cui sono costretto a prendere atto del fermo imposto all'ottimizzazione delle risorse già disponibili; se infine rifletto sulle vicende che hanno coinvolto il programma sulle periferie urbane o Casa Italia, beh, allora, se considero tutti questi elementi, è facile comprendere quanto sia dannosa l'incapacità di questo Governo di comprendere fino in fondo rischi e opportunità di un Mezzogiorno che pure ha rappresentato un bacino elettorale significativo dei partiti ora al Governo.
Lo stesso reddito di cittadinanza nelle versioni pre e post elettorali, sempre proposto come panacea per i problemi del Mezzogiorno, dimostra il carattere obsoleto di un paradigma culturale, prima che socio-economico, che ancora propone di leggere il Mezzogiorno come ambiente non ospitale per un sistema imprenditoriale reticolare capace di competere sulla qualità dell'innovazione, anziché sulla mera riduzione dei costi.
La povertà del Mezzogiorno si vince soltanto con la creazione di lavoro, lavoro vero, lavoro produttivo, casomai nei cantieri delle grandi opere pubbliche infrastrutturali che state rovinosamente bloccando o in quelle destinate ad imbrigliare la furia degli elementi naturali, a recuperare territori consumati dall'incuria o, peggio, dalla dolosa indifferenza. È il lavoro che fonda e radica la dignità e la libertà di una persona (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) ed è perciò alla creazione di lavoro che deve essere dedicata ogni risorsa. Per questo - e mi avvio a concludere - abbiamo bisogno di assicurare una quota stabile nel tempo di risorse investite nei territori meridionali, abbiamo bisogno di creare ambienti idonei allo sviluppo di imprese innovative e competitive, abbiamo bisogno di sistemi formativi di eccellenza, abbiamo bisogno di un'amministrazione pubblica organizzata e capace di organizzare servizi essenziali per la vita stessa; abbiamo bisogno di una giustizia civile che sia il miglior deterrente rispetto ad una criminalità mafiosa penetrante ed invasiva, che sempre meno uccide e sempre più corrompe; abbiamo bisogno di strade, ferrovie, porti e aeroporti affinché persone e merci possano muoversi con facilità.
Di fronte al recupero nostalgico dell'appartenenza, delle identità localistiche, degli interessi particolari, della sicurezza e dei confini, il senso politico della mozione proposta dal Partito Democratico è semplice: riprendere e rafforzare lo spirito dei patti con le regioni del Sud e le città metropolitane stipulati negli ultimi anni, impregnati di leale collaborazione e condivisione degli obiettivi, razionalizzazione delle risorse e, soprattutto, espressivi di un comune progetto di sviluppo.
Per questo e concludo, oggi come ieri la Questione meridionale non è, non può essere la questione dei meridionali, ma chiama in causa la nostra stessa identità nazionale e pone una grande sfida, mettendo a prova, a dura prova, la nostra stessa capacità di costruire comunità attive, responsabili, più eque e certo più solidali, non perché lo vuole il Partito Democratico ma perché così vuole la nostra Costituzione