Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 19 Giugno, 2017
Nome: 
Alan Ferrari

Grazie, Presidente. Penso che le mozioni all'ordine del giorno offrano un'occasione importante per discutere dei problemi attuali ed anche delle prospettive delle province e non uso a caso il verbo “offrono”, perché è nel pieno rispetto della legittima posizione politica di ogni gruppo e anche, se vogliamo, del tentativo di strumentalizzazione che anche su questo tema ci può essere; penso che il verbo “offrire” vada nella direzione di dare conto all'esigenza di parlare anche delle prospettive di questo organo costituzionale, tema che sarebbe valso, anche, qualora fosse passata la riforma costituzionale, bocciata poi dal referendum.

Allora, in questa logica voglio articolare il mio breve contributo, anche a nome del Partito Democratico, su tre punti: il primo, quello che riguarda la situazione finanziaria e organizzativa, già ampiamente toccata dagli interventi che mi hanno preceduto e dai proponenti delle singole mozioni; un secondo punto, sulla possibile revisione della legge n. 56 del 2014; un ultimo punto, direi più politico, che riguarda il ruolo delle province, intese davvero e fino in fondo come ambiti ottimali per l'organizzazione dei servizi e per l'attività politica delle comunità.

Parto con il primo punto: la situazione finanziaria e organizzativa. Non sfuggono a nessuno - lo dico anche ai colleghi che mi hanno preceduto di Forza Italia e Lega Nord - la sofferenza e la precarietà in cui hanno, ahimè, vissuto gli organismi provinciali in questo periodo. È ovvio anche - e mi sembra importante che lo faccia il Partito Democratico - ricordare che parte di questa precarietà è figlia di una condizione complessiva, di condizioni di bilancio, di fragilità di bilancio, che, ovviamente, se questo Parlamento e questo Paese avevano ereditato, avevano ereditato alla fine della legislatura precedente e all'inizio di questa legislatura. Tuttavia, questa fragilità e questa per carità sono da riconoscere e io penso che sia anche giusto ricordare l'impegno del Governo, quello che è stato già l'impegno del Governo e quello che ci auguriamo possa essere l'impegno del Governo che, peraltro, sarà ripreso, immagino, da una mozione che presenterà il Partito Democratico.

Nel 2017-2018 è stato aumentato il finanziamento fino a 180 milioni; sono stati previsti 12 milioni per le città metropolitane, sia per il 2017 che per il 2018, e dal 2019 occorre ricordare che sarà prevista l'esenzione dal contributo di 516 milioni di riduzione della spesa corrente, sempre per le città metropolitane; dal 2017 sono autorizzati ulteriori contributi: 170 milioni per la manutenzione delle strade e 79 milioni per gli interventi sull'edilizia scolastica.

A questo si aggiunge, come dicevo, un impegno che il Governo ha già dato la disponibilità ad esercitare e che anche noi faremo in modo di mettere in evidenza nel corso del dibattito in Aula. L'impegno è quello di proseguire con questi sforzi per trovare altre risorse, che io penso debbano essere date prioritariamente in aiuto a quelle province che stanno faticando a chiudere i propri bilanci; individuare complessivamente, come è già stato ricordato, le risorse adeguate per la copertura delle funzioni assegnate in base ai fabbisogni standard, in ottemperanza all'articolo 119 della Costituzione; avere attenzione ad un aspetto che non è ancora stato citato in questo dibattito e, cioè, al riordino delle funzioni regionali e, quindi, al rapporto tra regione e provincia, che ha avuto velocità e fluidità diverse nel corso del Paese.

In alcune regioni, le sofferenze delle province sono state amplificate anche da tentativi strumentali da parte dei governi regionali stessi: sono state amplificate, con più fatica sono riuscite a gestire questa fase; in altre regioni, invece, la situazione è stata molto più semplice. Quindi, attenzione al riordino delle funzioni regionali e al loro conseguente rapporto con le amministrazioni provinciali. Infine, sempre su questo punto, il ripristino dell'autonomia organizzativa attraverso l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legge n. 190 del 2014.

