Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, io credo che dobbiamo avere tutti la consapevolezza che la riforma che ci accingiamo ad approvare per modificare l'articolo 58 della Costituzione in tema di elettorato attivo del Senato della Repubblica non rappresenti un mero aggiustamento o adeguamento, ma un intervento che, al di là della sua parzialità, va comunque a modificare quella che i costituzionalisti chiamano efficacemente la Costituzione materiale di un Paese. Del resto, tutti gli interventi sulla Carta costituzionale che si sono succeduti dal 1948 ad oggi hanno avuto queste caratteristiche. Il livello di una simile scelta induce tutti a un più alto grado di responsabilità. Come Partito Democratico abbiamo inteso partecipare attivamente e dare il nostro contributo, di merito, alle questioni poste.
Nel caso in discussione, del resto, avevamo presentato due proposte di legge, una a prima firma Ceccanti e un'altra a mia prima firma, che intervenivano, però, non solo sull'elettorato attivo, ma anche su quello passivo, non solo cioè sulla possibilità di votare per il Senato al compimento della maggiore età, ma anche di poter essere eletti dopo aver compiuto i 25 anni, come avviene alla Camera. Non avrebbe avuto più senso, signor Presidente e onorevoli colleghi, se, nello stesso tempo in cui estendiamo il diritto di elettorato attivo al Senato, avessimo esteso anche quello di elettorato passivo, è stato detto da più d'uno; anche perché - e l'ha detto giustamente anche il collega Ceccanti in discussione generale - la differenziazione dell'elettorato passivo è una differenziazione che va nel senso della restrizione della rappresentanza, sia nel caso degli elettori che nel caso degli eletti. D'altra parte, i limiti attualmente in vigore in materia di elettorato snaturano la composizione stessa della cosiddetta Camera alta, appunto non solo rispetto a una diversa base elettorale, ma anche nella composizione stessa dell'Aula. Questo aspetto, d'altra parte, ha rappresentato una delle anomalie del nostro cosiddetto bicameralismo perfetto paritario, tanto da creare, nella storia di questi anni, maggioranze spesso non omogenee nelle due Camere. Uniformare base elettorale e composizione generazionale degli eletti risponde, dunque, a un'esigenza pratica, atteso che l'Italia, con il referendum del 2016, ha comunque scelto di mantenere questo sistema bicamerale.
Ma poi c'è una ragione più di fondo, culturale: il nostro Paese ha, secondo noi, bisogno come l'aria di innovazione, di sviluppo di competenze o, più semplicemente, di portare nelle sue istituzioni un punto di vista altro, quello dei giovani. Nessun processo di trasformazione storica ha mai potuto verificarsi senza l'apporto fondamentale delle giovani generazioni. Se la democrazia è la scienza e l'arte più alta di convivenza civile, essa non può fare a meno del senso di comunità, di socialità, di condivisione che i giovani portano con sé. Badate, non è un problema nuovo: quando fu introdotto il tema della rappresentanza femminile, nel nuovo Stato che i padri fondatori stavano costruendo mentre ancora si combatteva la resistenza contro la dittatura nazifascista, alle donne, in quel caso al contrario, si intendeva concedere solo il diritto di essere elette, ma non di votare. Ci furono dibattiti anche accesi, con posizioni contrarie sia a destra che a sinistra, prima ancora dell'elezione dell'Assemblea costituente. Anzi, si cominciò così, con la concessione del solo elettorato passivo, salvo poi giustamente pervenire alla risoluzione che le donne avessero piena cittadinanza nella democrazia che si stava faticosamente costruendo.
Col voto di oggi avremmo potuto essere all'altezza del momento storico che ci si presenta: lo stesso problema, sia pure rovesciato, per quanto riguarda i giovani. Non può un diritto esistere a sovranità limitata. Ha senso un diritto, se non dà opportunità concrete per cambiare le cose? È quello che ci chiedono i giovani ogni giorno. Lo sappiamo, i giovani hanno in sé un'attitudine al senso di comunità, delle volte purtroppo diventa e viene chiamato anche branco, ma vivono in collettivo per natura, potremmo dire. Bene, a questa attitudine non corrispondono un eguale potere decisionale e un diritto di rappresentanza. Essi spesso si sentono parte di qualcosa più grande - Greta insegna - ma non sono parte del sistema. Questa distanza va accorciata per un duplice motivo: rafforzare l'identità sociale e collettiva dei giovani e, nello stesso tempo, arginare proprio quei processi di individualizzazione e frammentazione sociale.
