Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 27 Gennaio, 2020
Nome: 
Alfredo Bazoli

A.C. 2059-A

Grazie, Presidente. Noi, come abbiamo già motivato in Commissione quando abbiamo deciso di votare l'emendamento soppressivo della legge Costa, che pure ripristinerebbe o, almeno nelle intenzioni ripristinerebbe, la riforma del nostro Governo, del nostro Ministro Orlando sulla prescrizione, abbiamo motivato la nostra scelta con la ragione che è in corso una discussione all'interno della maggioranza che ha già prodotto qualche risultato e che noi riteniamo inopportuno interrompere attraverso uno strappo, come è nei desiderata dell'opposizione, che fa il suo mestiere. Ma noi siamo la maggioranza e credo che dobbiamo cercare, per quanto possibile, di stare all'interno di un percorso di maggioranza. Questa discussione generale mi offre quantomeno l'occasione per provare a delineare con chiarezza qual è il percorso e la posizione che ha assunto il Partito Democratico su questa vicenda che ci sta occupando da molto, forse troppo tempo e penso che sarebbe stato saggio, da parte della maggioranza e di chi oggi ha le responsabilità più alte su questo tema, sminare questo percorso prima che producesse queste difficoltà e tossine all'interno della maggioranza. Noi, come è noto, abbiamo fatto una battaglia contro l'introduzione della riforma della prescrizione voluta non a caso dal precedente Governo, votata dal precedente Governo, votata anche dalla Lega dell'ex Vicepremier Salvini che oggi curiosamente e un po' ipocritamente, mi sia consentito dire, fa una battaglia per abrogare la norma che loro stessi hanno votato. Il Partito Democratico, invece, ha fatto una battaglia contro, per ragioni sulle quali non ha cambiato opinione: il Partito Democratico non ha cambiato parere. Il Partito Democratico ha detto allora, e ritiene anche oggi, che quella sia una riforma quantomeno inutile perché noi eravamo persuasi che la riforma che era stata partorita dal precedente Governo, cosiddetta Orlando, fosse una riforma che, una volta che avesse dispiegato i suoi effetti, avrebbe consentito di ridurre enormemente il problema che anche la riforma Bonafede punta a risolvere, e cioè quello delle eccessive declaratorie di prescrizione che intervengono a giudizio in corso e, in particolare, nelle fasi di appello, quando cioè la giustizia ha fatto già il suo corso, c'è già stata una sentenza di primo grado e appare ingiustificato, secondo il senso comune, appare quasi una lesione di principi di giustizia che venga vanificato tutto il lavoro che è stato fatto dalla giustizia precedentemente. Quindi, la declaratoria di prescrizione, in particolare in appello, è una sconfitta dello Stato.

