A.C. 3201-A
Grazie, signor Presidente. Non so quanto tempo ho, perché la relazione è abbastanza ampia. Qualora non riuscissi a terminarla, vorrei chiederle di autorizzarmi già alla consegna.
Grazie, Presidente. Il decreto-legge, originariamente composto da 24 articoli, detta una serie di misure in materia fallimentare, civile e processuale civile, nonché di natura organizzativa. In particolare, il provvedimento d'urgenza interviene in materia di: procedure concorsuali (Titolo I, articoli 1-11); procedure esecutive (Titolo II, articoli 12-15); misure fiscali (Titolo III, articoli 16-17); efficienza della giustizia e processo telematico (Titolo IV, articoli 18-21). Una specifica disciplina transitoria è dettata, infine, dal Titolo V (articoli 22-24).
La Commissione di merito ha apportato numerose modifiche al testo, introducendovi dieci articoli aggiuntivi, per cui il decreto risulta composto da 34 articoli. La ratio complessiva del provvedimento, alla quale, secondo la Corte costituzionale, occorre guardare quando si tratta di individuare la materia di un decreto anche ai fini di ammissibilità degli emendamenti presentati, deve essere individuata, da un lato, nel sostegno all'attività di imprese in crisi e, dall'altro, nell'efficienza della giustizia.
Gli strumenti attraverso i quali si è cercato di rispondere alla ratio del provvedimento sono diversi: da un lato, si passa dalla modifica dell'ordinamento fallimentare all'introduzione di una norma sull'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale nel caso in cui vi sia il sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento; dall'altro, vi sono sia norme volte al trattenimento in servizio dei magistrati ordinari e contabili sia norme sui «precari della giustizia».
L'esame in Commissione è stato approfondito – sono stati presentati circa 400 emendamenti, compresi i subemendamenti – nonostante i tempi rigidi propri degli atti di decretazione d'urgenza. Si è svolta un'indagine conoscitiva, in cui si sono sentiti, in ordine cronologico, Luciano Panzani, presidente della corte d'appello di Roma, Francesco Vigorito, presidente della sezione esecuzioni immobiliari del tribunale di Roma, Giuseppe Ferri, ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Alida Paluchowski, presidente della sezione fallimentare del tribunale di Milano, Roberto Fontana, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Piacenza, e Filippo Lamanna, presidente del tribunale di Novara.
Dalle audizioni è emerso un giudizio complessivamente positivo sul decreto-legge originario, accompagnato da una serie di suggerimenti volti a superare alcune singole criticità. Questi suggerimenti sono stati in gran parte accolti, come risulta dalle modifiche testuali al testo. Le modifiche al testo sono state il risultato di un costruttivo confronto in Commissione anche con l'opposizione, con la quale l'unico punto vero di contrasto si è registrato in merito alla cosiddetta «norma Ilva», rispetto alla quale vi è stata una contestazione sia di metodo che di merito.
Piuttosto che illustrare il provvedimento dall'articolo 1, ritengo più utile illustrare per prime le disposizioni nuove introdotte dalla Commissione, per le quali l'Assemblea può non avere la stessa contezza rispetto alle disposizioni originarie del decreto-legge, che, in quanto tali, sono già in vigore. Partirei proprio dalla cosiddetta norma sull'Ilva, che, peraltro, ha una portata di carattere generale.
Nel metodo, si è contestata l'ammissibilità dell'articolo aggiuntivo che la prevedeva, ritenendo che fosse estranea alla materia del decreto-legge, riproducendo, peraltro, l'articolo 3 del decreto-legge n. 92 del 2015, in corso di esame presso le Commissioni VIII e X (A.C. 3210).
Nel merito si è espressa una contrarietà che è andata a sfociare, addirittura, nella illegittimità costituzionale della norma. Per quanto la norma in questione sia stata introdotta nel corso dell'esame in sede referente, vorrei soffermarmi proprio su di essa, in quanto molto probabilmente sarà uno dei punti maggiormente trattati negli interventi che seguiranno e nel corso dell'esame degli emendamenti.
