A.C. 3315-A
Grazie, Presidente. Colleghi e colleghe, sottosegretario, a me ha molto colpito che in questa discussione, fin da stamattina, se ci si metteva ad ascoltarla con attenzione, come ho fatto io e come hanno fatto altri, ci si sarebbe resi conto che si parlava di un altro decreto. La cosa più sorprendente è che stato commentato, per ore e ore, in quest'Aula, un decreto che non esiste, perché i commenti sono stati relativi a contenuti che questo decreto-legge non ha, e non sono stati commentati, invece, i due unici articoli di questo decreto-legge. Tra i molti interventi, vorrei ricordare quello dell'onorevole Brunetta; mi sarei aspettata, quando ho visto che si iscriveva a parlare, che iniziasse il suo intervento, per esempio, chiedendo scusa per la vignetta sessista contro la Ministra Boschi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), invece non è successo. Si è invece espresso con altre argomentazioni, legittime (a parte il fatto che parlava di un altro decreto) che pensavo fossero utili, quantomeno, a chiedere scusa.
Il decreto-legge parla di due argomenti e contiene due articoli. Nel primo articolo si inseriscono nei livelli essenziali di prestazioni i beni culturali, il patrimonio culturale, la fruizione del patrimonio culturale. É una scelta di rilevanza grandissima, forse non per tutti. Io rispetto a questo articolo mi sarei aspettata commenti da una forza politica, per esempio, che ha presentato una proposta di legge per inserire il bello nella Costituzione. Mi sarei aspettata commenti, ma invece mi sono trovata, ci siamo trovati di fronte a un dignitoso riservo ? A imbarazzo ? Al silenzio ? Oppure ad altri argomenti. Per esempio, si è detto – lo ha detto il MoVimento 5 Stelle più volte – che la fruizione del patrimonio culturale non ha rango costituzionale. Vedete, forse non è obbligatorio che tutti lo sappiano o che tutti lo ricordino, ma il Partito Democratico nel 2009, il 24 marzo e per molti giorni prima e dopo, chiese e rivendicò esattamente questo: che la cultura venisse inserita nella Costituzione, nei livelli essenziali delle prestazioni. Per noi sono solo sei anni dopo. E disse di «no» a questa rivendicazione, onorevole Simonetti, il Ministro Calderoli. Per il Partito Democratico sono passati solo sei anni da quando, in quel clima cupo della cultura che non dava da mangiare, si disse di «no» a una scelta di straordinaria rilevanza.
E non è la stessa cosa inserire i beni culturali tra i servizi pubblici essenziali. Infatti, scrivere «livelli essenziali di prestazione» vuol dire che, per assicurare quei livelli, dovranno essere messe risorse finanziarie e dovranno essere destinate delle persone. Gli enti locali avranno questo vincolo da qui in avanti.
Allora, nel 2009, e oggi perché il Partito Democratico lo rivendica ? Perché la cultura è la trama del progresso, perché l'ignoranza è la matrice di moltissimi conflitti. La radice della violenza sta nell'ignoranza. La scelta di investire in cultura ha una radice simbolica nella Costituzione, una conseguenza concreta nelle scelte e nella nostra scelta.
Poi c’è un secondo articolo. Il secondo articolo dice che, siccome i beni culturali sono servizi pubblici essenziali, si applica la legge n. 146 del 1990. Si applica una legge dello Stato, che già si applicava ad altri servizi pubblici essenziali. Ascoltando la discussione che qui si è svolta – e me ne rammarico veramente – chi ci ascoltava ha potuto sentire che qui si è detto che con questo decreto si toglie il diritto di sciopero, si puniscono le lavoratrici e i lavoratori – veramente si è sempre detto i lavoratori –, si fa una cosa che non esiste, che non è scritta in questo decreto, che ci si augurava forse, ma non è così, a meno che qualcuno voglia dire che da qui in avanti le lavoratrici e i lavoratori che lavorano in quei settori non potranno più scioperare ? Non potranno più indire un'assemblea ? Oppure dovranno regolare il loro diritto sacrosanto e costituzionalmente definito con i diritti delle altre persone, dei cittadini, così come avviene nella sanità, così come avviene nei trasporti, così come avviene nella pubblica istruzione ?
