Data: 
Lunedì, 27 Maggio, 2019
Nome: 
Antonio Viscomi

A.C. 1816-A

 

Grazie, Presidente. Abbiamo già affermato in quest'Aula, un paio di settimane fa, che il decreto-legge n. 35 viola sul piano costituzionale regole basilari in materia di leale collaborazione fra Stato e regioni, come formulata dalla giurisprudenza della Corte e come consacrata nell'articolo 8 della legge n. 131 che disciplina le modalità di esercizio dei poteri sostitutivi del Governo centrale nei confronti dei governi locali; abbiamo pure evidenziato che l'emergenza del e nel Servizio sanitario regionale calabrese, di cui tratta il capo 1 del decreto, è stata utilizzata come una sorta di grimaldello per consentire al Governo di dettare norme di carattere generale contenute nel capo 2 che riguarda, invece, il sistema sanitario nazionale. Così operando, il Governo, però, ha violato la regola anch'essa basica che impone l'omogeneità dei contenuti precettivi di un decreto-legge; in questo caso, in effetti, siamo di fronte a due diversi decreti-legge accomunati in un unico provvedimento. La conseguenza è che, così operando, non si consenta una valutazione differenziata delle due parti, costringendo il Parlamento ad accomunare in un unico voto finale provvedimenti che potrebbero anche suggerire valutazioni tra loro differenti.

Ecco, con questi argomenti, che saranno pure teorici, ma sono stati rafforzati da una posizione comune dei presidenti della Conferenza delle regioni, la maggioranza però ha fatto valere il peso più del numero che delle argomentazioni contrarie. Oggi, in sede di discussione generale e dopo un'intensa settimana di lavoro in Commissione, l'attenzione deve essere spostata dai profili generali e di metodo a quelli particolari e di merito, al fine di dimostrare che il decreto-legge n. 35 è e rimane una terapia sbagliata e che rischia di produrre effetti perversi, oggi, nel sistema sanitario della regione Calabria, ma, domani, nel sistema sanitario di qualunque regione. Parlo, signora Presidente, di terapia sbagliata, e uso le parole in modo consapevole, perché non c'è bisogno di terapia dove non c'è malattia e malattia nel sistema sanitario regionale in Calabria c'è e sarebbe da stolti negarlo. È una malattia, però, provocata da fattori avversi, interni ed esterni al sistema, condizionata dalla presenza di una pluralità di attori sul campo, come sempre capita in ogni sistema complesso sul piano organizzativo e multilivello su quello regolativo, coltivata da un deleterio modello culturale che la nomina di un amico o di un amico dell'amico ha spesso considerato più redditizia sul piano del consenso politico rispetto all'erogazione di un servizio ben organizzato, aizzata infine dalla pervasività di chi mafioso o non mafioso, ma pur sempre criminale, in qualunque stagione e sotto qualunque bandiera ha sempre considerato le risorse della sanità come cosa propria e da gestire in proprio, magari con la complicità di una qualche quinta colonna interna; penso ovviamente alle doppie fatture, come tutti sanno, pagate due volte, certo, ma penso anche all'aggressione giudiziaria nei confronti dell'azienda operata tramite meccanismi di pignoramento, sui quali, forse, sarebbe opportuno soffermare l'attenzione.

Proprio per questo, Presidente, meriterebbero una medaglia al valore e un reale riconoscimento tutti quegli operatori sanitari che rispondono, a volte anche in modo eccellente, alle richieste di salute dei cittadini calabresi e che, invece, sono travolti da giudizi sommari e pregiudizi ostili. Se è vero che per deliberare occorre conoscere, allora ascoltare la loro voce dovrebbe essere il primo impegno di ogni decisore politico. Portare alla luce le competenze interne fino ad ora trascurate o emarginate, valorizzarle in modo adeguato, dotarle di tutta la strumentazione necessaria per operare al meglio, promuoverne la permanenza nelle sedi più disagiate dovrebbero essere i tratti significativi di una politica proattiva e positiva per la Calabria e i calabresi. Di merito ha bisogno la Calabria, certo, ma di merito certificato, merito praticato e non predicato, di questo, però, non c'è traccia alcuna nel testo del decreto.

Per queste ragioni la terapia è una terapia sbagliata. Il fatto è, signora Presidente, che il termine medio che lega le norme ai servizi, anzi, che trasforma le norme in servizio pubblico è il termine “organizzazione”, ma delle questioni organizzative non c'è traccia in questo decreto che in verità si preoccupa soltanto della nomina dei commissari e subisce, ancora, l'effetto di attrazione della dimensione contabile del ripianamento del disavanzo, piuttosto che quello del miglioramento dei servizi. Lo dimostra il fatto che soltanto grazie a un emendamento del Partito Democratico, l'articolo 1 del decreto prevede ora che le disposizioni speciali dettate dal capo 1 per la regione Calabria debbano considerare non solo gli obiettivi previsti dal piano di rientro dal disavanzo, ma anche il raggiungimento dei LEA, incredibilmente assenti nella versione originaria del testo. Lo dimostra ancora il fatto che, solo grazie all'azione dei gruppi di opposizione, il Governo ha trasformato la proposta di una pianificazione triennale dei fabbisogni nell'abolizione del blocco del turnover per le regioni in piano di rientro, con le intuibili e positive conseguenze in ordine alla stessa possibilità di assicurare i LEA.