E allora la riforma Orlando prevedeva alcune modifiche che noi ritenevamo utili e idonee a risolvere la situazione. La riforma Bonafede è intervenuta modificando e immaginando che basti l'interruzione della prescrizione dopo il primo grado per garantire i risultati che si prefiggono e non c'è dubbio che questa riforma li garantirebbe ma a un prezzo. Il prezzo è quello che noi abbiamo denunciato allora e sul quale non abbiamo cambiato idea neanche oggi: il rischio di scaricare le inefficienze del sistema sugli imputati, un rischio che non possiamo permetterci e che non possiamo permetterci in un sistema come quello italiano nel quale già oggi i processi sono eccessivamente lunghi, perché abbiamo una lunghezza patologica dei processi. Allora qual era la nostra idea ma non solo la nostra ma l'idea anche della stragrande maggioranza degli operatori della giustizia, dagli avvocati a una larga parte dell'accademia a una fetta non irrilevante della magistratura. La nostra idea era che sarebbe stato meglio rinviare l'entrata in vigore della legge Bonafede in attesa dell'approvazione di una riforma complessiva del processo penale che ne riducesse i tempi. E perché noi ritenevamo che fosse opportuno rinviarne l'entrata in vigore, perché non solo noi ma anche gli avvocati, anche i magistrati, anche l'accademia? Perché sapevamo e sappiamo che questa riforma in sé non è una riforma sbagliata perché l'interruzione della prescrizione quando si avvia un giudizio o dopo il primo grado di giudizio è una regola invalsa nella stragrande maggioranza degli ordinamenti giuridici: l'interruzione della prescrizione non è in sé una cosa sbagliata quando si avvia un processo. Tant'è vero che negli altri ordinamenti giuridici è largamente diffuso tale funzionamento della giustizia: si interrompe la prescrizione una volta che sia iniziato il processo cioè una volta che lo Stato abbia avviato l'esercizio dell'azione penale, la prescrizione si interrompe. Quindi non è una cosa sbagliata in sé ma lo è in un sistema come il nostro che soffre di una lunghezza patologica dei processi: è questo il vero punto che rende quella riforma allo Stato una riforma che rischia di creare meccanismi che scaricano sugli imputati la eccessiva durata dei processi. Ma come noi di questo erano e sono convinti anche gli attori della giurisdizione: gli avvocati, i magistrati, l'accademia che non a caso anch'essi hanno chiesto non in particolare di rimuovere quella riforma ma in primo luogo di rinviarne l'entrata in vigore perché anche loro sanno che se ci fosse un processo che dura poco quella riforma sarebbe compatibile con l'ordinamento costituzionale italiano; sarebbe compatibile, se ci fosse un processo che dura poco. Altrimenti non si capisce perché la richiesta sarebbe stata di rinviarne l'entrata in vigore, cosa che, ripeto, tutti hanno chiesto dal CNF in giù, perché tutti sanno che, se il processo dura poco, quello non è più un problema. Ciò deve essere chiaro. Allora cosa abbiamo fatto noi? Abbiamo chiesto anche noi di rinviarne l'entrata in vigore perché sarebbe stata la cosa più saggia; sarebbe stata la cosa più saggia rinviarne l'entrata in vigore in attesa dell'approvazione di una riforma complessiva del processo che è in itinere e che potrebbe produrre anche risultati molto positivi sul piano della durata dei processi. Questo abbiamo chiesto: non avendo ottenuto questa per così dire possibilità, perché c'è stata una rigidità da parte di un partner della coalizione, abbiamo cercato di fare dei passi in avanti e stiamo cercando di fare dei passi in avanti e qualcosa è stato ottenuto, qualcosa è stato ottenuto grazie anche alla mediazione del Presidente del Consiglio Conte perché voi sapete che, grazie a questa mediazione, oggi è sul tappeto, in campo, un'ipotesi di distinzione tra le sentenze di condanna e le sentenze di assoluzione, che è un'ipotesi di distinzione che, dal nostro punto di vista, fa fare un passo in avanti alla discussione. Qualcuno ritiene che questa ipotesi sia un'ipotesi incostituzionale. Ora io non ho la patente per giudicare se sia costituzionale o se sia incostituzionale, se sia conforme ai principi o se non lo sia. Dico solo che c'è qualcuno che la pensa diversamente, c'è qualcuno che pensa che non sia incostituzionale. Ora, io non citerò tra questi i giudici, perché nella discussione e nell'incandescenza della discussione che si è creata sul punto se uno cita i giudici è automaticamente catalogato tra i giustizialisti, perché i giudici oggi, nel sacro fuoco della contrapposizione che si è creata sul punto, sono considerati giustizialisti. Non è possibile considerare un giudice ragionevole o razionale: no! Ormai chi cita un giudice è considerato un giustizialista. Quindi, se io citasse un giudice per me molto bravo ed equilibrato come Raffaele Cantone, che ha detto che la distinzione tra condanna e assoluzione in primo grado con l'interruzione della prescrizione è una cosa positiva, utile e necessaria, se io citasse Cantone sarei tacciato di essere un giustizialista. Se io citassi Giovanni Salvi, procuratore generale presso la Cassazione, che io considero un giudice equilibrato, saggio, ragionevole, che ha a cuore la giustizia, che dice, allo stesso modo, che la distinzione tra condanna e assoluzione è necessaria e utile, allora sarei tacciato di essere un giustizialista.

