A.C. 2629-A/R
Signor Presidente, il decreto-legge che ci accingiamo a convertire in legge ha perlomeno tre valenze che dovrebbero essere approfondite, al di là delle genericità e delle discussioni fumose su cose che non sono contenute nel testo e che evidentemente fanno parte di una proiezione di un film che si ritiene di dover raccontare agli italiani, forse per non compiere lo sforzo di entrare nel merito delle questioni e nel duro lavoro di leggere, approfondire e comprendere quanto si è fatto in questi giorni all'interno di queste Aule. Ma dicevo di tre valenze.
La prima, sul piano politico, è una concretizzazione della strada di un riformismo che potremmo definire consapevole e concreto. La ringrazio, signor Presidente. Dicevo, contrapposta a due strade che ancora in questi interventi abbiamo ascoltato: una strada di una radicalità generica e fumosa e una strada di un conservatorismo miope e rassegnato. Poi, c’è il piano istituzionale e su questo piano è bene ricordare che questa è una buona occasione per il ruolo del Parlamento, perché va detto, senza infingimenti e anche senza timori, che questo decreto-legge esce migliorato e rafforzato dall'esame parlamentare, grazie al lavoro intenso anzitutto della relatrice onorevole Braga, che vogliamo ringraziare, e della Commissione, che si è impegnata intensamente, sia pure lontano dai fari della comunicazione e dei mass media, per introdurre elementi che hanno aumentato la trasparenza e la concorrenza, e valga per tutti il modo con il quale è stato migliorato ed emendato l'articolo 5.
Inoltre, sul piano fattuale, all'interno di questo documento ci sono azioni concrete, vere, reali, di sburocratizzazione, di riordino, di sblocco di settori decisivi per il rilancio del Paese e c’è una cosa forse banale, che però vorremmo sottolineare: il richiamo alla responsabilizzazione di tutti i livelli pubblici, perché non possiamo più accettare che la sedimentazione burocratica nel nostro Paese significhi rinvio, scarico di responsabilità, blocco del sistema.
Tornando al tema politico, abbiamo assistito anche in quest'aula ad un'opposizione preconcetta e ideologica e tutte le ideologie si basano su mistificazioni, su frasi fatte, su generiche attestazioni e asserzioni condite di banalità. Solo due esempi rispetto a questo proposito, signor Presidente, dei tanti: ci si accusa di voler privatizzare l'acqua. È vero il contrario. È vero, invece, che noi rendiamo concreto e attuativo il precetto referendario, riordinando il settore che oggi ha troppi soggetti gestori e, quindi, a livello diseconomico viene riordinato; e senza tacere il fatto che cinque regioni a vent'anni di distanza dalla «legge Galli» non hanno ancora dato attuazione a questo strumento; e senza sottolineare un aspetto, che dalle opposizioni fanno finta di non vedere: noi con questo decreto-legge eliminiamo l'obbligo della privatizzazione del più grande acquedotto d'Europa, l'acquedotto pugliese. Dov’è la privatizzazione dell'acqua, se noi eliminiamo l'obbligo della privatizzazione ? Però, qui c’è un equivoco non detto, perché si lascia sempre sottintendere che il concetto di acqua pubblica significa acqua gratis. E allora il servizio chi lo paga ? Chi paga l'adduzione, la potabilizzazione, la distribuzione, la depurazione, visto che dal rubinetto non ce la porta gratuitamente domineddio ! Con questo strumento noi rendiamo più efficiente il sistema ed è il modo con il quale, da un lato, attiviamo nuovi investimenti e, dall'altro, conteniamo costi e tariffe per i cittadini.