La disposizione, articolo 21-octies, prevede, al comma 1, che l'esercizio dell'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non sia impedito dal sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento, quando la misura cautelare sia stata adottata in relazione ad ipotesi di reato inerenti la sicurezza dei lavoratori e debba garantirsi il necessario bilanciamento tra la continuità dell'attività produttiva, la salvaguardia dell'occupazione, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
La disciplina in esame è diretta ad ampliare quanto già previsto dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 207, del 2012, per gli stabilimenti d'interesse strategico nazionale, e segnatamente per l'Ilva di Taranto, per le cui disposizioni – questo è un punto fondamentale – la Corte costituzionale ha già chiarito (sentenza n. 85 del 2013) la possibilità di un intervento del legislatore circa la continuità produttiva compatibile con i provvedimenti cautelari.
La disposizione prevede che l'attività dello stabilimento possa proseguire per un periodo massimo di 12 mesi dall'adozione del richiamato provvedimento di sequestro subordinatamente alla presentazione, entro 30 giorni, di un piano contenente le misure aggiuntive, anche di natura provvisoria, per la tutela della sicurezza dei lavoratori sull'impianto oggetto del provvedimento di sequestro (commi 2 e 3). Il piano va comunicato all'autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro ed è trasmesso al comando provinciale dei vigili del fuoco, agli uffici della ASL e dell'INAIL competenti per territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo (comma 4).
La descritta disciplina si applica anche ai provvedimenti di sequestro già adottati dalla magistratura al 4 luglio 2015, data di entrata in vigore del decreto-legge n. 92 del 2015. Sia il termine di 12 mesi per il protrarsi dell'attività d'impresa che quello di 30 giorni per la redazione del piano per la sicurezza decorrono dalla data sopracitata (comma 5).
Alle critiche nel merito vorrei, quindi, replicare ricordando che la Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi sul precedente decreto-legge n. 207, del 2012, affermando, con la sentenza n. 85 del 2013, la possibilità di un intervento del legislatore circa la continuità produttiva compatibile con i provvedimenti cautelari adottati dall'autorità giudiziaria. La Consulta ha escluso la violazione della riserva di giurisdizione, avuto riguardo alle tesi di fondo del rimettente, il GIP del tribunale di Taranto, secondo cui il decreto-legge sarebbe stato adottato per vanificare l'efficacia dei provvedimenti cautelari disposti dall'autorità giudiziaria di Taranto. In sostanza, si è riconosciuta al legislatore la possibilità di modificare le norme cautelari, quanto agli effetti ed all'oggetto, anche se vi siano misure cautelari in corso secondo la previgente normativa.
Nel contempo, si è attribuito alla legislazione ed alla conseguente attività amministrativa il compito di regolare le attività produttive pericolose, senza che le cautele processuali penali possano far luogo delle relative strategie.
Si potrà poi discutere, nel particolare, se la disciplina prevista sia migliorabile, ma non si può discutere sulla legittimità della disposizione che si muove in una direzione che la Corte costituzionale ha già vagliato positivamente.
Rispetto all'articolo aggiuntivo approvato è stato inserito un comma nell'articolo 1 del disegno di legge di conversione, accogliendo una condizione espressa nel parere della I Commissione. In particolare, si sono disciplinati i rapporti con l'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, il cui contenuto è pressoché identico all'articolo 28-octies in esame. Da un lato, si prevede l'abrogazione dell'articolo 3, dall'altro, si stabilisce che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo. Questa precisazione è necessaria per coprire il lasso di tempo che intercorre tra l'entrata in vigore del decreto-legge n. 92 e l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge che stiamo esaminando.
