Discussione sulle linee generali
Data: 
Giovedì, 18 Ottobre, 2018
Nome: 
Antonio Viscomi

A.C. 1066-A

Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori nei servizi educativi per l'infanzia e nelle scuole dell'infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo in materia di formazione del personale (ai sensi dell'articolo 107, comma 1, del Regolamento) 

Grazie, Presidente. Allora, la proposta di legge che siamo chiamati, oggi, a discutere intende aggredire e contrastare un fenomeno che sollecita radicalmente le sensibilità personali e le emozioni sociali più profonde.

L'idea stessa che possano usarsi condotte di maltrattamento, abuso o violenza, nei confronti di soggetti deboli, da parte di operatori che sono, professionalmente, chiamati a prendersene cura non può che provocare istintive, condivisibili e condivise reazioni di rigetto e sdegno.

Non è solo il fatto in sé della violenza, quanto piuttosto il percepire una rottura del patto di fiducia e in cui si innerva ogni relazione di cura o di presa in carico, un patto di fiducia che rappresenta il nocciolo etico di una relazione altrimenti asimmetrica e che, proprio perché asimmetrica, in assenza di quel patto, rischia di essere ridotta a mero esercizio di ruolo di potere. Per queste ragioni, la violenza nei confronti di soggetti vulnerabili è da riprovare in massimo grado e suscita naturalmente un orrore condiviso.

Quando, però, dal piano della sanzione sociale o giuridica che sia - invocata spesso sull'onda mediatica ed emotiva di vicende concrete che, però, sia chiaro, mai aiuta a ben legiferare - si inizia a ragionare sui possibili mezzi per prevenire il verificarsi di quei fatti e, quindi, ancor prima e necessariamente, si ragiona sulle cause determinanti, appare subito evidente una complessità difficile da afferrare compiutamente e ancora più difficile da comprimere in un articolato normativo.

Il progetto di legge in esame, come quello già a suo tempo approvato da questa Camera, ha scommesso essenzialmente su due elementi ritenuti idonei a prevenire e contrastare in modo adeguato ed efficace le condotte lesive considerate: l'installazione facoltativa di idonei sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso, da una parte, e una più attenta e mirata valutazione e formazione delle attitudini professionali degli operatori impegnati nei servizi educativi e nelle scuole per l'infanzia, nonché nelle strutture socio-sanitarie socio-assistenziali che ospitano anziani e persone con disabilità.

Il Partito Democratico ritiene, l'abbiamo più volte detto in Commissione, ma, come ormai troppo spesso capita, senza riuscire a ricevere una qualche interlocuzione diversa dalla mera reiterazione di un diniego di attenzione e di ascolto, che la prospettazione offerta dal disegno di legge in qualche modo sia parziale, perché lacunosa, se non proprio assente, appare la prospettiva specifica dell'organizzazione del lavoro. È un errore significativo, perché l'organizzazione può, essa stessa, non diversamente dal cuore umano, rivelarsi malata, e un'organizzazione malata molte volte origina o, comunque, non impedisce l'assunzione di comportamenti riprovevoli.

Avevamo proposto, signor Presidente, uno specifico emendamento sul punto, al fine di meglio governare e orientare alla prevenzione della violenza i processi di valutazione dello stress lavoro correlato, nell'ambito però del documento unico di valutazione dei rischi sul lavoro. Siamo tutti consapevoli delle difficoltà del lavorare con persone vulnerabili, con bambini piccoli e piccolissimi, in classi numerose, oppure prendendosi cura di anziani spesso non autosufficienti o non reattivi, in ambienti tristi.

Lo sappiamo, è tutto più difficile, e tuttavia il nostro emendamento in Commissione è stato respinto, salvo poi essere recuperato in limine, in una forma del tutto parziale, a firma delle stesse relatrici; recuperato, signor Presidente, non riprodotto pedissequamente, ma è del tutto evidente che, dal punto di vista dell'iniziativa politica e parlamentare, la differenza tra recuperare e riprodurre non è poi così significativa. Mi limito a dire qui: forse è meglio essere copiati, che trascurati, ma questo comportamento, come già rilevato ieri in Aula a proposito degli emendamenti e degli ordini del giorno della legge relativa alle filiere agricole, sta ormai diventando prassi costante e non più accettabile di una maggioranza che arriva ad ipotizzare fantasmi all'opera e manine terze in grado di modificare testi di legge nel tragitto tra un Palazzo e l'altro, ma non riesce proprio a riconoscere la bontà delle proposte dell'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), anche quando ad essere palesemente si ispira. Anche per questo, signor Presidente, ripresenteremo in Aula il nostro emendamento non accolto in Commissione, anzi ripresenteremo tutti i nostri emendamenti non accolti in Commissione.