Con riferimento al secondo punto - come dicevo prima, quello relativo alla revisione della legge n. 56 del 2014 -, io penso che anche per il PD questa sia una priorità. L'invito che io personalmente mi sento di rivolgere a questo Parlamento è che non sia rinviata questa priorità: se davvero da parte di tutti i gruppi parlamentari c'è intenzione di migliorare quella legge, anche come era logico immaginare a seguito di una fase di cantiere che si è manifestata, si è articolata in questi anni, penso che sia una disponibilità da mostrare nei fatti e, quindi, non da rinviare ad un'altra fase.

Occorre però, io credo, ripartire da quello da cui muoveva quella legge. Essa muoveva dal principio secondo il quale alle province venivano affidati prevalentemente dei compiti di pianificazione sovracomunale (vedi territorio, ambiente, viabilità, edilizia scolastica); e muoveva dall'obiettivo, condiviso da tutte le forze politiche, di superare una frammentazione istituzionale, soprattutto in alcune zone del Paese dove il numero dei comuni è davvero molto, molto significativo, se rapportato al numero degli abitanti, e anche di superare una tendenza italiana molto diffusa, che è quella dei campanilismi.

Questo in una logica che era quella di provare ad organizzare i servizi su una base ottimale, che era quella provinciale, affidando un potere più diretto e una responsabilità più diretta ai sindaci, che erano, in qualche modo, indotti a pensare non solo in modo egoistico ai confini del proprio comune, ma anche a quello che una scelta in un comune, nel proprio comune, poteva significare per il comune vicino. Più in generale, era un'organizzazione istituzionale che muoveva dall'idea che un potere più diretto ai sindaci, una responsabilità più diretta ai sindaci potesse comportare delle politiche di sviluppo e dei servizi maggiormente omogenee e utili ai territori.

Se questi erano i principi, se questi erano gli obiettivi da cui muoveva quella legge, io penso che il bilancio che possiamo fare dopo tre anni sia positivo. Io sono perché non si torni indietro rispetto all'elezione di secondo livello: l'obiettivo di dare maggiore responsabilità ai sindaci è stato raggiunto e ha raggiunto le conseguenze che noi immaginavamo. E io penso, allo stesso modo, che lo sforzo che abbiamo chiesto alle province di ridurre il numero dei propri dipendenti abbia superato la fase critica e ci stia mostrando una fase di assestamento assolutamente sostenibile.

Credo che rivedere la “legge Delrio”, però, significhi metterci coraggio, significhi individuare delle aree omogenee all'interno delle aree vaste, delle province, all'interno delle quali spingere i comuni ancora di più a svolgere insieme alcune funzioni fondamentali, come quelle di bilancio e come quelle della pianificazione urbanistica, che ha ovviamente una stretta connessione con quelle di bilancio.

E, se vogliamo stare più compiutamente su aspetti di tipo ordinamentale, c'è un tema di cui, a mio avviso, questo Parlamento può farsi carico, ossia la riflessione sull'allineamento tra il periodo di carica del presidente e il periodo di carica dei consigli. Infatti, è del tutto evidente che, comunque, per quanto si tratti di competenze prevalentemente tecniche e, quindi, con una dimensione tecnica molto elevata, ma di competenze di pianificazione, questo ente va governato. E siccome va governato e attualmente non si può fare diversamente che non assegnare a dei consiglieri delle deleghe significative, per cercare di coordinare i lavori sulle competenze previste alle singole regioni, io penso che sarebbe del tutto normale e auspicabile provare ad immaginare un periodo di quattro anni di continuità amministrativa e, quindi, anche di una continuità amministrativa, che non sia mandata allo sbaraglio ogni anno quando, inevitabilmente, con nuove elezioni politiche, possono anche cambiare gli equilibri politici nei territori. Questo credo sia un modo per salvaguardare un ente di secondo livello, che ha il compito di svolgere delle funzioni istituzionali ancor prima che politiche.

L'ultima riflessione, dicevo prima, è quella relativa a come concepiamo le province intese come ambiti ottimali. Voglio chiarire che nessuno ha mai pensato di disconoscere che le province siano un ambito ottimale vero per l'organizzazione dei servizi rivolti ai cittadini, non solo perché basta constatare la realtà - acqua, rifiuti, servizi del gas già si organizzano secondo questa scala -, non solo perché esiste un'appartenenza culturale, una dinamica politica consolidata, che vede in quel luogo, in quei confini, in quella dimensione, in quel perimetro la cassa di risonanza o, meglio dire, il punto di incontro tra istanze di più alto livello - quelle regionali e quelle dei comuni -, ma penso perché ragionare sulle province, sulle aree vaste come luoghi ottimali significhi toccare con mano un pezzo di funzionamento della nostra architettura istituzionale nel suo complesso.