Ma, allora, viene un legittimo dubbio. Io ho sentito dire che applicare la legge n. 146 è vendicarsi dei lavoratori. Ma allora il punto qual è ? Eliminare, abolire la legge n. 146 ? Il tema è che il conflitto non deve essere regolato ? I cittadini cosa si possono aspettare da una forza che dice che vuole governare questo Paese ? L'abolizione di quella legge ? Nessuna regolazione del conflitto nei trasporti, nelle scuole, nella sanità ? Questo ci possiamo aspettare da chi, da Imola, si candida a governare il Paese ? Di questo stiamo parlando ?
No, parliamo, invece, di un'altra cosa: della scelta di inserire quei beni, quelle istituzioni e quelle attività non solo nei livelli essenziali di prestazione, ma anche nei servizi pubblici essenziali e, quindi, di regolare i diritti delle persone con i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Certo, questo è avvenuto in un contesto. Ma come si fa a dire che per quanto riguarda la fruizione di quei beni per il Paese, che è il primo nella graduatoria dell'UNESCO per i siti archeologici, non si ponga la responsabilità e il problema della fruizione di quei beni. Una domanda non ho sentito. A quella domanda ha risposto la maggioranza e il Partito Democratico. Le domande non erano quelle che qui sono state fatte un po’ così. La domanda era: ma basta l'applicazione della legge n. 146 per fruire dei beni ? Basta questo ? Non basta. Infatti, la legge di stabilità, dopo anni, dieci anni, dodici anni di tagli, ha scelto di invertire la direzione di marcia sulla politica di investimento nella cultura in modo netto.
Nel 2012 la costituente per la cultura nasce in Italia. È fatta attraverso un manifesto e un appello di tanti intellettuali di tutto il mondo della cultura. Diceva: basta a dieci anni di taglio. Chiedeva le cose che oggi sono nel disegno di legge di stabilità di questo Governo. Chiedeva assunzioni e c’è un concorso straordinario bandito per 500 persone, per giovani architetti, storici dell'arte, bibliotecari. Chiedeva che fosse strutturale la tutela del patrimonio e la conferma strutturale del’art bonus, chiedeva il tax credit e gli investimenti nella produzione cinematografica e questo è contenuto nel disegno di legge di stabilità. Chiedeva cioè un'inversione straordinaria perché la cultura fosse la visione lungimirante del Paese. Ripeto: la visione lungimirante del Paese. Come fare a non capire che, quando si investe 1 euro in cultura e torna 1,67 al PIL, è questa la via maestra per uscire dalla crisi. Tutto questo l'ha fatto la maggioranza e l'ha fatto il Partito Democratico che ha anche svolto un lavoro in Commissione importante perché il decreto arrivasse in aula così come arriva oggi, così come non lo avete voluto vedere che arrivasse, perché all'opposizione di questo Governo non interessa il Paese; interessa mostrarsi al Paese in un altro modo. Non interessa vedere quel che di buono si fa ma interessa invece oscurare quel che di buono si fa, oscurarlo. Devo dire che, da questo punto di vista, rivendico con orgoglio al Partito Democratico, invece, di avere oggi portato in aula e votato, e dichiaro il voto a favore del mio partito, un decreto che, uno, dopo sei anni di rivendicazioni in questo senso, inserisce nella Costituzione la cultura e la valorizzazione del patrimonio culturale; due, considera quei beni un servizio pubblico essenziale; tre, fa seguire a queste affermazioni delle scelte concrete di politica economica e politica culturale. Ed è per questo che confermo il voto a favore del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).