Discussione generale
Data: 
Lunedì, 28 Luglio, 2014
Nome: 
Alan Ferrari

A.C. 2486-A

Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, arriva oggi in Aula uno dei provvedimenti più importanti, a mio avviso, del Governo Renzi: il decreto-legge n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e l'efficienza degli uffici giudiziari. Un anello fondamentale della catena di riforme che il Governo sta con decisione e coraggio proponendo al Paese, il primo di una serie in questo ambito. Un anello che si inserisce, concettualmente e sostanzialmente, tra la legge Delrio e le riforme costituzionali del Senato e del Titolo V. Un anello che tocca uno dei nervi più scoperti del Paese: la riforma della pubblica amministrazione. 
Essendo questa la sua natura, non può certo stupirci il fatto che sia stato, ancor prima della sua conversione alle Camere, oggetto di un così ampio dibattito. Non c’è un media, un social network, un singolo confronto politico, un singolo scambio con le rappresentanze socio-economiche o con gli ordini professionali e associazioni delle più svariate categorie, che non abbia visto questo decreto-legge protagonista nelle ultime settimane. 
Ma se la «puntuale attenzione» rivolta da questi ultimi era prevedibile per la natura stessa del decreto-legge, che come già ricordato si presenta ambizioso, complesso, ampio, per certi aspetti duro e molto tecnico, è la più disinteressata curiosità di tanti cittadini a rappresentare il punto politico più interessante, a mio avviso. 
In queste settimane, durante il lavoro in Commissione, è come se ci fossimo sentiti addosso gli occhi di tanti, gli occhi di tutte le persone che sperano che sia la volta buona, quella in cui finalmente si ridà al sistema pubblico il compito che gli compete. Quella in cui si apre, finalmente, la strada della «libertà amministrativa», intesa come libertà di ciascuno di noi, cittadini, di interagire fruttuosamente con una pubblica amministrazione ricettiva, intraprendente, proiettata verso il servizio «al pubblico» e verso risultati sempre più convincenti per l'individuo e la popolazione, anche tramite una continua crescita della propria produttività. 
Parlo di una pubblica amministrazione che abbia come scopo, effettivamente perseguito, quello di mantenere la «promessa» – tipica di una democrazia liberale ad economia sociale di mercato come la nostra – secondo cui la «mano pubblica» deve avere come fine della sua stessa esistenza il promuovere, stimolare e aiutare il protagonismo economico-sociale del cittadino e della società. 
Mentre la dico così, sono io il primo, da cittadino e rappresentante delle istituzioni, a sentire il peso di questa prospettiva. Il traguardo sembra davvero ancora lontano, ma mai come oggi ci sono le condizioni perché un determinato coraggio superi la paura. 
Per riuscirci è del tutto evidente che serve un impegno corale. E serve prima di tutto che questo Governo, il suo Presidente Renzi, i suoi Ministri, si facciano forza delle caratteristiche del mandato che stanno incarnando: il mandato a perseguire obiettivi seguendo la strada della «maggior resistenza», proprio per scardinarla, strada inusuale, non convenzionale, che fonda le sue radici in un dialogo nuovo tra Governo e Paese che ogni giorno si mostra come reciprocamente auto-propulsivo. 
Se mi posso permettere, è proprio la fotografia di questo dialogo che vorrei twittare al Governo, affinché ne sia pienamente consapevole, aggiungendo però che, anche un notevole e spontaneo punto di forza come questo non si trasforma automaticamente in un effettivo risultato di cambiamento. Ma siamo sulla strada giusta, una strada che va seguita a tappe forzate, come ci è richiesto dalle critiche condizioni in cui versa il Paese e va, soprattutto, seguita con la consapevolezza che il Paese non lo cambiamo una volta per tutte, ma per balzi successivi, ciascuno dei quali può e deve prendere forza dai risultati raggiunti da quello che lo precede. 
Allora, credo che sia doveroso in questo dibattito chiederci se la riforma che stiamo discutendo possieda o meno le caratteristiche giuste per correre su questa strada e se abbia già saputo raggiungere il primo traguardo volante. Io penso di sì, ed è questa, signora Ministro, credo l'opinione unanime del Partito Democratico: un'opinione che si basa su fatti concreti, perché in questo provvedimento risultano, prima di tutto, chiari lo stato di partenza e quello a cui tendere. 
