Grazie, Presidente. Avendo ascoltato gli interventi che hanno preceduto il mio, mi sembra importante partire da una prima considerazione, perché, per la verità non solo nel primo intervento, quello dell'onorevole Scotto, ma più in generale anche nella discussione pubblica, si tende a mettere insieme piani che insieme non stanno e a confondere argomenti differenti. Per questo, è importante fissare e determinare il quadro della situazione.
Intanto, in primo luogo, noi stiamo parlando di referendum ammessi dalla Corte costituzionale recentemente. Nella discussione si tende a ricondurre i referendum, e la discussione ad essa connessa, al Jobs Act. Allora è bene tenere presente il senso del Jobs Act e le ragioni con le quali era stato motivato, la visione, l'approccio: mica per pedanteria o per una necessità formale di precisione, ma per evitare che da un'analisi sbagliata sì arrivi a conclusioni sbagliate.
Il nostro problema, rispetto al mercato del lavoro e ai grandi problemi di disoccupazione giovanile e di lavoro nero, è andare avanti, non è tornare indietro, è andare avanti. Allora non è banale ricordare come, in quel contesto di crisi straordinaria che ha interessato il nostro Paese, che aveva messo al centro, negli anni precedenti alla crisi, la precarietà, invece che la politica industriale, è bene ricordare come la scelta del Jobs Act è stata una scelta di mettere al centro il lavoro a tempo stabile e indeterminato. È questo il senso, poi, della legge delega e dei decreti attuativi che hanno tradotto questa scelta in nuovi ammortizzatori, in una nuova definizione del lavoro a tempo indeterminato, nella scelta di norme per agevolare il valore sociale della maternità, i congedi parentali e la conciliazione, le politiche attive del lavoro. Perché, se si confondono i piani, a nostro avviso e a mio avviso, si confonde anche la strada giusta da affrontare.
Allora, intanto, dicevamo della Consulta e dei due referendum ammessi: i temi che affrontano sono temi rilevanti. Non è soltanto rilevante la raccolta delle firme, promossa dalla CGIL, né la quantità di firme raccolte, sono importanti i temi. I voucher da un lato e la solidarietà tra appaltante e appaltatore nei confronti dei diritti delle persone, il secondo.
I voucher: naturalmente i voucher nascono per pagare, per retribuire il lavoro occasionale, per interventi che si sono succeduti, e non nel Jobs Act, che al contrario ha ridotto la platea di applicazione; lo strumento ha avuto non solo un uso distorto o un abuso, ha avuto proprio un altro uso rispetto all'origine e alle motivazioni con le quali era stato introdotto.
L'esplosione evidentemente abnorme del numero e dell'aumento dei voucher ha allertato prima di tutto – prima ancora che iniziasse il percorso con cui la CGIL ha attivato il referendum – il Partito Democratico (ci sono proposte di legge del Partito Democratico in Commissione lavoro ben precedenti); ha allertato il Governo, che ha stabilito, ben prima del deposito delle firme, alcuni strumenti per andare ad indagare quell'esplosione numerica: da un lato, le ragioni di quell'esplosione, dall'altro, la tracciabilità, già identificata e contenuta in un decreto attuativo di ottobre, per aiutare il monitoraggio, perché – e questo è un punto fondamentale di approccio e di visione – il nostro obiettivo è quello di ricondurre i voucher all'occasionalità con la quale erano stati pensati. Per farlo, il monitoraggio ci serve per aiutarci a fare le scelte migliori per ricondurli a questa definizione, a questo obiettivo.
È interesse del Partito Democratico ed è indipendente dal quesito referendario. È una nostra scelta e vorrei dire che è esattamente il contrario: se la precarietà rientra dalla finestra e noi abbiamo avuto col Jobs Act farla uscire dalla porta, è evidente che sono due scelte in contraddizione ed è un nostro interesse, è una nostra scelta quella di prendere le misure giuste per risolvere questo tema. Noi non vogliamo la precarietà come centro del mercato del lavoro: vogliamo il lavoro stabile, la decontribuzione: tutte le risorse utilizzate in questi anni per la decontribuzione, ancora oggi, per le assunzioni dei giovani al Sud hanno questo senso.