Perché la Costituzione, anche se l'avessimo modificata togliendo la parola “province”, ci avrebbe consegnato -, e ci consegna tuttora quella originale - una responsabilità molto chiara, che è quella per cui, partendo dal presupposto di nessuna subordinazione tra i diversi livelli dello Stato, tutti questi livelli diversi, nel rispetto della propria autonomia, concorrono al migliorare le condizioni di vita dei cittadini in tutto il Paese.

Se è vero, tra l'altro, che metà del nostro PIL è pubblico, deve conseguire che noi dotiamo questa metà del nostro sistema complessivo di tutte le condizioni per rendere, per migliorarsi.

Allora, io penso che ci voglia davvero più coraggio, e lo dico alle altre forze che hanno pensato di presentare questa mozione. Parlare di province, parlare di prospettive di province, rivedere la legge n. 56 vuol dire avere il coraggio di ragionare sul ruolo che questi ambiti ottimali possono avere nel concorrere al raggiungimento di obiettivi nazionali. Per questo chiedo per quale motivo noi non possiamo immaginare che si possa affidare alle province o a quell'ambito ottimale un compito in più, che è quello, per esempio, di valutare quanto ogni territorio e ogni ambito ottimale concorra al raggiungimento di grandi politiche nazionali, di grandi obiettivi di politiche nazionali, misurando e quindi valutando la qualità dei servizi in quel territorio e immaginando una sorta di scomposizione di PIL per i tanti ambiti territoriali ottimali, cioè le tante province italiane, le cento province italiane, e misurando e valutando le performance territoriali in ogni singola provincia.

Se noi provassimo a fare in modo che tutte le forze istituzionali, a partire dai sindaci, si riconoscano in quest'ambito ottimale e possano riconoscersi nella misurazione di come funziona un territorio, riconoscersi nel contributo che quel territorio dà complessivamente al Paese, io penso che potremmo fare un passo in avanti molto significativo anche avendo come conseguenza una migliore relazione tra centro e periferia, altro grande tema su cui la nostra storia repubblicana ci ha insegnato che siamo stati solo capaci di seguire una sinusoidale in cui un po' si parlava di devoluzione e poco dopo di accentramento e viceversa con il passare del tempo. Io penso che, se noi riuscissimo a concepire gli ambiti ottimali con queste finalità probabilmente saremmo anche in grado di far cambiare la mentalità a un centro che non può essere concepito come chi dà la pagella ad uno o all'altro territorio, ma come chi mette nelle condizioni i territori di fare meglio anno dopo un anno e, quindi, di premiare se un territorio è stato in grado di fare meglio rispetto all'anno prima. Su cosa? Esattamente su quello che dicevo prima: il proprio contributo alle politiche nazionali, la qualità dei servizi primari che si erogano in quell'ambito ottimale e, più in generale, le performance territoriali di ogni territorio.

Allora, questo per dire che io penso che l'occasione di questa mozione sia l'occasione di ricordarci che questa deve essere una sfida di tutti, deve essere la sfida di arricchire la riflessione sulla legge n. 56 anche di questi aspetti, cioè che è come fare in modo che a partire dall'autonomia ogni istituzione, ogni livello istituzionale, concorra a migliorare le condizioni del Paese e, quindi, dei cittadini e credo sia anche l'occasione - e questo varrà soprattutto per il prosieguo della discussione in Aula - per non cadere nella trappola del vecchio detto romano: Roma locuta, causa finita, cioè Roma si è espressa e la questione è chiusa. Io penso che l'Aula non dovrà semplicemente esprimersi su questo tema, anche con un grado di strumentalità che accettiamo, ma se davvero vuole toccare con mano quel livello dei servizi, quello che arriva ai cittadini e che ha a che fare con il funzionamento delle province dovrà semplicemente essere il luogo che dà il là ad un grande coinvolgimento istituzionale nel Paese.