Dichiarazioni di voto finale
Data: 
Martedì, 18 Luglio, 2017
Nome: 
Andrea Manciulli

A.C. 3558-A

 

Grazie Presidente. Mi permetta, vorrei per prima cosa fare dei ringraziamenti non formali alla I Commissione, a chi si è molto impegnato, dalla relatrice Pollastrini, al collega Fiano, e gli altri che hanno partecipato a questa discussione che non è stata né facile, né banale in questi mesi. Si è molto migliorato, a mio avviso, il testo che io e l'onorevole Dambruoso avevamo presentato, soprattutto perché volevamo che in qualche maniera questo Parlamento producesse uno sforzo come quello che ha fatto e per il quale ringrazio tutte le forze politiche a prescindere dall'essere d'accordo o meno sul tema della prevenzione.

Voglio ringraziare in particolare anche per il contributo che hanno portato nelle audizioni, e anche fuori dalle audizioni (perché nel percorso che ci ha avvicinato a questa legge c'è stata anche un'intensa attività di convegni e di discussioni, anche in queste stanze del nostro Parlamento, sul tema della deradicalizzazione e della tipologia della minaccia del terrorismo jihadista), le forze dell'ordine e tutto il mondo del nostro antiterrorismo che, vorrei rassicurare l'onorevole Sisto, non si vergognano affatto di questa legge, tanto che hanno invitato chi l'ha scritta più volte anche a illustrarla agli agenti e alle forze operative dell'antiterrorismo che si trovano a confrontarsi col tema della prevenzione da qualche tempo.

Vorrei, proprio per questo, partire dall'oggetto di fondo di questa legge: perché è necessaria la prevenzione e perché nell'antiterrorismo il tema della prevenzione è una scoperta recente? Questa domanda è una domanda fondamentale. Il terrorismo di matrice jihadista esiste dalla guerra in Afghanistan, dall'emergere del qaedismo. Il qaedismo aveva delle sue caratteristiche, il qaedismo era un movimento terroristico classico. Nelle due principali narrazioni di se stesso il qaedismo, sia nel discorso celebre di Bin Laden del Novantotto, che nel programma scritto che si intitola “Per un nuovo ordine internazionale” del 2004, fa la scelta di definire Al Qaeda come un movimento terroristico che colloca l'obiettivo di creazione di un Califfato islamico molto lontano nel tempo e lontano soprattutto dalla strategia presente. Al Qaeda non ha mai voluto costruire uno Stato islamico nell'immediato, voleva agire nell'ombra e nella clandestinità come un fenomeno elitista, brutale, che ha prodotto l'11 settembre e molti altri attentati, ma capace come dicono le stesse parole di al Zawahiri, di reimmergersi come un fiume carsico, come quelli che stanno nelle montagne dell'Afghanistan, di scomparire, di essere una minaccia latente e clandestina. Questa tipologia di terrorismo ha portato con sé una tipologia e metodologia organizzativa. Al Qaeda oggettivamente produceva più che moschee, lo voglio dire perché soprattutto da persone che hanno una forte cultura giuridica ci si aspetta la precisione anche nei termini, un fenomeno che stava nelle cosiddette madrasse spurie, cioè scuole coraniche non ufficiali che spesso vivevano parallele alle moschee, ma che molto spesso venivano disconosciute dalle moschee stesse. Tuttavia, Al Qaeda ha sempre curato molto il mondo della confessione islamica e anche il rapporto con le moschee più radicali e da lì si è nutrita per attingere la propria tipologia di terrorismo.

Difatti, quel tipo di militante aveva attorno ai trent'anni, era fortemente islamizzato e molto più ridotto nel numero, facilitando non poco il compito dell'antiterrorismo che l'ha dovuto fronteggiare, perché aveva, come si può dire, la tendenza a raggrupparsi e a stare in luoghi fisici facilmente controllabili. Perché non ci prendiamo in giro: per quel che riguarda l'aspetto di repressione, in Europa non ci sono moschee che, in qualche maniera, non abbiano un vaglio preventivo; e non lo possiamo scoprire oggi, perché altrimenti significa che non ci occupiamo di antiterrorismo e, quando si affronta un qualsiasi decreto di questa importanza, invece bisognerebbe sapere di cosa si parla e di cosa si narra. Perché a un certo punto, invece, nasce il tema della prevenzione? Perché Daesh ha cambiato le regole del gioco, Daesh, anche per il rapporto, e non c'è qui il tempo di dirlo, con i servizi segreti di Saddam Hussein e con il mondo baahtista, ha introdotto nel jiadismo alcune forme molto occidentalizzate di lotta. Ha, prima di tutto, deciso di costruire uno Stato.