Vorrei ricordare a chi faceva prima alcune considerazioni che questo è il metro di misura per valutare il Jobs Act: è il numero di nuovi lavori, di lavori stabili, quei 656 mila lavoratori e lavoratrici stabili in più degli ultimi due anni, la riduzione di altrettanti numeri per gli attivi.
Secondo punto: anche sugli appalti, anche in questo caso, la normativa non discende dal Jobs Act, ma come si fa a non vedere che c’è un paradosso nella pubblica amministrazione, per cui alla fine di normative che si sono inanellate, la conclusione che può succedere è che proprio nella pubblica amministrazione, per mancanza di solidarietà tra appaltante e appaltatore, alla fine, ci rimettono i lavoratori e le lavoratrici ?
C’è una terza considerazione sul monitoraggio come modalità di approccio alle scelte: con il Jobs Act abbiamo definito il monitoraggio perché vogliamo capire – volevamo capire e vogliamo capire sempre di più – se gli obiettivi introdotti, nell'impatto concreto, sono stati realizzati o se ci sono state situazioni che hanno, invece, deviato da quell'obiettivo. Nomino a questo proposito anche i licenziamenti: il monitoraggio ci aiuterà ad andare dentro quelle cifre, naturalmente, non nascondendo, come invece si fa quando si parla di questi argomenti, che, per esempio, un aumento dei licenziamenti nasce anche, in parte, dal fatto che non è più possibile l'abuso delle dimissioni in bianco. Ma noi vogliamo vedere dentro quell'aumento, perché non vogliamo che quello sia una nuova frontiera che abbiamo, invece, scelto di superare. Monitoraggio, quindi: è uno strumento delle politiche, vale per il Jobs Act e vale, in questo caso, anche per i voucher.
Quindi, l'impegno che il Partito Democratico crede sia necessario oggi, in un confronto con le parti sociali, che deve essere un riferimento costante dell'azione di riforme, utile a trovare le soluzioni giuste, e in relazione a proposte di legge del Partito Democratico che già sono depositate, è che si trovino le soluzioni migliori, insisto, non tanto per risolvere i quesiti referendari – il referendum è uno strumento legittimo e democratico, non aggiungo altre parole –, ma perché quell'esplosione di voucher e le cose che dicevo prima sugli appalti rappresentano una situazione di precarietà, di frontiera di precarietà che noi non vogliamo. Soltanto il lavoro stabile è il centro di una possibilità di uscita dalla crisi: lo diceva l'OCSE, lo dice l'esperienza che questo è.
Naturalmente, nessuno ignora che nuovi posti di lavoro hanno bisogno di nuovi investimenti: questo è il punto. È il punto che la legge di bilancio affronta con «Industria 4.0», per superare quel modello di specializzazione antico, italiano, con i problemi legati alle dimensioni dell'impresa e agli scarsi investimenti in ricerca ed innovazione ed è il punto dello scontro con l'Europa sull’austerity, su che cosa vuol dire fare politiche di crescita.
Chiudendo, Presidente, io penso che noi abbiamo tutte le condizioni oggi: ci sono le idee, c’è la volontà del Governo, ci sono le proposte di legge del Parlamento, del Partito Democratico, c’è una intenzione proposta con il Jobs Act di centralità del lavoro a tempo stabile. Noi abbiamo tutte le condizioni, oggi, per fare un atto utile alle persone e al Paese, che è quello di fare scelte coerenti per battere la precarietà, particolarmente, individuando anche modalità ulteriori per risolvere i due problemi che abbiamo di fronte, che sono, soprattutto, l'occupazione dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze, la stabilità del loro lavoro e la piaga del lavoro nero.
Discussione sulle linee generali
Data:
Lunedì, 23 Gennaio, 2017
Nome:
Titti Di Salvo