Mozione
Data: 
Martedì, 26 Gennaio, 2016
Nome: 
Vincenza Bruno Bossio

Signora Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, ci stiamo chiedendo forse se abbia un senso un'ennesima mozione sul Mezzogiorno o, meglio, se abbia senso una mozione sul Mezzogiorno. Forse no, però ha un senso – e io credo che questo sia anche il modo con cui si è intervenuti finora – se si promuove un impegno dello Stato, del Governo, del Parlamento, delle regioni per colmare un divario che vent'anni di politiche nordiste hanno provocato, danneggiando, in questo modo, non solo l'Italia ma anche lo stesso nord. Infatti – e l'hanno detto anche gli altri colleghi – è vero che ogni 100 euro investiti nel Mezzogiorno generano acquisti di beni e servizi per circa il 30 per cento nel centronord. Allora ? È questo il problema: non è il Sud ad avere bisogno dell'Italia, ma è l'Italia che ha bisogno del sud. 
D'altra parte, è stato ormai acclarato: questo divario non è nato da fattori genetici o antropologici, ma dalla mancanza di una chiara volontà politica in questi venti anni, come dimostra, d'altra parte, al contrario, l'esperienza della Germania e dell'unificazione con l'est meno sviluppato. 
Ma come è possibile impostare finalmente una politica di sviluppo per il Sud ? Io non mi soffermerò sui punti del PIL, ma insisterò soprattutto su come colmare effettivamente i divari e credo che il senso delmasterplan, che, appunto, si sta facendo fra Governo e regioni, sia proprio questo, sapendo però che, se vogliamo mantenere la visione romana e la leadership territoriale – come ha detto il Segretario, nella direzione del 7 agosto –, dobbiamo fare in modo che gli investimenti non generino più – come hanno generato in questi anni – una coesione all'incontrario. Gli investimenti continuano a rappresentare, ancora oggi, la variabile che più è peggiorata negli ultimi anni; dal picco del 2007, gli investimenti fissi sono calati di circa 34 miliardi e, rispetto al dato pro capite, per il Mezzogiorno, l'importo è di 6,6 per abitante, contro il 10,3. Nel sud, risiede un terzo della popolazione italiana, ma praticamente, nel momento in cui gli investimenti pubblici sono una somma di Stato, regione ed Europa, il Governo di questi vent'anni – in particolare, il Governo Berlusconi e faceva bene il collega Magorno a ricordarlo –, lo Stato centrale ha compensato, con gli stanziamenti nazionali, le maggiori risorse che la politica di coesione prevedeva. Il principale strumento, attraverso cui lo Stato centrale ha riequilibrato la spesa a favore del nord, sono stati gli investimenti delle grandi aziende pubbliche. Se voi pensate che, dal 1996 al 2012, le Ferrovie dello Stato hanno investito solo il 12,9 per cento – e l'ultimo rapporto Pendolaria lo testimonia ancora una volta – ci è praticamente chiaro che cos’è oggi il divario infrastrutturale nel Mezzogiorno. 
Quindi, io credo che nei masterplan si deve invertire questa tendenza della coesione all'incontrario e, per esempio, tornare a fissare l'obiettivo del 2000 e garantire che il 45 per cento degli investimenti complessivi in conto capitale in Italia avvengano nelle ragioni del sud. 
Quindi, far partire gli investimenti al sud si conferma la priorità delle priorità anche perché, se non facciamo questo, non riusciremo a scalfire i dati drammatici della povertà, della disoccupazione e dei precari. Noi meridionali non siamo piagnoni; noi guardiamo la fotografia della realtà e, a fronte di meno investimenti, c’è una povertà relativa che è il 21 per cento nel Mezzogiorno e il 5 per cento al nord, c’è una povertà assoluta del 9 per cento nel Mezzogiorno e del 4 per cento al nord. La riforma del welfare, che è un'esigenza nazionale, diventa insopprimibile nel Mezzogiorno, dove non si può più mantenere un welfare corporativo, che confonda assistenza e previdenza, e che tutela male – come dicevano giustamente sulla mobilità in deroga – e poco solo alcuni di quelli che perdono il lavoro. 
Si può invertire la rotta, si possono colmare i divari, ci sono i punti di forza. L'agricoltura è un punto di forza, l'agricoltura innovativa su cui puntano i PSR delle regioni del Mezzogiorno, che devono sconfiggere l'agricoltura dei caporali. Ieri, una bella notizia: uno schiavo ha avuto il coraggio di denunciare il caporale, e le Forze dell'ordine sono intervenute tempestivamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Questa è difesa della legalità. 
Ma c’è un altro punto di forza del sud: il turismo. Non è un caso che, proprio in quest'ultimo anno, sono cresciuti del 3,6 per cento gli arrivi nel Mezzogiorno rispetto al dato nazionale del 2,7. Allora, anche in questo caso, il PON cultura 2014-2020 deve puntare sugli investimenti in termini di fruibilità del patrimonio storico delle regioni meridionali. E, infine, la manifattura: si dice che non ci può essere sviluppo al sud senza manifattura, ma non vogliamo la manifattura tradizionale; noi vogliamo che il Governo punti su industria 4.0, sull’open innovation, in maniera tale che, nella filiera – diciamo così – dell'innovazione, le PMI innovative, le start-up innovative, che sono nel Mezzogiorno, possano contribuire, in termini di distretto virtuale, alle manifatture tradizionali anche del nord. E, infine, ancora, la connettività; per la prima volta, c’è un rovesciamento tra nord e sud: la Calabria e la Campania sono le regioni con la più alta percentuale di banda ultra larga, in Calabria il 64 per cento, in Trentino Alto Adige, il 19 per cento. Per i porti, hanno già detto di Gioia Tauro. Questa visione, dunque, potremmo definirla con un bel libro che hanno fatto due autori calabresi, Fiorita e Giancarlo Rafaele, Il bicchiere mezzo pieno, che dicono: «I meridionali siamo muli: se ci mettiamo in testa una cosa, non cambiamo idea nemmeno a morire e, prima o poi, a quella cosa ci arriviamo». Solo che ancora non ci siamo messi in testa di essere felici. Bene, oggi è arrivato il tempo di metterci in testa di essere felici (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).