Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 3 Aprile, 2017
Nome: 
Emanuele Fiano

A.C. 3558-A

 

La ringrazio, Presidente. Onorevoli colleghi, signor Vice Ministro Bubbico, questo intervento assume per me, per come io intendo la politica, per i bisogni che emergono sempre nuovi e per le risposte anche nuove da dare, caratteristiche importanti che ho l'impressione che non sempre siano presenti o che siano presenti con sufficiente forza nel dibattito pubblico intorno a questi temi. Alla nostra generazione europea è dato decidere quale futuro costruire nel medio e lungo termine sul tema dell'edificazione di una società più giusta, più equa, più inclusiva e rispettosa nel tema dei diritti individuali e collettivi, decisa ed intransigente nel campo dei doveri, a maggior ragione di fronte alla stagione della grande immigrazione, della crescita e dell'integrazione delle comunità musulmane nel nostro Paese e in Europa, e nella stagione sanguinosa della crescita della radicalizzazione religiosa nella cultura mussulmana verso l'approdo drammatico del terrorismo di matrice jihadista violenta.

So che mi si potrebbe dire, per esempio da parte di quei tantissimi mussulmani che non abbracciano questa matrice, che la radicalizzazione non è solo mussulmana - ed è certamente vero - oppure anche che l'Islam non è certo solo radicalizzazione - ancora più vero - o ancora, come ha già detto la relatrice onorevole Pollastrini, che la jihad, in un'accezione letterale del termine, è altro e non è solo la matrice violenta di cui parliamo oggi, e anche questo è altrettanto sicuramente vero. Ma tutto ciò non deve impedirci di vedere quello che è sotto gli occhi di tutto il mondo da molti anni, da molti drammatici anni: un deciso e frequente fenomeno di radicalizzazione interno al mondo musulmano ad ogni latitudine.

È un'interpretazione del proprio credo - il quale secondo autorevolissime fonti teologiche islamiche, come anche diceva la relatrice, è un'interpretazione totalmente errata - che conduce migliaia di seguaci di questa fede a considerare coincidente con la propria fede una missione di violenza e di morte verso chiunque non condivida quel modello di credo, a prescindere dal fatto che quel chiunque sia ebreo, cristiano, islamico, ateo, bianco, nero, occidentale od orientale, per un versante, e che impone per altro versante - altro elemento di grande preoccupazione perché lo impone frequentemente con la violenza - regole di vita oppressive, per lo meno nel senso che contrastano con principi di libertà da noi sedimentati da secoli e che consideriamo intangibili a partire, per quello che mi riguarda, da ciò che riguarda la libertà della donna e del corpo femminile.

Tutto ciò ha riguardato in questi anni molti di coloro che si trovavano nei territori occupati militarmente dal sedicente califfato islamico, ma che ha riguardato, in Occidente e anche nei nostri giorni, membri di famiglie, come è capitato nei giorni scorsi ad una giovane ragazza il cui capo è stato rasato - e a queste latitudini noi ricordiamo altre rasatura nei giorni della guerra - per elementi su cui deciderà la magistratura, ma certamente in relazione al fatto che la ragazza non rispettava l'obbligo del velo. Ma noi - e io non ne sarei in grado - in questa proposta di legge non discutiamo di un provvedimento che valuti la correttezza teologica o costituzionale di taluni atteggiamenti, poiché noi non siamo un tribunale. Noi vogliamo prevenire il passaggio dalla fede radicalizzata al terrorismo di matrice islamica. Lo facciamo per la sicurezza di tutti noi, a prescindere dalla nostra origine o fede, ma anche per preservare l'intangibile principio costituzionale della libertà di professione di fede, iscritto nell'articolo 19 della nostra Carta, come libertà individuale ed associata in forma privata e pubblica. Dunque, come è stato già detto, non lo facciamo solo per difendere o assolutamente non lo facciamo per difendere qualcuno dall'Islam in senso assoluto - anzi, lo facciamo per preservare i principi costituzionali della libertà di fede - ma per salvare tutti noi dai pericoli inscritti nella radicalizzazione di matrice jihadista violenta.