Dunque, lasciamo stare i giudici, lasciamo stare Catello Maresca, lasciamo stare Armando Spataro. Per carità! Non sia mai che si citano i giudici a sostegno delle proprie tesi dentro questo fuoco di contrapposizione che ormai anima il dibattito politico. No! E, allora, citerò qualcun altro che dice che non solo non è incostituzionale questa distinzione ma che forse è vero il contrario, che forse è vero il contrario, cioè che sarebbe incostituzionale non fare la distinzione. Chi lo dice? Cito il Presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, il quale dice, criticando la “riforma Bonafede”, “che se la sentenza di primo grado fosse di assoluzione sarebbe ancora più difficile comprendere la ragionevolezza del fermare l'orologio del tempo per consentire una nuova pronuncia anche a distanza di molti anni”. Quindi, se fosse l'assoluzione sarebbe ancora più irragionevole, il che significa, a contrario, che se c'è la distinzione è meno irragionevole da un punto di vista costituzionale. Cito ancora il presidente del CNF Mascherin in audizione alla Camera. Cosa ha detto? Ha detto che nessuno dev'essere sottoposto a un procedimento penale a tempo indeterminato ed è assurdo pensare che ciò possa pesare a maggior ragione su chi sia stato assolto in primo grado e impugnato dal pubblico ministero. Quindi, assurdo ancora a maggior ragione che questa interruzione valga per chi è stato assolto, il che significa, a contrario, che questa distinzione rende meno irragionevole quell'intervento. Vado avanti e cito l'Unione delle camere penali che, nel criticare la “riforma Bonafede”, dice (giunta delle Camere penali): “Tale trattamento non sarebbe risparmiato neppure alla persona nei confronti della quale sia intervenuta sentenza di assoluzione, poiché nel caso di appello della pubblica accusa egli potrà essere condannato in secondo grado senza che sia previsto alcun limite temporale entro il quale la pronuncia possa intervenire. In buona sostanza, così l'ordinamento scommette sulla colpevolezza dell'imputato confidando nel ribaltamento del giudizio in appello, in patente violazione del principio di non colpevolezza sancito dall'articolo 27 della Costituzione”. Cioè, i penalisti, l'unione delle camere penali, considerano quell'accostamento, condanna-assoluzione, impossibile e violazione dell'articolo 27 della Costituzione, cioè l'esatto opposto di chi oggi sostiene che è irragionevole da un punto di vista costituzionale separare i destini di assolto e condannato (lo dice l'Unione delle camere penali). Ma cito ancora e cito non un professore universitario fautore e seguace della “Santa Inquisizione”, non un avvocato seguace di Torquemada, ma una persona che penso tutti quanti qui dentro stimiamo, almeno quelli che conoscono la giustizia e conoscono le persone che si occupano di giustizia, cioè il professor Giorgio Spangher.

Cosa ha detto il professor Spangher? Ha detto: “Non può non segnalarsi la discutibilissima equiparazione della condizione del condannato con quella del prosciolto, al punto - dice Spangher - da prospettare una non del tutto infondata questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione dell'articolo 3 della Costituzione”. Questo è ciò che dice Giorgio Spangher. Quindi, cari amici, è l'esatto contrario, almeno secondo queste - mi sia consentito - autorevoli opinioni (almeno questo mi sia consentito: autorevoli opinioni). È l'esatto contrario di quello che taluno sostiene.

La distinzione tra condannati e assolti in primo grado è necessaria per evitare profili di incostituzionalità della “riforma Bonafede” e questo è l'oggetto della mediazione che ha proposto il Presidente del Consiglio Conte. È risolutiva? È per noi sufficiente? Io dico di no. Io dico che non è sufficiente ma dico che è un passo avanti, dico che è un passo avanti che è stato fatto grazie alla mediazione del Presidente del Consiglio. È un passo avanti e non arriverò a dire ciò che dice Giorgio Spangher, che cito ancora, perché è una persona della quale è impossibile dubitare rispetto alla sue caratteristiche di rigore anche nella valutazione delle scelte. Dunque, Giorgio Spangher ha scritto: “Una proposta di mediazione, una modesta proposta compromissoria potrebbe affermare che la prescrizione si sospende con la sentenza di condanna di primo e di secondo grado”, esattamente la mediazione proposta dal Presidente del Consiglio Conte.

