Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 25 Giugno, 2019
Nome: 
Umberto Buratti

A.C. 622-A

Grazie, Presidente. Con il provvedimento Istituzione della Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino non intendiamo celebrare solo un fatto d'arme, una battaglia, la data del 26 gennaio 1943, quando, dopo l'accerchiamento che c'era stato alle nostre truppe nella località Nikolajewka, esse riuscirono a sfondare l'accerchiamento. Ma vogliamo ricordare il sacrificio di quegli uomini che, come ha scritto nel suo ultimo libro Marco Mondini, tutti giovani su vent'anni, trovarono nella disperazione di quel momento la forza per andare oltre e per poi, da lì, fare ritorno alle loro case. Io ho fatto il servizio militare come ufficiale di complemento negli alpini, 104° corso della scuola allievi ufficiali di Aosta, e poi il servizio di prima nomina a Bolzano, alla caserma Huber, e qua ci sono altri colleghi del mio gruppo che hanno avuto lo stesso onore di servire il nostro Paese in quella caserma. Ho conosciuto tanti alpini che avevano vissuto quel momento della battaglia di Nikolajewka. Ebbene loro erano i primi a dire: mai più guerra, mai più guerra ed invece è necessario impegnarci per la pace. In che modo? In che forma? Lo spirito alpino, già è stato detto, è quello dell'Associazione Nazionale Alpini che ha un motto: per ricordare e celebrare i nostri morti aiutiamo i vivi e l'Associazione Nazionale Alpini svolge in tutto il Paese l'attività di volontariato, l'attività di Protezione Civile. Gli alpini sono i primi e sono anche organizzati per poter portare con il loro ospedale da campo, in poche ore, aiuto a popolazioni in difficoltà. Questo è il corpo degli alpini di oggi. Dobbiamo ricordare che tra l'altro la formazione del Corpo degli alpini, dopo la costituzione dello Stato unitario dell'Italia, non veniva vista di buon occhio cioè avere reparti che venivano costituiti con popolazioni provenienti dai territori ma, al contrario, la caserma doveva essere la scuola di formazione della giovane Italia e allora chi era del nord andava al sud e chi era del sud andava al nord. Ebbene invece fu fatta da parte di Perrucchetti ma anche del generale Cesare Ricotti Magnani la proposta di costituire truppe che provenivano dalle località di montagna e, quindi, vicine a quei territori perché erano esperti e quindi con la conoscenza dei luoghi potevano svolgere la loro attività e il loro servizio per la patria. Dicevamo di Nikolajewka e di quel tremendo momento. Mario Rigoni Stern ha scritto pagine che credo tutti noi abbiamo avuto modo di apprezzare: in quelle pagine si legge la disperazione ma al contempo anche l'umanità.

Dunque, proprio nella giornata del 26 gennaio, laddove gli alpini, salvati da un compagno, diceva: gli ufficiali che muoiono alla testa dei loro uomini, gli attendenti che si fermano per piangerli, come si farebbe con un bambino, sono gli episodi che formano il vario affresco del 26 gennaio, il giorno della battaglia di Nikolaevka che culmina nella scena del generale Reverberi, comandante della Tridentina, il quale, nel momento cruciale della battaglia, guida personalmente i superstiti all'assalto.

Già nella discussione generale, ho avuto modo di ricordarlo, ma lo voglio fare anche questa sera; in quei momenti ci sono stati veramente dei gesti eroici, dai quali poi sono venuti riconoscimenti al valor militare, ma sono tantissimi quelli che non hanno avuto l'onore di una medaglia e di un riconoscimento, come il mio concittadino, Lirio Barberi, un medico, il quale, subito dopo lo sfondamento di Nikolaevka, anziché tornare con gli altri e, quindi, prendere la via di casa, decise di fermarsi ad aiutare i feriti, gli alpini e gli altri soldati, perché non ci dimentichiamo che, oltre agli alpini, c'erano anche altre formazioni militari, e decise di rimanere lì, sul campo, ad aiutare i feriti. Sono grandi gesti di umanità; in quella battaglia, ci fu qualcosa di particolare, non era più una battaglia, era diventato un luogo nel quale si cercava di uscire da quella tremenda sciagura a cui erano stati portati in mostri militari, per tornare alle loro case o, come diceva Rigoni Stern, per tornare a “baita”.

Ebbene, io vorrei terminare questo mio intervento, nel ricordare che da sempre l'Associazione nazionale alpini celebra questo anniversario nel mese di gennaio e noi, quindi, oggi, ci troviamo a codificare quella celebrazione, quell'anniversario, però, dando quei valori che dicevamo prima, perché, poi, alla fine, chi erano gli alpini? Erano il popolo, era gente comune, erano uomini che avevano lasciato le loro case, ma in quel momento avevano il desiderio di far ritorno alle loro case, si erano trovati in una terra così lontana; sono tanti anche quei momenti nei quali c'è stato un rapporto di amicizia o quasi con i russi e con quelle popolazioni; del resto, i racconti sono tanti. Ma, come dicevo, voglio terminare questo mio intervento, anche nel segno di una speranza, che sono le parole del canto alpino “Io resto qui, Addio”, musicato dal maestro Giorgio Susana che dice: “Io resto qui, Addio! Stanotte, mi coprirà la neve e voi che tornerete a casa pensate qualche volta a questo cielo di Russia. Io resto qui, Addio! Con altri amici in questa terra e voi che tornerete a casa sappiate che anche qui, anche qui, dove io riposo, in questo campo vicino al bosco di betulle, verrà la primavera”.