Come si è detto, la Commissione ha introdotto 10 articoli nel decreto. Tutti questi articoli nuovi rispondono ad esigenze particolari alle quali si è voluto dare una risposta. Proprio perché si tratta delle novità rispetto al contenuto originario del decreto, ritengo importante rappresentare immediatamente quelle più significative.
Una disposizione significativa, non tanto per l'effetto sull'economia generale del Paese o sull'occupazione considerata sul piano nazionale, è sicuramente quella prevista dall'articolo 21-ter, che si riferisce ai soggetti che hanno completato il tirocinio formativo, di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Si tratta dei cosiddetti tirocinanti. L'importanza della disposizione non deve essere cercata nel numero dei destinatari, ma nella scelta politica di cercare una soluzione per delle persone che hanno lavorato per l'amministrazione della giustizia e che rischiano di entrare, con le loro famiglie, nel baratro della disoccupazione.
Le risorse a disposizione e – cosa ancora più importante – i principi costituzionali che regolano l'ingresso nella pubblica amministrazione non consentono interventi maggiormente risolutivi di quanto si è previsto. La disposizione prevede che, con decreto del Ministro della giustizia, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, siano determinati il numero e i criteri per l'individuazione dei soggetti che, avendo concluso il tirocinio, possano far parte per ulteriori dodici mesi dell'ufficio del processo. La disposizione delinea i criteri e le modalità per procedere alla selezione di questo personale e fissa in 400 euro mensili l'importo massimo della borsa di studio che potrà essere assegnata.
L'inserimento diretto dei tirocinanti nell'amministrazione della giustizia avrebbe contrastato il principio costituzionale secondo cui nella pubblica amministrazione si accede solo mediante concorso pubblico. Vi è, però, una disposizione molto importante che è stata prevista: si stabilisce che lo svolgimento positivo di questa ulteriore attività formativa non solo costituirà titolo di preferenza nei concorsi nella PA – preferenza che dovrà essere accordata anche ai tirocinanti che non accedano all'ufficio per il processo –, ma dovrà essere valorizzato nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia. Non ci si è limitati, quindi, ad una mera proroga del periodo del tirocinio, che avrebbe risolto poco, ma si è dettata una norma che può dare un futuro ai cosiddetti tirocinanti.
Secondo una linea già da tempo tracciata dalla Commissione, la questione del personale della giustizia non si limita al grave e delicato problema dei precari, ma riguarda anche coloro che lavorano nella giustizia a seguito di un concorso pubblico che è stato superato. Si tratta della fondamentale questione della riqualificazione di tale personale. Non si tratta di una disposizione che attua in via generale tale riqualificazione, ma di un intervento mirato, che deve essere collocato in un progetto di riqualificazione sicuramente necessario.
In particolare, l'articolo 21-quater detta misure per la riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria. È consentita l'attivazione di procedure di contrattazione collettiva per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari in cui il Ministero della giustizia è risultato soccombente e per definire i contenziosi in corso. In particolare, attraverso una procedura interna riservata ai dipendenti in servizio al 14 novembre 2009 sono attribuite funzioni superiori (di funzionario giudiziario e funzionario UNEP dell'area terza).
Il personale amministrativo della giustizia è oggetto dell'articolo 21, che prevede l'inquadramento nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria di 2 mila unità di personale proveniente dalle province. Sul punto è intervenuta la Commissione che, riformulando la disposizione, ha previsto che le procedure per l'inquadramento di tale personale abbiano carattere prioritario su ogni altra procedura di trasferimento all'interno dell'amministrazione della giustizia, già prevista dai contratti e dagli accordi collettivi nazionali.