Questo è ciò che dice Giorgio Spangher e io dico di no. Io dico che per me, nonostante l'opinione autorevole di Spangher, non è sufficiente. Per noi, per il Partito Democratico, non è sufficiente, ma è un passo avanti. Altro che passo indietro! È un passo avanti e non riconoscerlo è un grande errore dal mio punto di vista e dal nostro punto di vista, un grande errore perché è un grande passo avanti che deve essere però completato, ed è qui il punto politico. Deve essere completato, perché noi riteniamo che se questa mediazione risolve una parte del problema non lo risolve tutto, non risolve tutto il problema perché rimane, comunque, un rischio che riguarda i processi di durata eccessiva, che non sarebbero più, diciamo, intercettati e coperti dalla prescrizione per chi è stato condannato in primo grado. Questo è il punto su cui la maggioranza deve fare ancora uno sforzo e lo sforzo va fatto, secondo me, secondo il Partito Democratico, dentro la riforma del processo penale che la maggioranza sta cercando di condividere secondo un'ipotesi e uno schema che è stato presentato dal Ministro della Giustizia e che noi riteniamo molto positivo, perché dentro a quella riforma della giustizia proposta dal Ministro Bonafede ci sono delle soluzioni che possono far compiere un enorme passo avanti al nostro sistema giurisdizionale e ai tempi dei processi, ai tempi dei processi che sono una delle condizioni per evitare che la prescrizione diventi una condanna eterna.

È lì che si annida il punto: i tempi dei processi. Se si fa un passo avanti lì si fa un passo avanti decisivo. Ma occorre ancora lavorare su questo punto e questo, appunto, è l'invito che il Partito Democratico fa alla maggioranza, al Ministro e alle forze di maggioranza: lavoriamo insieme per cercare di individuare i meccanismi di natura processuale che comunque garantiscano che oltre una ragionevole durata del processo ci sia qualche conseguenza che garantisca che quei tempi vengono rispettati, perché noi abbiamo il dubbio - e lo dico con grande chiarezza - che il meccanismo fino a oggi immaginato, cioè quello di una responsabilizzazione dei magistrati, non sia sufficiente. È giusto, può essere un passaggio utile, ma abbiamo la sensazione e il timore che non sia sufficiente. Allora, lavoriamo insieme per cercare una soluzione lì dentro, dentro alla riforma del processo, e non facciamoci strumentalizzare dall'opposizione, non facciamoci tirare dentro, non facciamoci rompere come maggioranza. Abbiamo gli strumenti e la possibilità di arrivare a un risultato positivo, cercando possibilmente di uscire dal fuoco delle polemiche incrociate, perché il tema della giustizia è diventato un tema incandescente nel dibattito politico. Purtroppo accade sempre: sappiamo che la giustizia è un terreno sul quale lo scontro politico trova il terreno più fertile per cercare di raccogliere consensi in modo facile e senza costi, lo sappiamo benissimo, ma noi dobbiamo fare lo sforzo di uscire da questa contrapposizione e possibilmente di trovare le soluzioni che consentono di tornare ad avere una convergenza anche tra i protagonisti della giurisdizione, perché oggi questa contrapposizione che si è creata, con queste voci sempre più forti che si levano anche dall'avvocatura e dalla magistratura in modo contrapposto, fa un danno alla giustizia nel nostro Paese, non aiuta la giustizia nel nostro Paese e non aiuta neanche noi che debba fare le riforme utili, perché queste riforme si possono fare solo con il consenso degli attori della giurisdizione. E allora facciamo questo sforzo insieme, senza farci tirare per la giacchetta dalle opposizioni, che fanno il loro mestiere, per carità, ma che noi dobbiamo cercare di bypassare, per cercare di trovare soluzioni nell'interesse della giustizia e nell'interesse del nostro Paese. E chiudo, Presidente, dicendo che noi, il Partito Democratico, continueremo a lavorare con abnegazione in questa direzione, perché noi riteniamo che sia possibile raggiungere delle soluzioni e non ci faremo dare patenti di garantismo da chi ha votato quella norma, da chi scambia la delazione, la giustizia via citofono, il linciaggio per giustizia, da chi scambia la vendetta privata o la giustizia fai da te, con il plauso compiacente e servile degli alleati, per giustizia, non ci facciamo dare patenti di garantismo da costoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).Non ci facciamo dare patenti di garantismo da chi pensa che i detenuti debbano marcire in galera, non ci facciamo dare lezioni di garantismo chi pensa che debba essere superata la legislazione che consente il recupero dei condannati in barba all'articolo 27 della Costituzione: no, cari amici, non ci facciamo dare patenti di garantismo da voi, che avete questa idea distorta della giustizia. Noi continuiamo a lavorare per trovare delle soluzioni che tengano unita la giurisdizione e che mettano al riparo la giustizia da polemiche che non aiutano a fare passi in avanti nell'interesse dei cittadini, grazie