Perché ha deciso di farlo? Perché voleva costruire un prodotto narrativo che avesse una bandiera, dei confini, un orizzonte ideologico da comunicare al resto del mondo. Esiste la patria dei fondamentalisti, per la quale ci si può battere in vario modo. Questa cosa non sarebbe riuscita se, insieme a questo, non si fosse cominciata una guerra mediatica in grande stile senza precedenti. Il primo a mostrare le esecuzioni in diretta fu Al Zarkawi, il leader di Al Qaeda in Iraq, la formazione dalla quale si è originato Daesh. Ve le ricordate tutti le esecuzioni con il condannato vestito di arancione, come a Guantanamo, e la brutalità? Giuliano Ferrara ne pubblicò una in fotogrammi su il Foglio, facendo scalpore. Fu l'inizio di una guerra mediatica che non si è mai arrestata e ha cambiato profondamente le regole del gioco.

Perché le ha cambiate? Perché quel prodotto lì non aveva più bisogno di passare nelle moschee e nei luoghi di culto, non aveva più bisogno di passare nei luoghi ufficiali. Quel messaggio passava in rete, e passava benissimo, riproducendosi più come un virus che come un contagio culturale. E quel messaggio ha creato una nuova tipologia di persone, i simpatizzanti, cioè persone che non sono né terroristi né foreign fighters, che, in qualche maniera, provano simpatia per questo fenomeno e che non si sa quando, se e come passeranno agli atti. Qual è il problema? Che questi simpatizzanti stanno spesso in un segmento di età molto giovane, fra 14 e 25 anni, e, se non si va a cercarli a scuola oppure nei luoghi di aggregazione o in luoghi che non hanno niente a che vedere con la dimensione di culto, sfuggono.

Molti degli attentatori degli ultimi mesi, a cominciare da quelli di Londra, ma se ne potrebbero citare tanti, rispondono a questa tipologia, che non ha reato che lo persegue e che non ha, soprattutto, strumenti per contrastarla. Tutte le forze di intelligence, e mi riferisco soprattutto a quelli che, come me, su queste cose lavorano e studiano, stanno preconizzando l'utilizzo di forme preventive, perché, purtroppo, verso questa nuova minaccia non c'è possibilità di agire solo repressivamente. Non stiamo discutendo di una cosa astratta; stiamo discutendo e stiamo dando alle nostre forze dell'ordine la capacità di intervenire su un fenomeno che fino a oggi ci ha paralizzati. Vedete, non lo voglio dire astrattamente, vi voglio raccontare una storia, che grazie ai ROS, che l'hanno in qualche maniera trattata, possiamo vedere alla luce degli occhi nel nostro Paese.

È la storia di Meriem Rehaily, nata nel 1995, studentessa al terzo anno presso l'Istituto “De Nicola” di Piove di Sacco. Meriem, che era brava in informatica, faceva un certo uso dei computer, ma, soprattutto, la sua insegnante si rende conto, dai propri temi, dai temi che fa, che c'è una qualche difficoltà con questa ragazza, perché tratta argomenti molto delicati e in una maniera non bella.

Meriem a un certo punto comincia a scappare di casa. Il babbo, che è perfettamente integrato, non è un ottentotto, è un cittadino di origine marocchina perfettamente integrato, va dai carabinieri a dirgli che sua figlia scappa di casa. Sua figlia, come si può dire, a un certo punto si allontana e sparisce. Si capisce che nell'istituto c'erano state fughe di notizie e utilizzo improprio di computer. Si capisce che da quel computer è partita una lista di poliziotti italiani che è finita come obiettivo su un sito riconducibile allo Stato Islamico. Quando la procura di Venezia decide di farla arrestare, Meriem era già in Siria, dove tuttora è, a Raqqa. Noi non ci stiamo occupando di cose lontano da noi.
Noi ci stiamo occupando di prevenire il terrorismo che possiamo avere anche dentro di noi, e su questo dovremmo essere un po' più nitidi, come siamo stati oggi.