Dichiarazioni di voto finale
Data: 
Giovedì, 4 Dicembre, 2014
Nome: 
Danilo Leva

A.C. 631-C

 

Presidente, onorevoli colleghi, oggi aggiungiamo un tassello ulteriore al mosaico della riforma della giustizia che si va componendo in queste settimane e che lo farà ancora di più nei prossimi mesi. È la prima volta dopo vent'anni che il sistema giudiziario italiano viene riformato attraverso interventi strutturali, non soltanto slogan, non soltanto misure spot, provvedimenti tampone o, peggio ancora, approcci a macchia di leopardo, ma viene riformato attraverso un disegno organico di riorganizzazione dei sistemi processuali, sia civile che penale. Ed è la prima volta da tanti anni a questa parte che discutiamo di giustizia a prescindere dalle singole vicende giudiziarie e lo facciamo con la serenità d'animo maggiore, che ci consente di spostare il livello del confronto e del dibattito più in alto. Un dibattito che non è avvelenato, un dibattito che non è inquinato, un dibattito che può scendere nel merito delle questioni e nel merito dei problemi. Ci stiamo assumendo la responsabilità di mettere in campo una visione dello Stato e della democrazia. Quando si tocca il diritto penale o le regole che sottendono alla sua organizzazione si incide sull'assetto e sui principi costituzionali. Da un lato, il rapporto tra i diversi poteri dello Stato, il legislativo e il potere giudiziario, dall'altro, il rapporto tra lo Stato e i cittadini. E dico questo perché a fatica stiamo cercando di bonificare il campo dai guasti prodotti negli ultimi anni da quel giustizialismo a fasi alterne in cui si è trasformato il diritto penale, nel luogo dello scontro simbolico, nel luogo di uno scontro ideologico, scontro che ha generato fratture e che ha provocato diseguaglianze sociali. 
Noi abbiamo assistito all'espansione di un diritto penale minimo per i potenti e a un diritto penale massimo per i poveri cristi, per i poveracci, oltre che a numerose asimmetrie costituzionali. Questo è dipeso dalla fragilità della politica, da una fragilità innanzitutto culturale, che ha prodotto inevitabilmente la debolezza intrinseca del potere legislativo, elemento di debolezza che ha alimentato un populismo penale che ha ormai permeato il modo di essere di tanti, anche presenti in quest'Aula. 
Guardate, il populismo penale è la demagogia che mira ad ottenere un facile consenso attraverso la repressione punitiva. Il populismo penale si ha quando si piega il diritto alle logiche del consenso. Tutto questo, cara Lega Nord, ha prodotto leggi-manifesto, basti pensare all'immigrazione clandestina (Commenti di deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie), alla «legge Cirielli», alla «Fini-Giovanardi», leggi che sono servite solo ad alimentare la paura e a coltivare l'illusione che alzare le pene contro i delinquenti e diminuire le garanzie per gli indagati fosse la panacea di tutti i mali, di tutti i problemi, dalla criminalità organizzata, alla corruzione, fino alla violenza contro le donne. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, il caos più totale. Noi abbiamo un sistema intasato, che non sa far selezione e finisce per alzare la voce con i più deboli e abbassare lo sguardo al cospetto dei più forti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Questa è la situazione attuale, questa è la fotografia di quelle che sono le dinamiche del sistema giudiziario italiano in questo momento. 
Questa premessa si è resa necessaria per comprendere la logica di quanto fatto sino ad oggi, e noi rivendichiamo la centralità, il ruolo e la funzione del Parlamento, anche della Commissione giustizia: un lavoro certosino, dall'introduzione dell'istituto della tenuità del fatto, alla depenalizzazione, alla proposta di legge sull'autoriciclaggio e il falso in bilancio, alla riforma della prescrizione, per arrivare alla riforma della responsabilità civile, credo tutti interventi che sono legati da una logica, che sono legati da un filo conduttore, la cultura delle garanzie soprattutto. 
Ed oggi siamo alla riforma della custodia cautelare. Ebbene, sono ancora forti le parole del messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando, con autorevolezza, ha accesso i riflettori su un'anomalia tutta italiana, perché basta pensare ai dati della custodia cautelare oggi nel nostro Paese per capire di cosa stiamo parlando, e c’è una stridente contraddizione: il nostro Paese registra un tasso di criminalità inferiore a quello delle grandi nazioni europee, ma il tasso dei detenuti in custodia cautelare è molto più alto della media europea. In Italia il 43 per cento dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo: il 60 per cento in Turchia, il 23 in Francia, il 20 in Spagna, il 16 per cento nel Regno Unito. Noi in Europa siamo secondi solo alla Turchia. 
Non è quella la cifra di un Paese civile che vuole stare nella culla giuridica dell'Europa. 
E, allora, la lunghezza dei processi ha determinato alla fine, in questi anni, che la pena in custodia cautelare fosse l'unica pena effettivamente scontata. Una sorta di detenzione anticipata rispetto alla condanna definitiva. Insomma, pochi, maledetti e subito, mesi o anni di custodia cautelare, un po’ come quell'antico motto dei bottegai romani del secolo scorso. 
Ed è proprio sul piano della custodia cautelare che noi abbiamo registrato, in questi anni, una divaricazione, sempre più accentuata, tra il diritto vigente e il diritto vivente, una divaricazione che ha prodotto e ha generato forme di disuguaglianza e, soprattutto, ingiustificabili attacchi alle garanzie processuali. 
Noi oggi mettiamo in campo una buona legge, equilibrata, rigorosa, che restituisce alla custodia cautelare la sua funzione originaria, senza tralasciare le esigenze di sicurezza dei cittadini. Introduciamo una valutazione più rigorosa del pericolo di fuga e del pericolo di reiterazione del reato. La gravità non sarà più desunta solo ed esclusivamente dal titolo del reato stesso e il carcere sarà inteso come ipotesi residuale, solo quando tutte le altre misure, cumulativamente considerate, non saranno utili al soddisfacimento delle esigenze cautelari.
Rimettiamo al centro le misure interdittive e lo facciamo, anche qui, recuperando un vulnus rispetto al passato, perché molto spesso, diciamocelo, sono le misure interdittive ad avere anche una maggiore efficacia rispetto al ricorso alla custodia cautelare in carcere, soprattutto per alcune tipologie di reato. Non solo, rendiamo più stringente l'obbligo di motivazione da parte del giudice. 
Insomma, io ritengo che sia un passo in avanti significativo, che il Partito Democratico rivendica totalmente, così come rivendichiamo in pieno la diversità rispetto a tante altre forze politiche che pensano di speculare su tutto, cavalcando pulsioni e disagio sociale. Ma attenzione, perché ce lo dicono i dati elettorali dell'ultima tornata, quella delle elezioni regionali: la speculazione politica produce danni ben peggiori e ben maggiori della speculazione finanziaria. Ci vuole senso della misura e senso delle cose. 
Due secoli fa Jeremy Bentham si chiedeva: «Davvero è più importante per i cittadini la condanna del colpevole che la difesa dell'innocente ?». Erano gli albori del garantismo, erano i primi vagiti di una cultura delle garanzie di cui dovremmo davvero riappropriarci tutti, perché il garantismo non è una brutta parola e non è sinonimo di impunità, come qualcuno ha voluto farci credere nel corso di un recente passato, ma il garantismo è strumento di attuazione dei principi e dei valori costituzionali. 
Un buon legislatore tra il consenso e la Costituzione sceglie sempre la Costituzione, perché questa è la linea di confine netta tra un manipolo di tribuni ed una classe dirigente seria.