Non è ignoto che l'installazione delle telecamere costituisca una modalità di contrasto ai fenomeni di violenza particolarmente difficile da gestire, sia sul piano concettuale, che su quello pratico-operativo: sul piano concettuale perché richiama alla memoria modelli e metodi invasivi, volti ad assicurare un controllo totale, un moderno e tecnologico panopticon, che non sarebbe certo dispiaciuto ad Orwell; e sul piano pratico-operativo perché solleva una pluralità di questioni sotto i molteplici aspetti dell'acquisizione, conservazione e utilizzazione dei dati.

Su questi profili, il progetto tenta di trovare un punto di equilibrio, l'installazione non è un obbligo ma una facoltà, l'esercizio di questa facoltà deve tener conto delle prescrizioni del Garante, della procedura negoziale collettiva, delle previsioni dettate dal MIUR per la partecipazione delle famiglie. Resta il fatto che la presenza delle telecamere negli spazi scolastici e residenziali - quali spazi scolastici e residenziali, si chiedeva giustamente prima - potrà essere percepita dagli operatori come una sorta di invasione, non tanto della privacy personale, quanto della libertà della relativa attività professionale. Anche per questo è certo da apprezzare il fatto che il disegno di legge vieti l'accesso alle registrazioni, che dovranno essere conservate per sei mesi, e faccia salva la sola acquisizione giudiziaria per finalità di prova documentale nell'ambito di un procedimento penale, non di un qualunque procedimento penale, né di qualunque imputazione, ma in virtù dell'inciso finale dell'articolo 1 del solo procedimento deputato ad accertare le condotte di maltrattamento ed abuso anche psicologico.

Di maggiore interesse, ma certo neppure esso è esente da critiche, è l'altro profilo, quello relativo agli interventi sulle persone che prestano la loro attività professionale. Si tratta di una serie di criteri di delega, sui quali il giudizio nel merito non può che essere differenziato, ma devo segnalare in via generale che la relativa formulazione, in quanto sostanzialmente generica, in alcuni casi quasi in bianco, suscita serie perplessità sul piano della legittimità costituzionale. Un esempio per tutti: si propone di rinviare ad un decreto ministeriale l'individuazione degli adeguati requisiti che integrano l'idoneità professionale con una valutazione di carattere attitudinale. Poiché in Commissione la maggioranza ha respinto gli emendamenti dell'opposizione che chiedevano di precisare la dimensione psicologica di tale valutazione attitudinale, risulta difficile comprendere ora il proprium della differenza tra idoneità professionale e valutazione attitudinale; o meglio, in assenza di precisi criteri di delega, la distanza fra le due nozioni potrà essere definita discrezionalmente dal Governo.

Per intenderci, mi chiedo se nella valutazione attitudinale e quindi nella stessa nozione di attitudine professionale in quanto distinta dalla idoneità professionale, potranno essere fatti rientrare, direttamente o indirettamente, requisiti relativi all'orientamento di genere, oppure alla moralità dei comportamenti, già da qualcuno richiamati in relazione alle spese di cittadinanza o ad altri fattori da cui possono derivare i rischi di discriminazione per fattori vietati dalla legge. Il problema è, signor Presidente, che, come tutti i mestieri, anche quello del legislatore richiede un minimo di consapevolezza in ordine alla cassetta degli strumenti utilizzabili e fra questi un posto prioritario è occupato dal fatto che ogni decisione deve inserirsi in un sistema giuridico consolidato, che ha proprie regole di funzionamento. Il mancato rispetto di queste regole non può che determinare il rischio di effetti perversi. Basterebbe poco per evitarli, a volte basterebbe soltanto ascoltare senza pregiudizi le opposizioni.

In relazione agli altri criteri di delega mi limito a segnalare tre questioni molto velocemente.

La prima: si prevede che il personale dichiarato non idoneo allo svolgimento delle mansioni possa beneficiare di adeguati percorsi di sostegno e ricollocamento. Ora, a tacere dei dubbi derivanti dall'assenza di ogni riferimento ai soggetti e alle strutture chiamate ad operare tale valutazione di idoneità, è da domandarsi - e in Commissione il Partito Democratico se l'è domandato - se e come debba realizzarsi la detta procedura di ricollocamento. Avevamo presentato in Commissione un emendamento per agevolare l'assegnazione a mansioni diverse, sulla falsariga di una norma che esiste già per il personale docente della scuola, ma che, di per sé, non opera ovviamente in altri ambiti. L'emendamento non è stato accolto con una motivazione quasi surreale. Il fatto è, però, che la norma già esiste e si applica soltanto al personale docente e non a tutte le attività pubbliche e private considerata la legge in discussione. Si tratta ancora di una legge delega e pertanto il criterio del possibile mutamento delle mansioni deve essere formalmente esplicitato, altrimenti non potrà essere autonomamente adottato dal Governo. Tecnica, signor Presidente, forse è tecnica, ma proprio la tecnica è il ponte che consente di tradurre una visione politica, qualunque essa sia, in politiche pubbliche efficaci, almeno per chi non si accontenta di un paio di titoli sui giornali e dei post sui social.

