Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 20 Settembre, 2023
Nome: 
Mauro Berruto

A.C. 715-BSignor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, in quest'Aula, il 22 dicembre 1947, l'Assemblea approvò la Costituzione della Repubblica, esito di un lavoro straordinario di uomini e donne che avevano idee anche distanti fra loro, ma un obiettivo comune: siglare un patto. Un patto capace, 75 anni dopo, di raccoglierci ancora sotto un'unica bandiera e rappresentare il nostro essere italiani. Un patto, è bene ricordarlo in ogni occasione, democratico e antifascista.

Pensare di poter correggere quel lavoro straordinario mette i brividi, serve un enorme rispetto, serve un approccio che non ho timore a definire sacro. Ciò che faremo, dunque, non sarà la correzione di un testo, che non ha bisogno di essere corretto, ma solo la risposta alla necessità di attualizzarlo. C'era un motivo, infatti, che portò i nostri padri e le nostre madri costituenti a non inserire il riconoscimento dello sport nella Carta costituzionale: creare discontinuità con una interpretazione distorta di sport che, nel ventennio precedente, era stato strumento di propaganda e di divisione fra i popoli.

In questi decenni lo sport ci ha dimostrato di essere esattamente il contrario, ovvero un linguaggio universale, un veicolo potentissimo di comunità, pace, felicità. Oggi, aggiungeremo alla Carta costituzionale queste parole: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell'attività sportiva in tutte le sue forme”. Lo faremo all'articolo 33, quello che parla di arte e di scienza, cosa che da allenatore mi entusiasma, perché lo sport è arte e scienza. Non voglio sembrare retorico o idealista, lo sport non è buono o cattivo in sé, non è un mondo ideale, è un mondo reale e, come per tutte le attività umane, ci può essere uno sport fatto bene e un altro fatto male.

Una splendida definizione di Julio Cortázar sul ruolo della letteratura dice che i romanzi che raccontano di problemi piacciono molto a quelli che, problemi, non ne hanno: i ricchi, i borghesi, seduti comodamente in poltrona, vogliono leggere libri che raccontano di quanto la gente soffra, di quanto sia duro lavorare nei campi. La povera gente, invece, preferisce i libri che fanno sognare, perché loro, i problemi, non hanno bisogno di leggerli, li vivono tutti i giorni, e quando si avvicinano a un romanzo lo fanno per dimenticarseli, non per ricordarseli. Anche chi va a vedere una partita di calcio, lo fa per divertirsi e magari dimenticarsi di qualche problema, perché è possibile godere dello sport solo come fatto emotivo, ma, quando se ne conosce la grammatica, si può godere dello sport anche come fatto tecnico, tattico, armonico, come arte e cultura. Se nelle nostre scuole si facessero due ore al giorno di educazione motoria per imparare la grammatica di uno sport, il risultato sarebbe più efficace dell'invio di tante Forze di polizia negli stadi.

Ecco spiegata l'importanza del primo valore che la Repubblica riconoscerà allo sport: quello educativo. Quella grammatica di cui parlavo, nel caso dello sport, è fatta di rispetto degli avversari e delle regole di educazione civica, persino di educazione all'ambiente, come sanno coloro che, lo sport, lo praticano nelle palestre a cielo aperto, immersi nel paesaggio del nostro Paese. E allora come potrà, da domani, la Repubblica non aiutare le famiglie che vogliono adempiere al loro dovere educativo, ma non riescono a sostenere la spesa per iscrivere i propri figli ad un'attività sportiva? Come potrà la Repubblica non immaginare che negli istituti penitenziari, che hanno finalità rieducative, lo sport diventi strumento per raggiungere quello scopo? Come potrà la Repubblica non riconoscere il valore educativo dello sport nel mondo della scuola primaria e della scuola dell'infanzia? Come potrà la Repubblica sopportare che, in questo Paese, ancora oggi, quasi il 50 per cento delle scuole non abbia una palestra?

Il secondo valore che la Repubblica riconoscerà allo sport è quello sociale. Aprite la porta di una palestra, andate in un campo sportivo, su una pista di atletica, in una piscina, cercate in qualsiasi disciplina sportiva e vedrete un modello di società fatto di ragazzi il cui colore della pelle è diverso, il credo religioso è diverso, lo stato sociale è diverso, il conto in banca dei genitori è diverso, eppure a loro tutte quelle differenze non interessano: indossano la stessa maglia, vogliono solo passarsi la palla nel modo migliore per fare un gol, una schiacciata, un canestro, una meta. Questo modello di società esiste, funziona e lo si trova lì, sul campo, dove lo sport insegna la convivenza e la soluzione dei conflitti, e soprattutto insegna che le differenze sono una ricchezza. E come potrà, domani, la Repubblica sopportare che non sia lo sport - lo dico senza timore di smentita - il più efficace strumento d'inclusione per i ragazzi con background migratorio? Quasi 1 milione di loro ha meno di 18 anni, 3 su 4 sono nati in Italia, abitano e vanno a scuola nel nostro Paese senza averne la cittadinanza, hanno difficoltà enormi nell'accedere allo sport e non possono, indipendentemente dal loro talento, sognare di vestire la maglia azzurra.

