La ringrazio, signora Presidente. Non senza emozione mi appresto a illustrare il testo di questa mozione ma, soprattutto, a evocare in quest'Aula il nome delle nostre 21 madri costituenti: Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Cotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio, Adele Bei, Nadia Gallico Spano, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Angelina Merlin, Bianca Bianchi, Ottavia Penna Buscemi. Sono questi i nomi delle prime 21 elette in Italia, delle prime 21 che sedettero su questi stessi banchi dopo le elezioni politiche del 2 giugno 1946, elezioni per il referendum, col quale gli italiani scelsero tra la Repubblica e la monarchia, e le elezioni che portarono poi all'insediamento della Costituente.
Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, quest'anno si celebra il settantesimo anniversario del voto alle donne. Nella primavera del 1946 in diverse città e in diversi luoghi d'Italia si svolsero delle amministrative alle quali le donne italiane presero parte per la prima volta. Dopo una lunga battaglia anche il nostro Paese arrivava, benché molto in ritardo rispetto a molti altri, al suffragio universale. È giusto ricordarlo qui oggi, alla vigilia del giorno dedicato a quella metà del mondo che, con un così grande senso di sacrificio, impegno e volontà, ha contribuito, in modo determinante, al progresso dell'umanità. La storia delle donne del Novecento è stata così significativa sul piano dell'affermazione dei diritti che l'ONU ha indicato le donne come il primo soggetto per i cambiamenti del mondo, nel segno dello sviluppo, dell'uguaglianza e della pace. Ho detto già che la società italiana giunse in ritardo a questo storico traguardo. Chiusa nella morsa del ventennio fascista, dilaniata dalla guerra, rischiava di non poter partecipare a un cambiamento che interessava e aveva già interessato molte altre democrazie del mondo, dopo le due guerre mondiali che avevano insanguinato l'Europa.
La coincidenza di questo anniversario fondamentale per la storia dell'emancipazione delle donne coincide con quello della nascita della nostra Repubblica e sembrano quasi profetiche le parole di Giuseppe Mazzini per la loro valenza, parole scritte all'onorevole Morelli dopo che la Camera dei deputati del Regno d'Italia aveva respinto la sua proposta di estendere i diritti politici alle donne italiane. «L'emancipazione della donna sancirebbe una grande verità, verità base a tutte le altre, l'unità del genere umano, e assocerebbe nella ricerca del vero progresso comune una somma di facoltà e di forze, isterilita da quella inferiorità che dimezza l'anima. Ma sperare di ottenerla alla Camera, come è costituita e sotto l'istituzione che regge l'Italia, la monarchia, è a un dì presso come se i primi cristiani avessero sperato di ottenere dal paganesimo l'inaugurazione del monoteismo e l'abolizione della schiavitù».
Fu il 2 giugno 1946, nello stesso giorno in cui nacque la nostra Repubblica, che le donne parteciparono con diritto di voto attivo e passivo ad una consultazione politica e referendaria destinata a cambiare il volto di questo Paese, aprendo la strada alla realizzazione di una democrazia davvero moderna. La partecipazione al voto delle donne fu altissima e devo dire colpiscono molto i racconti che da più parti i testimoni anche oggi riferiscono o hanno riferito a storici nelle cronache abbastanza recenti di quei giorni e di quelle ore in cui le donne facevano la coda ai seggi e si portavano sottobraccio il seggiolino per potersi sedere e non allontanarsi, alcune temendo persino che questa grande possibilità potesse svanire da un momento all'altro e di trovarsi nuovamente private della possibilità di votare. Ho detto che furono mesi, anni decisivi. Quel voto arrivava dopo la tragedia della guerra; una tragedia enorme. E anche qui colpiscono enormemente le immagini che i libri di storia ci hanno consegnato di queste donne che camminano in mezzo alle macerie con i bambini per mano, figli perlopiù orfani, in un Paese distrutto. Furono mesi e anni decisivi, anni costituenti, quelli ai quali le nostre 21 madri presero parte per mettere quelle fondamenta. Quelle 21 donne sono lì a testimoniare che a mettere le fondamenta di questo Paese c'erano appunto anche le donne. Erano state partecipi della Resistenza. Per la prima volta al voto scelsero la Repubblica. Dopo secoli di silenzio e di marginalità, si trovarono finalmente protagoniste a pieno titolo della storia; lo saranno poi, lo sono ancora, lo saranno negli anni a venire, protagoniste della vita sociale, civile e politica dell'Italia e dell'Europa, con grandi lotte per la parità nel lavoro, oggi non ancora del tutto realizzata, con grandi lotte per la parità nella famiglia, nelle istituzioni, nell'educazione dei figli. Ogni generazione ha la sua battaglia da vivere per non arretrare nei diritti e per aprire strade nuove. Ecco, quelle 21 donne, elette su 556 complessivamente, ci hanno mostrato di avere fatto la propria parte. Il loro impegno, il loro coraggio, il loro spirito democratico e repubblicano fanno parte ormai della nostra storia; una parte della storia del nostro Paese ancora davvero troppo poco conosciuta e studiata. Nell'aprile del 1945 si era costituita la Consulta, di cui erano entrate a far parte 13 donne invitate dai partiti. Tra queste, Teresa Noce e Adele Bei, che avevano condiviso la carcerazione. Il sacrificio e la determinazione di tutte loro hanno contribuito enormemente alla nascita della democrazia. La Consulta votò l'obbligatorietà del voto per tutti. Fu questo il primo risultato di quel lavoro: voto per tutti, donne comprese. Il voto è del 5 febbraio: favorevoli 179, contrari 156. Mentre i numeri parlano da soli, va ricordato che il primo successo delle madri della Consulta fu quello di ottenere che il premio della Repubblica, 3 mila lire, fosse esteso anche alle vedove di guerra e alle mogli dei prigionieri.
«Credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi consultatrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che pure ha qualcosa da dire»: sono queste le parole di Angela Guidi Cingolani, la prima donna a prendere la parola in quest'Aula. Aveva subìto prigione e confino; fu lei, appunto, a parlare per la prima volta in rappresentanza di quella metà del popolo italiano; una metà del popolo che in altri Paesi aveva già raggiunto il diritto di voto e di rappresentanza.
In Nuova Zelanda, nel 1893; in Finlandia, nel 1907; in Norvegia, nel 1913; nel Regno Unito, nel 1917. Un diritto che prima dell'Italia era già stato riconosciuto anche in altri Stati, come Turchia, Mongolia, Filippine, Pakistan. Le 21 madri costituenti entrarono in tutte e tre le sottocommissioni dell'Assemblea costituente, ma di nessuna ottennero la presidenza. Parte viva del Paese, si sentirono fin da subito rappresentanti del popolo che le aveva elette. E loro di quel popolo conoscevano davvero la voce e i bisogni. E allo stesso tempo seppero rivendicare i propri diritti e i diritti di tutte le donne, in nome di una rivendicazione femminile che riguardava tutto il Paese. Concentrarono strategicamente la loro presenza nella prima sottocommissione riguardante i diritti e i doveri dei cittadini e nella Commissione dei 75, dove entrarono in cinque: Nilde Iotti, Angela Gotelli, Teresa Noce, Angelina Merlin e Maria Federici. Alle madri costituenti, a queste 21 che seppero unirsi al di là delle diverse appartenenze, riconoscendosi reciprocamente come testimoni di un cambiamento radicale non più rimandabile della società italiana, protagoniste della lotta di liberazione e testimoni della tragedia della guerra, dobbiamo l'elaborazione nella nostra Carta costituzionale di princìpi come la parità sociale, l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, la parità tra uomini e donne nelle professioni e nel lavoro, l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi nel matrimonio, la parità di accesso alle cariche elettive. Dai resoconti dell'Assemblea apprendiamo che a loro si deve la formulazione, nell'articolo 3 della Costituzione, che mette al primo posto il genere: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso. E non possiamo dimenticare che questo è l'articolo che più di ogni altro rappresenta l'affermarsi di una democrazia paritaria contraddistinta dal progresso sociale. L'articolo 3 prosegue così: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese«, introducendo di fatto, con l'affidamento alla Repubblica del compito di rimuovere ogni ostacolo che impedisce la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica del Paese, un concetto nuovo e unico anche rispetto a Carte costituzionali della stessa epoca. Nuovo e unico anche il contributo delle donne alla costruzione della nostra vita democratica dopo l'orrore della guerra perché è di quel tempo che le madri erano appunto testimoni. Seppero unirsi e si impegnarono per la rivendicazione di un tempo nuovo che significasse la fine per sempre della negazione dei diritti, della libertà e del libero pensiero, incaricando la Repubblica di rimuovere ogni ostacolo sul cammino dell'affermazione dell'uguaglianza. Senza di loro non avremmo questa formulazione dei diritti; senza la loro ostinazione le differenze di genere non sarebbero al primo posto nell'articolo 3. La straordinarietà della loro azione fu rappresentata dalla capacità di sentirsi vincolate dalla comune condizione di donne e, al tempo stesso, dalla volontà di cambiamento della società italiana. La loro fu un'occasione unica e la seppero utilizzare con intelligenza, con saggezza e con lungimiranza, lottando contro la maggioranza che ostacolava l'affermazione della parità tra donna e uomo, uniformandosi a preconcetti privi di ogni ragionevolezza. Basta pensare, un esempio per tutti, che molti padri costituenti si opposero strenuamente all'ingresso delle donne in magistratura. Ma le Madri costituenti furono audaci: non vi fu solo astrazione teorica, ma rigorosa applicazione della ragione che si affermava contro l'irragionevolezza della maggioranza, una maggioranza di uomini.