Chiaro lo stato di partenza vuol dire aver saputo riconoscere che, a dispetto della tanta qualità che risiede in migliaia di impiegati pubblici di valore, il sistema pubblico nel suo complesso risulta inefficiente ed improduttivo, risulta mosso da troppo assistenzialismo, da posizioni di rendita, da eccessivi limiti di aggiornamento, da limiti tecnici e tecnologici, dalla netta ed inopportuna prevalenza dell'approccio giuridico e troppo poco impermeabile a comportamenti illegali. Chiaro lo stato a cui tendere significa saper definire con lucidità i principi che ispirano il percorso riformatore, che attraversano già questo articolato: come l'affermazione della trasparenza assoluta di ogni attività; come il bisogno di assumere finalmente uno stile di gestione amministrativa di tipo manageriale, basato su forme chiare di rapporto tra costi e ricavi, di efficacia e di efficienza negli uffici e nelle intere istituzioni; come l'innesco di processi emulativi e cooperativi; come la necessità di trasferire competenze e discipline tra generazioni diverse; come il desiderio di legare l'apprendimento al risultato, attivando finalmente una valutazione capace di misurare non solo le performance individuali o dei comparti organizzativi, ma anche la bontà delle politiche; come l'urgenza di mettere il centro al servizio dei territori, da Sud a Nord, invertendo l'ordine attuale per troppo tempo condizionato da una mentalità centralista incapace di riflettere sulla natura congenita federale del Paese e le sue conseguenti potenzialità. 
Insomma, un elenco molto lungo che potrei ulteriormente arricchire, ma che già fin qui ci dà il senso di quello che si sta cercando di fare con questo provvedimento. Un provvedimento che, con determinazione e maturità politica – per le quali mi sento di ringraziare il Ministro Madia, il sottosegretario Rughetti e il relatore Fiano – è stato accompagnato fuori dalle Commissioni migliorato in molte sue parti. Ci sono tanti aspetti specifici che varrebbe la pena di richiamare: mi sento personalmente di mettere l'accento su alcuni. 
Allora, bene, seppur non priva di inevitabili criticità, tutta la parte che riguarda il personale, chiaramente volta alla ricerca di una maggiore equità. Bene il capitolo riservato ad Anac, soprattutto perché ai poteri in senso stretto si affianca un approccio pragmatico su come svolgere effettivamente la funzione ispettiva. Bene il tentativo di ingaggiare con Authority, camere di commercio, scuole di alta formazione, una sfida di revisione complessiva di tutti soggetti che hanno come missione l'interesse generale, anche se la esercitano al limite o, addirittura, al di fuori del perimetro tout court del sistema pubblico. 
Bene, infine, quelle parti del decreto che ci consentono di correggere situazioni delicate, come il prelievo finanziario alle province legato al decreto-legge n. 66, che, se lasciato con scadenza a fine luglio, avrebbe azzoppato sul nascere il processo di riordino avviato; come l'applicazione graduale della stazione appaltante unica per i comuni e, ancora, di trovare soluzione – e mi auguro che l'Aula la confermi – a «quota 96». 
Per chi come me ha potuto partecipare in Commissione affari costituzionali alla costruzione del testo finale, lo scorrere questi risultati è motivo di grande orgoglio. Credo debba essere l'orgoglio di un'intera comunità politica – la nostra – chiamata, anche con riforme come questa, a sgomberare il campo da equivoci e paure. Una comunità politica che deve incamminarsi con convinzione verso lo Stato giusto, quello trasparente, quello che produce una diffusa partecipazione democratica, quello responsabile. Per sostenere questa scelta, però, bisogna credere che un futuro diverso sia realmente possibile. Bisogna credere che l'Italia non sia fregata, anzi, che abbia (e ce le ha) tutte le qualità sul piano economico, politico e culturale per farcela. Presidente, colleghi, nei giorni scorsi, rileggendo qua e là alcuni contributi dei tanti studiosi che nei decenni hanno cercato di affrontare la relazione tra politica e amministrazione, mi sono imbattuto in alcuni testi di Albert Hirschman, uno degli economisti che più ha cercato di affermare il principio di cultura pragmatico-democratica nell'amministrazione pubblica, ed è stata una delle sue leggi più beffarde a sembrare più appropriata per le nostre vicende di oggi, che ci vedono impegnati a risolvere uno degli enigmi più grandi del nostro Paese: il perché non riusciamo a cambiare il sistema pubblico. 

In questa legge Hirschman dice che i problemi si capiscono davvero solo quando stanno per scomparire. Possiamo dare due interpretazioni diverse a questa legge: che il fatto di aver riconosciuto molti dei lacci che zavorrano l'amministrazione pubblica ci dica che siamo vicini alla meta, oppure che per risolvere un problema che ci sta davvero a cuore è bene che ce ne occupiamo alacremente, con instancabile determinazione e aggiungo creatività. È questa seconda che sento di fare mia, non solo perché dubito che siamo davvero vicini alla piena affermazione della libertà amministrativa ma perché è questo lo spirito che ho ritrovato nel Governo in queste settimane su questo provvedimento. Uno spirito che ci deve animare tutti e che deve assurgere a paradigma del nostro impegno, quello spirito che ci chiede il Paese prima di ogni altra cosa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).