Sempre alla materia dell'efficienza della giustizia deve essere ricondotto l'articolo 18-ter con il quale si è affrontato il problema dell'emergenza connessa con il fenomeno migratorio e dell'elevato numero di procedimenti connessi alle richieste di protezione internazionale. La disposizione consente al CSM di procedere all'applicazione, definendone le modalità, di un numero massimo di venti magistrati presso gli uffici giudiziari nei quali si è verificato il maggior incremento di tali procedimenti. L'applicazione avrà durata di mesi diciotto, rinnovabili per massimo sei mesi. Si tratta in massima parte di uffici giudiziari che hanno sede in Sicilia, i cui attuali magistrati, a fronte di un carico di lavoro già ingente, sono ulteriormente gravati dagli innumerevoli procedimenti connessi alle richieste di protezione internazionali.
Sono state introdotte ulteriori disposizioni in tema di magistratura. L'articolo 18-bis detta disposizioni per il ricambio generazionale nella magistratura onoraria, in linea con le disposizioni contenute dal decreto-legge n. 90 del 2014 che, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e per i magistrati professionali, ha abrogato le disposizioni sul trattenimento in servizio, al fine di favorire il ricambio generazionale.
L'emendamento proposto intende, quindi, unificare la disciplina normativa relativa all'età massima dei magistrati onorari, unificandola per tutti. Attualmente, infatti, i giudici di pace cessano dal servizio col raggiungimento del settantacinquesimo anno di età (articolo 7, comma 1-bis, legge n. 374 del 1991), mentre per i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari la cessazione del servizio è prevista quando compiono i settantadue anni (articolo 42-sexies, comma 1, lettera a), regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).
Inoltre, l'emendamento agisce con gradualità, prevedendo che la cessazione dall'ufficio si verifica al 31 dicembre 2015, per coloro che a tale data hanno compiuto il settantaduesimo anno di età e al 31 dicembre 2016, per coloro che a tale data hanno compiuto il settantesimo anno di età.
Sempre in materia di magistrati, sia pure non ordinari, si interviene con il comma 1-bis dell'articolo 18, il cui comma 1 disciplina il trattenimento in servizio dei magistrati ordinari. Quest'ultimo comma scagliona dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2016 il collocamento a riposo di quanti, raggiunti i limiti per la pensione, siano attualmente trattenuti nei ruoli, consentendo al CSM di procedere ordinatamente al conferimento degli incarichi direttivi che si renderanno vacanti. In particolare, la riforma conferma che i magistrati ordinari che, alla data del 31 dicembre 2015, avranno compiuto settantadue anni dovranno essere collocati a riposo entro la fine dell'anno e dispone che i magistrati ordinari che, alla medesima data, non abbiano compiuto settantadue anni, ma debbano essere collocati a riposo nel periodo 31 dicembre 2015 – 30 dicembre 2016, siano trattenuti in servizio fino al 31 dicembre 2016.
Il comma 1-bis riguarda i magistrati contabili, per i quali si prevede che, in considerazione della particolare situazione di organico della magistratura contabile e al fine di salvaguardare, in fase transitoria, la funzionalità degli uffici per il regolare svolgimento dell'attività di controllo e giurisdizionale, i trattenimenti in servizio dei magistrati della Corte dei conti sono fatti salvi fino al completamento della procedura di reclutamento in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto e, in ogni caso, fino al 30 giugno 2016.
Riguardo ai magistrati amministrativi, si prevede, con il comma 1-bis dell'articolo 20, l'estensione anche a costoro della riduzione delle ferie già applicata ai magistrati ordinari dall'articolo 16 del decreto-legge n. 132 del 2014, contestualmente circoscrivendo al periodo 1o agosto – 31 agosto la sospensione feriale dei termini processuali amministrativi. Si ricorda che il comma 1 dell'articolo 20 del decreto-legge, alla lettera a) sopprime le disposizioni in materia di riorganizzazione dei TAR previste dal decreto-legge n. 90 del 2014, abrogando le disposizioni che ne scandivano i tempi e ne dettavano le modalità. In assenza dell'intervento d'urgenza, a partire dal 1o luglio 2015 sarebbero state soppresse le sezioni staccate dei TAR di Parma, Pescara e Latina.