Si pensi anche alla lungimiranza del loro lavoro in tema di diritto della famiglia; pur con i vincoli che la legislazione vigente imponeva – erano ancora in vigore, non bisogna dimenticarlo, il codice penale e il diritto di famiglia del periodo fascista – seppero opporsi con tenacia e riuscirono a introdurre il principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. Tuttavia, la disposizione, con questa formulazione, dava adito a interpretazioni di segno opposto. Per la sua straordinaria attualità, non posso trascurare di ricordare qui il loro impegno per la protezione delle madri nubili e dei nuclei familiari di fatto: in III Commissione sostennero che queste situazioni avevano particolare bisogno di garanzie sociali e giuridiche. Maria Federici sostenne che la nozione di famiglia dovesse comprendere queste realtà, che loro conoscevano così da vicino. Teresa Noce e Angelina Merlin proposero di stabilire il valore sociale della maternità, della protezione dei figli, fossero essi legittimi o meno, da parte dello Stato. La Commissione dei diciotto, che aveva il compito di armonizzare il lavoro delle tre Commissioni, non inserì la proposta della Noce e della Merlin, nonostante l'impegno di Nilde Iotti. Testimoni di una realtà nella quale le famiglie non tradizionali, oggi come allora, esistevano, si batterono perché il dettato costituzionale non dimenticasse il diritto di tutti all'autodeterminazione e alla libera scelta ed è da ricordare ancora il loro impegno per la parità di salario, che si scontrò allora con la campagna politica conservatrice, tesa a relegare le donne nell'ambito della famiglia e della casa, esattamente come era accaduto dopo il primo conflitto mondiale.
Ma esse ottennero l'introduzione di concetti favorevoli alle donne, alle donne che lavoravano, come la rivalutazione della maternità e la necessità della loro tutela. La più giovani di loro, Teresa Mattei, laureata in filosofia, aveva perso il padre e un fratello partigiani; lei stessa si era battuta nella Resistenza, aveva 25 anni, il suo soprannome era Chicchi; fu nominata segretaria dell'Assemblea, fu lei che introdusse il simbolo della mimosa per la festa dell'8 marzo. Queste le sue parole a commento del voto sul ripudio della guerra. Ha raccontato: »Quando si votò per il ripudio della guerra, noi, tutte e ventuno, ci tenemmo la mano. Eravamo tutte per la pace, anche la collega qualunquista, che poi era monarchica«. Credo sia, questo settantesimo anniversario del voto alle donne, occasione per diffondere questa loro e anche nostra storia – questa è la loro, ma è anche profondamente la nostra storia – attraverso lo studio delle loro biografie, della loro azione politica e istituzionale. Credo possa rappresentare l'occasione per rileggere la nostra Costituzione alla luce di questa verità, che fu l'impegno delle donne per la tutela e l'affermazione dei diritti delle donne, in primo luogo, ma di ciascuno allo stesso tempo, ad introdurre nel Paese quell'accelerazione sul piano del progresso sociale, senza cui l'Italia sarebbe rimasta esclusa dai processi di democratizzazione e di crescita. Credo che oggi, quando molti traguardi sono stati raggiunti e molti risultati si sono consolidati per le donne, e tuttavia resta ancora moltissimo da fare, valga la pena ricordare questo che è un passaggio dirimente: »esse si tennero per mano«. Fu la loro condizione, fu la loro consapevolezza del prezzo pagato, fu la loro capacità di essere testimoni di un tempo, di leggere i segni di quel tempo, fu la loro capacità di mediazione che, non per questo, significò rinuncia all'impegno per la conquista di traguardi futuri, fu la loro volontà di dire »mai più”, che ha consentito la stesura di quei principi, così come oggi li possiamo ancora leggere, ai quali possiamo fare riferimento per la tutela e il progresso di una società di uguali.
Ciò che siamo diventati, grazie a loro, è oggi tutto nelle nostre mani – ho concluso, signora Presidente –: la democrazia, il senso della comune convivenza, la fiducia nella politica e nelle istituzioni. Si tratta di beni essenziali, senza i quali tutto è più difficile, più povero e più degradato. Dobbiamo ammettere che settant'anni dopo sembrano indebolite le fondamenta della costruzione democratica che erano state poste. Sappiamo bene però, noi, come quelle ventuno donne, da dove dobbiamo ripartire: dalla solidarietà, non dall'egoismo, dal sentirci legati gli uni agli altri da un destino comune, non individui in competizione con gli altri, dalla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, non da sudditi che si disinteressano dell'esercizio del potere. Questo ci hanno insegnato le ventuno Madri costituenti che, domani, simbolicamente, celebreremo, ed è anche in nome loro che auguro già buona festa delle donne a tutte le donne italiane.