La seconda questione: si prevede l'introduzione, nell'ambito del personale aziendale, di un soggetto preposto alla prevenzione, nonché al controllo di eventuali condotte violente anche reiterate. Temo che, in chi ha formulato la previsione, abbiano operato in modo significativo le suggestioni di Philip Dick e del sistema pre-crimine di Minority Report, ma qui, a dire il vero, siamo nel mondo reale e la formulazione proposta è solo foriera di rischi, dal momento che l'estensione e l'intensità del ruolo svolto da tale soggetto non meglio identificato potranno determinare serie conseguenze in caso di procedimento penale, per mancato controllo delle condotte violente anche reiterate o, addirittura, per violazione di qualunque attività di prevenzione. Il fatto è che la legge in esame, avendo perso ogni consapevolezza della dimensione organizzativa, aziendale e lavoristica, si è immersa nella creazione di figure nuove, surreali, inutilmente anzi estremamente rischiose per chi dovrà svolgere i ruoli in esame. Scusi, Presidente, ma se le condotte violente sono da considerare nella prospettiva dello stress lavoro correlato e se esiste già la figura, anzi la struttura, del responsabile per la sicurezza in azienda, che bisogno c'era di introdurre una nuova e ambigua figura di responsabile della prevenzione contro la violenza, che a questa si sovrappone? La risposta, a mio avviso, è semplice: un titolo di giornale, un banalissimo titolo di giornale: “Da oggi in azienda il responsabile contro gli atti di violenza”.

Questa circostanza è confermata anche da un altro elemento: l'introduzione in limine, sulla base di un'osservazione della Commissione cultura, del criterio di delega relativa allo stress lavoro correlato. Il gruppo PD in Commissione aveva chiesto l'approvazione di un emendamento specifico, destinato a rassicurare nella relazione del documento di valutazione dei rischi una specifica considerazione delle condizioni di lavoro nella prospettiva della eziologia stessa dei fenomeni violenti, cioè come fattori originanti dallo stress lavoro correlato. La maggioranza ha respinto il nostro emendamento, salvo poi recuperare qui e nell'articolo 2 dei richiami allo stress professionale, ma senza alcuna correlazione con il documento unico di valutazione dei rischi e, soprattutto, senza alcuna considerazione del fatto che questioni del genere richiedono l'emanazione di linee guida e modelli valutativi e operativi omogenei. Ancora una volta si scrivono norme senza avere piena consapevolezza del sistema giuridico, istituzionale ed organizzativo in cui quelle norme sono chiamate ad operare.

Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, ma è ancora necessario - per una migliore formulazione e formulazione del giudizio sul progetto in esame - segnalare almeno due elementi. Il primo è relativo agli anziani nelle strutture sociosanitarie e socioassistenziali: abbiamo chiesto e chiederemo ancora che i parenti, i familiari e gli amici degli ospiti di queste strutture abbiano diritto di entrare per incontrarli a qualunque ora del giorno e della notte, anche senza preavviso. Abbiamo chiesto e chiederemo ancora oggi che l'esercizio di tale facoltà non sia impedito dalle strutture attraverso il richiamo strumentale ed opportunistico alla impossibilità di ingresso motivata nei più vari modi. Abbiamo chiesto e chiederemo ancora oggi che l'ingresso di soggetti esterni sia libero, ferma restando l'ovvia necessità di non pregiudicare l'attività interna della struttura. Non è complicato farlo, ma quello che non si può accettare è che di fronte a questa nostra richiesta, volta a sostituire la condizione “ove è possibile” del testo della legge con una diversa locuzione, la maggioranza abbia rifiutato il confronto e il ragionamento, rispondendo che si tratta di formulazioni equivalenti.

Il secondo punto è relativo al piano straordinario di ispezioni previsto all'articolo 2: si chiede alle autorità ispettive di accertare il grado di accoglienza delle strutture. Mi sfugge il significato di “grado di accoglienza”. Non mi sfugge, invece, la specifica competenza regionale sul punto, con tutte le conseguenze che già ora è possibile immaginare nei rapporti Stato-regioni. Insomma, signor Presidente, a voler trarre un giudizio finale sul progetto di legge in esame, credo di poter dire con sufficiente ragionevolezza che questa legge avrà più spazio sui giornali e quotidiani che nei manuali universitari; sarà affidata alla cronaca più che alla memoria della storia. Di fronte all'allarme sociale provocato dai casi di maltrattamenti, abusi e violenze nei confronti di soggetti vulnerabili da parte di soggetti professionalmente impegnati in prestazioni di cura e assistenza, questa legge propone di intervenire sulla selezione e formazione degli operatori e sull'effetto deterrente delle videocamere.

Forse una minore fretta di arrivare in Aula e un maggior approfondimento in Commissione, forse una maggiore capacità di ascolto delle opposizioni da parte della maggioranza avrebbero consentito di meglio comprendere le complesse correlazioni tra violenza, animo umano e organizzazione del lavoro e dei servizi educativi, sociosanitari e socioassistenziali, e di formulare di conseguenza, ma così non è stato, un testo capace di offrire una risposta operativa nell'esclusivo interesse dei bambini, degli anziani e delle persone con disabilità.