Noi non possiamo dimenticare, signora Presidente, signor Vice Ministro e colleghi, che dietro ad ognuno dei terribili attentati che hanno insanguinato nel recente periodo l'Europa e non solo, da Charlie Hebdo al Bataclan, dall'aeroporto di Bruxelles al Museo del Bardo, a Nizza, a Berlino, a Londra, ma anche negli attentati che hanno colpito una vasta serie di Paesi arabi o islamici, c'erano un convincimento ed un'adesione, da parte di coloro che hanno causato morte e terrore, non sempre formalmente sancita dalla partecipazione ad un'organizzazione, ma un abbracciare e un simpatizzare per una causa di fede la cui missione è la guerra perpetua, al costo del sacrificio personale se serve, a chiunque venga considerato un apostata e in generale, qui da noi, al modello occidentale considerato sacrilego, in alcuni casi modello ben identificato nei suoi simboli di civiltà come la libertà di stampa, di satira, di professione di fede e come la libertà delle donne, e in altri casi attaccando a caso chiunque capitasse a tiro con armi casuali o tendenzialmente meno invasive del tritolo o dei kalashnikov, come anche negli scorsi giorni a Londra un veicolo oppure un coltello.

L'Italia, come è già stato detto nei particolari dalla relatrice onorevole Pollastrini, si è già dotata, in questi ultimi anni, di strumenti innovativi legislativi e tecnici atti a garantire il massimo livello possibile di efficienza nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di terrorismo: con il decreto antiterrorismo, con molti investimenti specifici e recentemente, in un senso più ampio, con il decreto per la sicurezza urbana e in parte anche con quello sull'immigrazione, che ancora non sono leggi. Inoltre, l'Italia conta su di un sistema di sicurezza di straordinaria efficienza e professionalità. Dunque, qui noi non ci occupiamo di contrasto e di repressione, ma di prevenzione sotto il profilo culturale, sociale e civile. Da questo punto di vista ha ragione chi sostiene - lo aveva detto nella relazione in Commissione e mi pare che lo abbia ripetuto la relatrice - che in questa guerra non basta vincere: bisogna soprattutto convincere, ovviamente sapendo differenziare tra radicalizzazione islamica prodromica a condotte terroristiche ed estremismo jihadista che sia già chiaramente attività terroristica, cosa che riguarda altri corpi dello Stato e, cioè, le funzioni delle forze dell'ordine e della magistratura.

La proposta di legge che reca come primi firmatari gli onorevoli Dambruoso, Manciulli ed altri si occupa di un ultimo fondamentale tassello in questa strategia complessiva: il contrasto e la prevenzione dei fenomeni di radicalizzazione di matrice jihadista, ma anche il recupero dei soggetti esposti a questi processi nel nostro Paese; leggi analoghe esistono già nei principali Paesi europei. L'attentatore di Nizza o quello di Berlino o quello di Londra hanno attraversato processi individuali o di gruppo di progressivo avvicinamento all'ideologia jihadista, anche a prescindere dall'adesione formale ad un'organizzazione? Sì. Hanno attinto materiale ideologico dalla visita di siti web, dalla frequentazione di moschee, dalla lettura di materiale? Sì. È possibile cogliere prima nella famiglia, attraverso i figli oppure i genitori, nella scuola, sul lavoro, nelle carceri, nei luoghi di cura, i segni di questa progressiva radicalizzazione del pensiero prima e dell'azione poi di costoro? Sì, è quello di cui si occupa questa legge.