Questa riforma è dunque - e poteva esserlo ancora di più - una proposta ad una generazione. Una generazione che, nella scorsa legislatura, ha visto traguardi inaspettati: biotestamento, unioni civili, divorzio breve, Convenzione di Istanbul; una vera e propria rivoluzione dei diritti, quelle battaglie per cui i millennials si sono impegnati durante le manifestazioni studentesche, nelle riunioni delle associazioni, nei discorsi tra amici, battaglie non per se stessi, ma per il futuro.
Ma non basta. I Fridays for Future sono la consapevolezza di milioni di giovani in tutto il mondo che, seguendo un esempio virtuoso, hanno dato vita a una vera e propria presa di coscienza collettiva e ci hanno insegnato due cose: che la vera emergenza globale oggi è il cambiamento climatico e il riscaldamento globale del pianeta, come testimoniano drammaticamente gli spaventosi incendi in Alaska in Siberia di questi giorni; secondo, che i giovani possono e devono dettare l'agenda politica; ci hanno insegnato che non esiste un “pianeta B”, che con la data del 29 luglio, l'Overshoot Day, il giorno in cui abbiamo consumato le risorse del pianeta per il 2019, anche per il 2019 è arrivato in anticipo rispetto all'anno scorso. Questo solo per citare un esempio recente di come un movimento giovanile possa, con lungimiranza e profondità rispetto al mondo degli adulti, ristabilire l'indice delle priorità.
Ma questo impegno politico, nel senso alto dell'ideale, deve potersi tradurre nell'impegno istituzionale, deve tradursi nel diritto-dovere di voto garantito a tutti, quell'esercizio democratico che rende pienamente cittadini e ci fa animali politici nel senso aristotelico, inteso cioè politico per natura. E dove questo impegno deve potersi inverare in tutta la sua forza innovatrice, se non in Parlamento? Ed è proprio per questo che la generazione a cui ci rivolgiamo deve fare esperienza, anche per meglio comprendere come la libertà sia un faticoso, programmato e a volte difficile ed estenuante esercizio quotidiano. Altrimenti diventerà senso comune, presso tutti coloro che sono nati dopo la caduta del muro, ma non solo, l'inutilità delle istituzioni rappresentative, ogni forma di rappresentanza sarà a priori considerata come una casta, ogni minuto speso a discutere fuori dai social sarà considerato perso.
E per compiere scelte complesse in modo consapevole e raggiungere un buon risultato, può davvero il discrimine anagrafico rappresentare una barriera? La storia ci insegna che non è assolutamente detto che dalla maggiore età e dall'anzianità si ricavino decisioni più sagge. Quello che è, invece, certo è che spesso sono proprio i giovani, come ho già detto, con l'energia delle loro convinzioni, a dare il colore giusto al cambiamento necessario di questo Paese. Sono delle volte scettici, ci dicono, delusi, sfiduciati, ma con una voglia grande di partecipare e di mettersi in gioco. La partecipazione politica non è in declino, è in trasformazione.
Per quanto riguarda il nostro Paese, la sfiducia e il disincanto sono stati talmente radicati da avere ispirato il famoso appellativo di “generazione invisibile”. Bene, oggi, anche se avremmo potuto fare di più, votiamo la possibilità di cancellare tutto questo, di scusarci con i giovani, di dare onore al merito. Certo, la nostra società non è perfetta, ma il progresso si misura da quanto siamo divenuti migliori rispetto al passato, anche quando questo passato è la modalità di elezione del Senato. Noi dobbiamo - da legislatori di questa fase della storia - cogliere questo tipo di segnale e dobbiamo dare uno sbocco istituzionale, a partire da quelle che sono le regole della nostra democrazia.
Per questo, come Partito Democratico, voteremo a favore di questa riforma, augurandoci che nella seconda lettura al Senato si possa dare piena coerenza, modificando anche l'elettorato passivo. D'altra parte, Calamandrei affermava che la Costituzione non è una macchina, che una volta messa in moto va da sé, la Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove, perché si muova bisogna, ogni giorno, rimetterci dentro il combustibile. E infatti l'unico confine che siamo autorizzati a darci come esseri umani nel nostro agire quotidiano è quello dato dal senso delle nostre responsabilità verso gli altri, in questo caso verso la generazione futura, quella da cui abbiamo preso in prestito il mondo e il nostro tempo.