La giustizia contabile e quella amministrativa hanno visto anche interventi relativi all'attività giurisdizionale. All'articolo 20, che posticipa di un anno l'entrata in vigore del cosiddetto processo amministrativo telematico (comma 1, lettera b)), originariamente prevista per lo scorso 1o luglio, la Commissione giustizia è intervenuta con ulteriori disposizioni relative al processo amministrativo, modificando il relativo codice (decreto legislativo n. 104 del 2010). In particolare, ha specificato che nel giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni amministrative e regionali le parti possono indicare una PEC o un fax solo se stanno in giudizio personalmente e non hanno una PEC già inserita in pubblici elenchi (modifica dell'articolo 129); ha modificato la disciplina sulle comunicazioni e sui depositi informatici (articolo 136), prevedendo che tutti i difensori e gli ausiliari del giudice, nonché le parti che stiano in giudizio personalmente, debbano depositare atti e documenti con modalità telematiche, salvo casi eccezionali nei quali la dispensa dal titolo telematico deve essere comunque autorizzata dal presidente; ha modificato le norme di attuazione del codice del processo amministrativo, abrogando le disposizioni più strettamente connesse con le attività cartacee delle segreterie degli organi di polizia amministrativa; ha esteso al processo amministrativo alcune disposizioni sul processo civile telematico.
L'articolo 20-bis, introdotto dalla Commissione, che ha per oggetto disposizioni in materia di informatizzazione del processo contabile, interviene per estendere anche alla giustizia contabile alcune norme sul processo civile telematico relative all'attestazione di conformità delle copie informatiche ad atti cartacei. La Commissione ha prestato attenzione anche a questioni legate al vero e proprio funzionamento degli uffici giudiziari.
L'articolo 21-quinquies, che, in relazione al previsto passaggio dai comuni allo Stato delle attività di manutenzione degli uffici giudiziari (previsto dalla legge di stabilità 2015), consente agli uffici giudiziari fino alla fine dell'anno 2015 di continuare ad avvalersi del personale comunale, sulla base di specifici accordi da concludere con le amministrazioni locali, per le attività di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria. Sarà una convenzione quadro previamente stipulata tra il Ministero e l'ANCI a delineare i contorni della collaborazione.
L'articolo 21-sexies proroga fino al 31 dicembre la durata dell'incarico del commissario straordinario per gli interventi relativi alla messa in sicurezza del palazzo di giustizia di Palermo.
Incide invece proprio sull'attività giurisdizionale, con finalità deflattiva, l'articolo 21-bis che prevede incentivi fiscali alla degiurisdizionalizzazione. Tale disposizione prevede meccanismi di incentivazione fiscale della negoziazione assistita e dell'arbitrato attraverso l'adozione del modello del credito di imposta già previsto per la mediazione dal decreto legislativo n. 28 del 2010. Le norme riconoscono alle parti un credito di imposta massimo pari a 250 euro per i compensi corrisposti agli avvocati abilitati nel procedimento di negoziazione assistita. Sulla base dei dati del Ministero, è possibile stimare, prudenzialmente, il numero delle controversie civili e commerciali già pendenti presso i tribunali e le corti d'appello che potranno essere trasferite in sede arbitrale in circa 300.000 all'anno e in circa 80.000 all'anno i procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del Capo II del decreto-legge n. 132 del 2014. Considerato che il credito di imposta è riconosciuto solo in caso di successo della negoziazione ovvero di conclusione dell'arbitrato con lodo, commisurato al compenso fino a concorrenza di euro 250, si stima prudenzialmente e in sede di prima applicazione delle disposizioni, che dei circa 380.000 procedimenti, una percentuale non inferiore al 40 per cento avrà esito positivo, con l'accordo delle parti, pari a circa 152.000 procedimenti l'anno.
Concludo. Naturalmente, Presidente, ci sono moltissime altre norme che sono indicate nella mia relazione, alla quale integralmente mi riporto e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di del testo integrale del mio intervento.