È, dunque, imparando a cogliere questi segnali che bisogna intervenire preventivamente, prima che questi comportamenti divengano il terreno fertile per preparare e realizzare azioni terroristiche, e dunque bisogna comunque intervenire perché non vengano lesi i diritti della persona. Possiamo provare a recuperare queste persone, strapparle alla ideologia di radicalizzazione, strapparle ai futuri terroristi? La legge si propone questo. In un esempio che pronunciò la relatrice in Commissione, che è tratto dalla rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo, si citava un episodio del 6 ottobre del 2001, quando, allo Stade de France, a me caro perché ci svolsi gli studi di dottorato di ricerca a Parigi, durante l'incontro di calcio tra Francia e Algeria, il primo di sempre, venne sospeso a qualche minuto dalla fine perché migliaia di spettatori francesi, ma di origine nordafricana, che già avevano fischiato l'inno nazionale, la Marsigliese, invasero il campo al grido di “Algeria, Algeria”, alcuni tra loro chiaramente inneggiando ad Osama Bin Laden.

Questo pochi mesi prima dell'attentato delle Torri gemelle. Quell'incidente turbò profondamente l'opinione pubblica francese, che della sua capacità di mescolarsi ha sempre fatto, da molto tempo, più di noi, un esempio di integrazione virtuosa, anche se poi la discussione sull'assimilazionismo in Francia è molto delicata. Quel quartiere, il quartiere Saint-Denis, di fronte all'entrata dello stadio, fu per anni nella storia parigina una radicata roccaforte operaia, e dunque, in un determinato periodo, anche della presenza politica di sinistra, ma divenne, poi, la sede della presenza di un crescente insediamento etnico di origine nordafricana. Quello stesso quartiere fu il luogo dove si nascosero i terroristi protagonisti della cellula degli attentati a Parigi e degli attentati a Bruxelles. Ovviamente, sarebbe un errore far coincidere il singolo episodio come equazione che dimostra la coincidenza tra disagio sociale in una periferia e fenomeni di radicalizzazioni prodromici dell'estremismo jihadista.

Pur tuttavia, questo, secondo me, è il terreno su cui deve lavorare questa legge: individuare confini molto ampli dove può svilupparsi il processo di radicalizzazione di un individuo, avendo attenzione specifica all'ambito sociale della integrazione, alle questioni sociali che riguardano questo tema e avendo molto riguardo al mondo della scuola, dell'università e del lavoro, e poi, infine, anche - diciamo purtroppo, ma così è - al mondo delle carceri, dove spesso il fenomeno della radicalizzazione parte e si sviluppa. Questo è il tema che abbiamo all'esame di questa legge.

Questa legge ha subito un percorso di approfondimento, di analisi e anche di cambiamento grazie al lavoro di molti colleghi, e in particolare modo della relatrice, onorevole Pollastrini, ovviamente partendo da un testo fondamentale, che è quello dei colleghi Dambruoso e Manciulli. Penso che questa sia un'occasione importante per questo Paese; forse noi più di altri Paesi europei abbiamo in mente come coniugare - non sempre lo facciamo - diritti e doveri. Ho citato la questione del diritto alla professione di fede, inscritta nell'articolo 19 della nostra Costituzione. Ho citato elementi della concezione che noi abbiamo della libertà individuale in questo Paese ai quali non intendiamo rinunciare, e citiamo, come esempio, quelli della donna o del corpo femminile.

Ma non basta, non basta pavoneggiarci nei diritti che noi crediamo incrollabili. Serve agire: per questo lo strumento di cui chiediamo che il Governo si doti, per questo la Commissione parlamentare di osservazione di questi fenomeni, per questo l'azione che va condotta con tutti gli strumenti con i quali oggi si comunica, il portale, Internet, l'azione nelle università, nelle scuole. Noi vogliamo prevenire il peggio; lo vogliamo fare per la sicurezza dei nostri cittadini, per il rispetto che portiamo a tutte le fedi, lo vogliamo fare perché vogliamo ribadire il principio di libertà di fede nel nostro Paese e tutte le libertà che abbiamo salvaguardato sin qui. Per questo, questa legge è fondamentale, e molto importante sarà anche il dibattito pubblico che la accompagnerà.