Data: 
Lunedì, 13 Marzo, 2017
Nome: 
Laura Venittelli

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Grazie, signor Presidente. Signor Presidente, pregiatissime colleghe, pregiatissimi colleghi, rappresentanti del Governo, com’è noto tra gli obiettivi strategici della nuova riforma del mercato del lavoro previsti dalla legge n. 183 del 2014, riforma che è nata con l’obiettivo di rilanciare l’economia produttiva e i livelli occupazionali del Paese, vi è il potenziamento delle politiche attive del lavoro, politiche che in Italia non hanno mai rappresentato un elemento fondante dei provvedimenti dei vari Governi, ragion per cui oggi abbiamo l’esigenza di rafforzare questo tipo di scelta fatta dal Governo Renzi con il cosiddetto Jobs Act. Per tale ultima ragione, anche alla luce della necessità di coordinare le politiche attive svolte nelle varie regioni, è stata istituita l’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, con una funzione di cabina di regia su tutto il territorio nazionale della rete dei servizi e dei soggetti pubblici e privati operanti nell’area delle politiche attive, che comunque sono rimasti nel quadro di una competenza concorrente tra Stato e regioni dopo il no al referendum del 4 dicembre.

Tale referendum, se avesse ottenuto un risultato diverso, avrebbe consentito, con l’approvazione della riforma, il trasferimento allo Stato della competenza esclusiva in materia e all’Agenzia nazionale per le politiche attive di poter gestire direttamente i centri per l’impiego. Il quadro con il no al referendum è cambiato, ma non per questo l’Agenzia ha perso la sua mission di coordinare le politiche attive nelle varie regioni al fine di ottenere uno standard uniforme di gestione delle attività dei numerosi centri per l’impiego. Ciò che va decisamente evitato è infatti che le politiche attive siano confinate, come è stato fino ad oggi, all’interno del recinto dell’intervento di ognuno dei circa 500 centri per l’impiego nazionali con le disparità sino ad oggi conosciute per la gestione dei centri del nord e la gestione dei centri del sud e con la frammentazione dei tanti sistemi regionali.

Il dopo referendum ha riproposto con maggior vigore anche il problema del futuro dei quasi 7.000 dipendenti degli oltre 500 centri per l’impiego pubblici sia per la fase di transizione conseguente allo svuotamento delle province previsto dalla legge Delrio destinati ora a rimanere in capo alle regioni, sia per l’auspicata standardizzazione degli interventi per ricollocare i disoccupati, standardizzazione che abbisogna della presenza nelle varie strutture territoriali dei centri per l’impiego di personale stabile e qualificato.

L’Italia oggi, in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi della riforma nel mercato del lavoro nello specifico delle politiche attive, mostra ancora criticità per i servizi pubblici per chi è in cerca di occupazione. Le politiche attive cioè gli interventi per favorire il reinserimento di disoccupati nel mercato del lavoro sono cruciali per fare incontrare domanda ed offerta. Quanto l’Italia sia indietro in questo campo lo dimostrano gli ultimi dati ISTAT, stando ai quali, l’83 per cento dei richiedenti non si rivolge ai canali ufficiali, mentre meno del 4 per cento dei nuovi occupati si è rivolto al collocamento pubblico.

A ciò si aggiunge che le nuove disposizioni contenute nel Jobs Act (il proseguimento del programma Garanzia giovani, l’assegno di ricollocazione nonché le nuove misure nazionali e regionali a supporto delle fasce deboli) possono far correre il rischio non solo di aumentare il già elevato numero degli utenti presi in carico dai servizi per l’impiego, ma soprattutto la disparità e frammentazione delle politiche attive su tutto il territorio nazionale. Ciò accade in un momento in cui il processo di riorganizzazione dei servizi per il lavoro non si è ancora concluso sia in termini di competenze istituzionali sia di risorse e pertanto anche la vicenda dei lavoratori a termine dei servizi per il lavoro è confinata in un perdurante limbo normativo e di attribuzioni, fonte ogni anno di problematiche circa il rinnovo dei contratti e per tali motivazioni sono state già perse le competenze e le esperienze di numerosi operatori lasciati indietro. Le forti criticità di tale situazione sono state evidenziate anche nel volume Rapporto ISFOL di monitoraggio sui servizi del lavoro 2015, pubblicato nel 2016, per il quale l’elevato tasso di precarietà del personale incide direttamente sulla stabilità del sistema complessivo indebolendo in prospettiva le capacità di erogazione dei servizi.

