Grazie Presidente. In quest'occasione parliamo del Fiscal compact e, riprendendo le parole dell'onorevole Caso, ho un'immagine del suo intervento: il periodo 2013-2017, questi cinque anni alla fine dei quali spetta anche a noi, in questa sede, grazie alla discussione sulle mozioni in esame, dover trarre conclusioni sul Trattato e sui trattati ai quali il Fiscal compact è collegato. E tali conclusioni non possono essere positive. Il tagliando che noi andiamo a fare oggi al Fiscal compact, a cinque anni dalla sua introduzione, è un tagliando che vede più ombre rispetto alle luci. Noi vogliamo segnalarlo con un intervento dal forte valore politico e simbolico, un segnale chiaro all'Europa che non ci piace, che il Fiscal compact non può entrare, così com'è oggi, nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea che deve trarre le conseguenze da questa nostra conclusione, deve adeguare gli strumenti e modificarli che non significa cancellarli, non significa uscire dall'Europa, non vuol dire che noi ce ne andiamo via a gambe levate da questo sistema. Noi questo sistema lo vogliamo cambiare dalle fondamenta.
Il privilegio di potere intervenire alla fine del presente dibattito è un grande privilegio, perché ci dimostra come a volte la politica rimane legata alle casacche rispetto ai contenuti. Come si fa, davanti a questa proposta, a votare contro, quando nei singoli interventi - che ho ascoltato con grande attenzione - alla fine quasi di tutti se ne condivide l'impianto?
Io non l'ho votato il Fiscal compact: non c'ero nell'occasione in cui il Parlamento ha avuto l'occasione per votarlo. Ma molti deputati, qui in quest'Aula, hanno votato quel provvedimento e oggi hanno un ripensamento. È possibile ripensare una scelta sbagliata oppure no? E quando si richiede un correttivo rispetto ad un provvedimento, mi aspetto che nei contenuti e negli interventi che sono oggi oggetto di proposta, si arrivi con un voto a palesare questo cambio di rotta.
Dai colleghi dell'MDP ho visto un'apertura a questo nostro intervento con la mozione. In altri, quest'apertura non l'ho vista. Addirittura, in alcuni interventi, soprattutto in quello di Marcon dove si parla di ipocrisia politica, dove si parla di ambiguità, si va fuori asse e si è intellettualmente poco onesti, a mio avviso. Guardiamo ai contenuti e guardiamo alle motivazioni che ci portano a redigere queste mozioni.
Il primo intervento: la riforma dei trattati deve essere una riforma complessiva e non puntuale e specifica.
Il secondo: la situazione attuale dell'Unione europea. Come ha detto bene il Viceministro Morando, noi oggi viviamo un momento in cui la Brexit incide profondamente sullo stato dell'arte di tutto ciò che riguarda l'Europa. Questo è un elemento che non può essere trascurato.
Il terzo elemento: se il Fiscal compact evidenzia una formula e i dati e gli elementi che caratterizzano questa formula a noi non convincono, dobbiamo intervenire per rimodellare quella formula. Non può essere un'Europa che si fonda sulle formule, deve essere un'Europa che si fonda sulla carne viva delle persone. E solo passando da lì si può tornare ad avere una nuova empatia con i popoli che l'Europa hanno formato.
La mozione del PD chiede questo. Chiede di trasformare un patto che si può definire di austerità, in un patto di crescita e, quindi, non solo di stabilità e crescita, ma in un patto che metta al centro la crescita in questa formula. Chiede di valorizzare quella che può essere l'impostazione di una golden rule che valorizzi gli investimenti, anziché una spesa corrente, sterile e fine a se stessa. Chiede la mutualizzazione dei debiti pubblici, con l'istituzione di un fondo di rimborso del debito, che è lo strumento per rilanciare l'idea degli eurobond. Chiede il sussidio di disoccupazione europea.
Tutte queste misure stanno alla base di un ripensamento del Fiscal compact, di un suo collegamento con gli altri trattati europei. In Europa, in particolare in Germania, c'è qualcuno che chiede il fallimento dei singoli Stati, qualora le cose non funzionino. Noi proponiamo gli Stati uniti d'Europa, non gli Stati falliti d'Europa! E su questa logica, tra Barroso e Obama non ho dubbi: scelgo Obama, che nei momenti di crisi ha deciso di investire profondamente, con una rivisitazione della spesa pubblica a favore degli investimenti, ma al tempo stesso in sostegno dei più deboli, con l'Obamacare, oggi di attualità e di discussione pubblica.
E così abbiamo fatto noi, perché per essere credibili occorre dare corso alle parole. E le parole hanno un forte peso, se sono seguite da azioni concrete, nella giusta direzione. Noi nel 2015 dall'Europa, grazie al Governo Renzi, abbiamo ottenuto flessibilità. Quella flessibilità a cosa è servita? Per ridurre la pressione fiscale e sostenere quella crescita, certo, ancora al di sotto delle nostre aspettative, ma comunque una crescita migliore, rispetto al tendenziale degli anni passati.
E sulle formule di riferimento cosa abbiamo fatto? Rapporto deficit-PIL nel 2015 al 2,7; rapporto deficit-PIL nel 2016 al 2,4 per cento. Quindi nella corretta direzione, una direzione che dà il senso che quella flessibilità è servita a sostenere l'economia italiana, non a indebolirla, così come è accaduto nei momenti difficili del Governo Monti. Altrimenti politiche procicliche rischiano veramente di mettere in ginocchio Stati che provano a ripartire.
Ma vi sono altre politiche. Ad esempio, per parlare alle persone e non solo parlare di numeri, il servizio civile europeo, una politica fiscale unitaria, un'inclusione sociale che possa partire dal basso, un nuovo corso sull'immigrazione dove l'Italia non sia lasciata sola, una difesa comune che metta al centro la lotta al terrorismo. Sono tutte politiche da affrontare insieme, dove la politica nazionale possa essere, per una volta, messa al primo posto, rispetto anche alla casacca politica che ci caratterizza.
Questo è quello a cui noi vogliamo tendere, questo è quello che vogliamo portare a casa con questa mozione, che è un primo passo, è un passo almeno nella giusta direzione. Caso, nel suo intervento, ed altri dicono: è un passo che non è sufficiente, non basta. Ma certo, va nella giusta direzione, e con un voto a questa nostra mozione siamo convinti che potreste dimostrare le vostre buone intenzioni, potremmo dimostrare che siamo qui non soltanto a portare la nostra linea politica, ma a confrontarci sui contenuti dei singoli provvedimenti. Allora, su questo, chiudo con un appello: che davvero si possa votare favorevolmente rispetto alla mozione del nostro capogruppo, dell'onorevole Rosato, che certamente prende le mosse da un ampio convincimento del PD, ma che cerca anche di accogliere istanze di altre mozioni nei contenuti e nei propositi anche di discussioni diverse rispetto a quelle avvenute qui oggi. Rivendichiamo che la flessibilità non sia una concessione, ma un diritto, a determinate condizioni; che gli investimenti del “piano Juncker” siano frutto di una nostra azione in Europa, ma che non siano ad oggi sufficienti. Serve ancora, ancora e ancora un'azione in quella direzione.
Siamo europeisti convinti, non vogliamo uscire dall'Europa, ma la vogliamo rifondare e cambiare profondamente: questo è il significato dell'idea “Europa sì, ma non così”. E oggi, con questa mozione, facciamo sul serio, nella giusta direzione, con un “no” al Fiscal compact nell'ordinamento europeo. Ma questo è solo un primo passo di un'entusiasmante avventura da vivere tutti insieme, a testa alta e con i piedi per terra.