E il secondo esempio: ci si accusa di essere quelli della trivella facile, ma perché non dire che un emendamento del Partito Democratico ha introdotto l'eliminazione delle proroghe automatiche alla coltivazione; ha introdotto l'obbligo della VIA-VAS previa intesa con la regione; ha introdotto il rilascio della concessione, subordinandola alla presentazione di idonee garanzie fideiussorie per danni ambientali massimi; ha introdotto il concetto che gli enti pubblici territoriali verranno inseriti nelle compensazioni e nel riequilibrio ambientale; ha stabilito che i nuovi giacimenti siano subordinati a VIA per dimostrare l'assenza di effetti di subsidenza sull'attività di costa, sull'equilibrio ecosistemico e sugli insediamenti antropici; ha stabilito il divieto di ricerca ed estrazione dello shale gas e dello shale oil.
Perché vede, signor Presidente, noi non siamo quelli della green economy da salotto o da asilo infantile: siamo quelli che la mettono realmente sul campo e, non è un caso, che i grandi big player dell'energia a partecipazione pubblica stiano attuando politiche in questa direzione, con l'ENEL che rinuncia alla riconversione a carbone di centrali termoelettriche o con l'ENI che avvia progetti di green refinery a Venezia e a Gela per ridurre del 40 per cento l'emissione di CO2 nell'atmosfera.
Queste sono le cose concrete, questo è l'ambientalismo dei fatti e non delle chiacchiere !
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Con buona pace dei nostri detrattori, «sblocca Italia», per rievocare uno sloganche andava di moda forse quando i padri dei nostri detrattori scendevano nelle piazze, non è che un debutto, perché deve essere una filosofia iniziale e non estemporanea per fare due operazioni: da un lato, quella di sconfiggere. Da un lato, quella di sconfiggere il potere dei «no», quel potere dei «no» che per troppi anni ha cristallizzato il nostro Paese e che ancora ci viene riproposto, perché noi siamo in quest'Aula «no triv», però vogliamo una bolletta energetica più bassa; siamo «no antenne», però abbiamo tutti in tasca l’iPhone; siamo «no autostrade», però vogliamo velocità, investimenti, sicurezza; siamo «no TAV», però vogliamo trasferire le merci e le persone dalla gomma alla ferrovia.
Poi vogliamo premiare la voglia di investire. C’è un articolo, signor Presidente, che è passato sotto traccia, l'articolo 20, che riguarda le società di investimento immobiliare quotate: ebbene, mentre qui si discute quasi del sesso degli angeli, questo articolo sta già oggi mobilitando e attirando capitali dall'estero verso l'Italia, perché noi ascoltiamo il grido «lavoro, lavoro, lavoro» che ci arriva fuori da questi palazzi, ma il lavoro non si produce con la bacchetta magica o con gli slogan, si produce con gli investimenti. E questo è uno degli elementi che noi vogliamo mettere al centro di questo lavoro, perché rischiamo di vivere quella che De Rita ha definito la «restanza», cioè il residuo attivo degli antichi germi di comunità passate; anche negli interventi che abbiamo ascoltato si parla di difesa, si parla di congelamento di quanto si è guadagnato con i precedenti processi di sviluppo e con le precedenti generazioni.
La verità invece sta altrove, la verità è che più ti fermi e più ti impoverisci e noi dobbiamo evitare un avvitamento micidiale tra due idee, quella dell’austerity, che già troppi danni ha creato anche al nostro Paese, e quella della decrescita felice, che peraltro vediamo in pratica soltanto quando i cittadini accorrono alle urne e non premiano i partiti dell'opposizione, a cominciare dai fautori di questo concetto.
Qui si parla di redistribuzione di un reddito che non c’è quasi più. Noi puntiamo sulla partecipazione diffusa per la creazione della ricchezza, perché qui non ci sono più torte da dividere, ma bisogna aumentare la dimensione della torta della ricchezza. Lo «sblocca Italia» è un tassello in questa direzione politica, di questa azione politica, perché punta su soggetti attivi e su attori concreti in settori chiave come le infrastrutture, l'energia, l'ambiente e lo sblocco di più di 2 miliardi di euro nel tema del comparto idrogeologico, per un nuovo ciclo di sviluppo.
Questa, signor Presidente e colleghi, è l'intima speranza e la tenace convinzione con la quale abbiamo lavorato nella consapevolezza di avere lavorato per l'Italia.