Inoltre, una elevata quota di personale precario rende meno efficiente l’organizzazione del lavoro soprattutto se vista in un’ottica di medio periodo. E ancora, sempre dal Rapporto ISFOL, emerge che le regioni che risultano essere più esposte in termini di personale alla precarietà sono anche quelle che rischiano di perdere in modo corrispondente gli operatori più istruiti. Si pone quindi non soltanto una questione di adeguatezza numerica e di stabilizzazione del personale operativo presso i centri per l’impiego ma anche quello del rinnovamento e del potenziamento delle risorse umane che in molti casi provengono ancora dal vecchio sistema del collocamento del 1998.

Sono tutti aspetti che, come già accennato, mal si conciliano con la precarietà contrattuale ed il turnover ad essa conseguente.

In tutto ciò con il decreto “mille proroghe” si è intervenuti solo per prorogare i contratti a tempo determinato già in scadenza al 31 dicembre 2016 fino a tutto il 2017, ma la situazione di incertezza prosegue così come prosegue l’incertezza nella erogazione dei servizi e la grave difficoltà per gli operatori dei centri per l’impiego, sia dal punto di vista professionale sia umano, atteso che - giova ribadirlo e ricordarlo - questi lavoratori hanno dato un notevole contributo nella gestione delle politiche attive del lavoro che hanno riguardato circa un milione di giovani NEET nell’ambito del programma Garanzia giovani.

Ora l’auspicio è che si intervenga ulteriormente a favore di tutti coloro che hanno operato nel corso dell’anno 2016 e che il decreto “mille proroghe” possa essere utilizzato anche per quei lavoratori dei centri per l’impiego che, come è accaduto in alcuni territori, non hanno avuto la possibilità di concludere il loro servizio al 31 dicembre 2016 a causa dell’ingorgo creatosi attorno alle attribuzioni di competenze, che a tutt’oggi risulta irrisolto.

Quanto sino ad ora detto è a dimostrazione della necessità di rafforzare i servizi al pari degli altri Stati europei, che vedono quote molto più significative di risorse ed operatori impiegati, che in Italia non può tradursi esclusivamente con il potenziamento dei servizi per l’impiego con un contingente di ulteriori mille nuovi contratti sempre a tempo determinato, senza che siano stati al contempo messi in atto, come è avvenuto in altri settori come la scuola, il comparto pubblico, la sanità, soluzioni per il superamento di una situazione di precariato per gli attuali operatori, precariato che è addirittura ultradecennale.

Giova ricordare che, quando l’economia è in crisi, il ruolo sociale dei centri per l’impiego è fondamentale. Queste agenzie pubbliche, finalizzate a favorire l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro, devono funzionare al meglio per dare un reale servizio ai disoccupati e anche alle aziende. Per questi motivi, noi abbiamo il dovere di garantire a tutti, in particolare ai tanti giovani in cerca di occupazione, il funzionamento efficace ed efficiente dei centri per l’impiego, la gestione equa degli stessi su tutto il territorio nazionale e la piena attività di Anpal, in modo da rendere funzionante e omogeneo il sistema generale dei servizi per il lavoro. Abbiamo inoltre anche il dovere di garantire la presenza di personale stabile all’interno dei centri per l’impiego, superando il precariato degli operatori ultradecennali, che non fa bene al lavoro e non fa bene all’Italia.