Infine, la Repubblica riconoscerà il valore di promozione del benessere psicofisico dell'attività sportiva in tutte le sue forme. Questa è ciò che io amo definire cultura del movimento: prescinde da età, genere, talento, abilità o disabilità. È un vero investimento, perché un grande tema del futuro non sarà quello di aumentare la nostra aspettativa di vita, ma di migliorarne la qualità, specie nella sua parte finale, contribuendo a generare risparmio al Servizio sanitario nazionale e a tutelare, così, il diritto alla salute e alle cure in forma universale e gratuita, proprio come è scritto nell'articolo 32 della nostra Costituzione. Come potrà, da domani, la Repubblica non considerare la cultura del movimento come un vero sistema di welfare?

Oggi per me è un giorno straordinario. Ho dedicato tutta la mia vita allo sport, prima sul campo, oggi in quest'Aula del Parlamento.

Portare lo sport nella Costituzione era un'idea folle, quasi un'utopia, nata nella primavera del 2020, proprio nel momento più drammatico della pandemia, quando tutti noi eravamo impotenti di fronte a qualcosa che stava stravolgendo le nostre vite. Quella follia sta per realizzarsi e, dentro questa vittoria che è di tutto questo Parlamento, ci sono i due insegnamenti fondamentali dello sport: la bellezza della fatica e la necessità della sconfitta. Lo sport a qualsiasi livello insegna che la fatica è una medicina; lo sport a qualsiasi livello costringe a fare i conti con la sconfitta. Ogni sportivo, quando perde o vince, è consapevole che in un preciso momento - una partita, una gara, un campionato - è stato migliore o peggiore di qualcun altro, non in assoluto, non per sempre, soltanto in quella determinata occasione. Chi vince sa che, in qualsiasi momento, potrà perdere; chi perde sa che, faticando e migliorando, potrà vincere. Oggi è un momento epocale per la storia dello sport italiano, che è la storia del Novecento, delle sue battaglie per i diritti civili e sociali. Penso ad Alfonsina Strada, una donna che nel 1924 decise di iscriversi al Giro d'Italia, dicendo: vi farò vedere io se le donne non sanno stare in bicicletta come gli uomini ! Penso agli invincibili del Grande Torino, a Fausto Coppi, a Gino Bartali, padri della patria per come contribuirono a tenere insieme questo Paese e a farlo rialzare dalle macerie della Seconda guerra mondiale. Penso ai giochi olimpici di Roma del 1960, alle colombe che si levarono in volo quando Livio Berruti tagliò il traguardo dei 200 metri; alla prima edizione dei giochi paralimpici proprio qui in Italia, alle braccia alzate di Sara Simeoni, ai mondiali di calcio in Spagna, al Presidente Sandro Pertini che dagli spalti urlava: “Non ci prendono più”. Penso ai capolavori di Yuri Chechi; penso a Tokyo, a quell'agosto del 2021 quando l'Italia trionfò nel giro di un quarto d'ora nei 100 metri nel salto in alto con Marcell Jacobs e Gimbo Tamberi. Penso all'oro della staffetta 4 per 100, a quel testimone passato a Filippo Tortu da Fausto Desalu, un ragazzo italiano nato fra Mantova e Cremona, la cui mamma era partita dalla Nigeria 30 anni prima. Penso agli uomini e alle donne dello sport paralimpico; penso a Bebe Vio, che ha ispirato il Paese con le sue vittorie, con la sua volontà e con il suo esempio e penso ad Alex Zanardi e a quanto vorrei che a lui potesse arrivare notizia di quello che sta per succedere in quest'Aula. Penso a una figura per me insostituibile, un ragazzo del Sud, profeta della fatica, che si allenava quattro volte più degli altri, che ottenne quattro lauree, che visse quattro vite, atleta, avvocato, esperto di diritto dello sport, europarlamentare: si chiamava Pietro Mennea; non ho avuto l'onore di conoscerlo, ma sono certo che oggi in qualche modo sia qui e sia felice (Applausi). Pietro, perdonaci! Ci abbiamo messo un po' di tempo, ma ci siamo riusciti. Penso, infine, ad un'immagine, ad una sorta di gigantesco Quarto Stato, come quello di Pellizza da Volpedo, composto da milioni di volontari, genitori, dirigenti, mecenati, allenatori, atleti, amatori, uomini e donne che hanno tenuto in vita lo sport di questo Paese. Oggi, 20 settembre 2023, è il vostro giorno, il giorno in cui la Repubblica riconosce nella sua Carta più alta il valore che avete generato per il nostro Paese; da domani in quest'Aula sarà un obbligo immaginare politiche pubbliche che dovranno prendersi cura di voi e dello sport, è un vero e proprio cambio di paradigma. Il Partito Democratico voterà a favore della modifica dell'articolo 33 della Costituzione in materia di attività sportiva: lo farà - ed è una vita intera che aspetto di pronunciare questa frase - perché oggi nel nostro Paese nasce il diritto allo sport.