Ma pensare l'organizzazione, ripensarla o, se necessario, anche reinventarla significa riuscire ad agire su profili diversi e tra loro integrati, significa valorizzare le competenze e le risorse umane, significa rafforzare le risorse strumentali, adeguandole agli standard tecnologicamente possibili, significa, ancora, riqualificare le risorse finanziarie, assicurando efficienza ed efficacia alla spesa, significa indirizzare questi elementi verso un obiettivo esclusivo che è l'interesse dei cittadini, anzi, è il diritto del cittadino e l'interesse della collettività alla salute. Ma come può credere, il Governo, che per raggiungere questo risultato sia sufficiente nominare commissari straordinari nelle nuove aziende? E come può credere, il Governo, che questo risultato possa essere raggiunto in poco più di un anno e come può, ancora, il Governo trascurare di considerare che ogni organizzazione è fatta da diversi livelli di comando, da una gerarchia funzionale, segnata ad esempio dalla presenza di un middle management diffuso e da tempo radicato nelle stesse strutture e che dovrebbe, però, sostenere i nuovi commissari nell'opera di radicale riforma?

D'altronde, questa scarsa considerazione della centralità e della complessità della dimensione organizzativa è espressa negli articoli 5, 6 e 10 del decreto n. 35 sui quali spenderò qualche brevissima riflessione. L'articolo 5 riguarda il dissesto finanziario degli enti del Servizio sanitario regionale; la norma introduce nel sistema la gestione straordinaria dell'ente con bilancio separato, quando emergano: a) gravi e reiterate irregolarità nella gestione dei bilanci, oppure, b), una manifesta e reiterata incapacità di gestione. Sommessamente chiedo, signora Presidente, quand'è che una irregolarità nella gestione dei bilanci è da considerare grave, quand'è che un risultato negativo di bilancio diventa disavanzo strutturale non altrimenti sanabile, con quali risorse dovrà essere definito il piano di rientro aziendale e che cosa vuol dire che le coperture finanziarie necessarie al piano di rientro devono essere definite nei limiti delle risorse disponibili e, soprattutto, cosa è e come rileva l'incapacità gestionale in fase di dichiarazione di dissesto finanziario o, meglio, può una dichiarazione di dissesto derivare in via alternativa da una valutazione contabile oppure da una valutazione gestionale?

Domande, signora Presidente, in attesa di risposta, perché nulla dice la norma su questi profili. L'articolo 6 riguarda le gare e gli appalti sottratti alle centrali di committenza regionali per essere in qualche modo attribuiti alle centrali di committenza delle altre regioni.

Pensavo, pensavamo tutti che la correttezza delle gare fosse la risultante dell'onestà dei commissari, della trasparenza delle procedure, della severità dei controlli; scopriamo ora che, invece, è tutta una questione di latitudine e longitudine, basta andare fuori dalla regione Calabria. Qualcuno, però, lo dica all'ANAC, perché nel verbale ispettivo del 2017 ha così esplicitamente affermato: Si può pertanto affermare che la SUA, la stazione unica appaltante della regione Calabria, ha risposto positivamente agli obiettivi del legislatore di un contenimento della spesa sanitaria regionale, assicurando, seppur con limitate risorse, una soddisfacente efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa. Efficienza ed efficacia - dice l'ANAC - che risulta peraltro passibile di margini significativi di miglioramento, qualora alla SUA venisse assicurata dalla regione Calabria un adeguato potenziamento della dotazione organizzativa e strumentale. Quella stessa SUA che nel 2016 ha avuto ben 687.500 euro riconosciuti come fondo integrativo in quanto soggetto aggregatore con più elevato livello di aggregazione della spesa sanitaria. Si dica che la SUA debba essere arricchita di persone e funzioni e che i dipartimenti regionali e le aziende ospedaliere non debbano più operare come stazioni appaltanti, sarebbe allora tutt'altro ragionamento. Si dica ancora che le gare debbano essere aggregate e che il primo compito dei nuovi commissari debba essere proprio quello di rafforzare strutturalmente e funzionalmente tale aggregazione, anche questo sarebbe tutt'altro ragionamento, certo diverso dal dire soltanto che le gare non debbono essere più fatte in Calabria, ma un emendamento in questo senso, presentato dal Partito Democratico, è stato respinto dalla maggioranza di Governo.

E che dire poi, avviandomi alla conclusione, signora Presidente, dell'articolo 10, che vorrebbe importare nel sistema sanitario il modello di scioglimento dei comuni per infiltrazione mafiosa? Il tema è oltremodo delicato, lo sappiamo bene, ma l'esperienza regionale negli enti locali ha già dimostrato l'urgenza di intervenire almeno su due profili di quella disciplina che qui interessano: il personale e l'affiancamento. Il personale, perché serve a poco cambiare i vertici se il personale burocratico rimane al suo posto (anche in questa prospettiva, il Partito Democratico aveva presentato un emendamento per imporre la rotazione del personale nelle aziende sciolte per mafia, emendamento anch'esso respinto dalla maggioranza di Governo); l'affiancamento, perché le amministrazioni già deboli da dover essere commissariate rischiano di essere rese ancora più deboli dal punto di vista organizzativo dopo il commissariamento. Questo è il punto, signora Presidente, che vorrei evidenziare in conclusione: la logica del decreto-legge n. 35 è la logica vetusta e logora dei commissariamenti. Forse è ora di abbandonare questa logica e iniziare a ragionare in termini di affiancamento, di sostegno organizzativo, di accompagnamento in decisioni spesso non facili da assumere. La solidarietà multilivello si esprime anche in questo modo, perché la salute è un diritto essenziale e una componente importante dei diritti di cittadinanza. A raggiungere questo risultato non bastano dei super commissari, perché in un sistema multilivello occorre invece lavorare fianco a fianco, avendo come unico interesse il diritto dei cittadini alla salute. Occorre una logica diversa, una logica nuova, mentre questo decreto guarda al passato, per questo il decreto-legge n. 35 non è una terapia adeguata, anzi è e si conferma una terapia sbagliata.