Illustrazione
Data: 
Lunedì, 4 Novembre, 2019
Nome: 
Patrizia Prestipino

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Grazie, Presidente. “Libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”, così Dante, nella Divina Commedia, fa presentare a Virgilio il personaggio di Dante a Catone, Catone l'Uticense, e forse sono questi i versi della Divina Commedia in cui Dante ama più riconoscersi e farsi conoscere dal mondo. La sua vera identità e anche l'eredità politica e civile si possono riassumere nella parola dal significato più alto e più nobile: “libertà”, libertà che, oggi, nel nostro mondo democratico sembra quasi scontata, ma ai tempi di Dante era quasi sconosciuta, perché Dante, nonostante i limiti che la sua fede e la situazione politica gli imponevano, si sentiva soprattutto un uomo libero ed era la libertà che invidiava agli altri, che fossero atei come Ulisse o Catone l'Uticense o avversari politici come Farinata degli Uberti, era proprio quel loro morire cercando la libertà che li faceva grandi ai suoi occhi, Dante, che nasce nella città Stato di Firenze, nell'età dei comuni in lotta fratricida tra di loro, di fazioni che si alternavano al comando tra tradimenti, stragi, nuove alleanze, interventi di potenze straniere e, soprattutto, l'ingerenza della Chiesa; in una Firenze che non era da meno, divisa tra guelfi e ghibellini, e guelfi divisi in bianchi e neri.

Sembra tutto molto tristemente attuale quello che Dante e la sua storia ci raccontano ed è in questo contesto storico che va collocata la produzione letteraria dantesca, con il sogno di una Firenze indipendente, libera dalle fazioni e successivamente di un'Italia e di un'Europa, impero, guidate da un sovrano illuminato. Proprio come aveva fatto Giulio Cesare, secondo l'ottica dantesca, riportando la pace a Roma e mettendo fine alla res publica.

Città italiane lacerate da lotte civili, una chiesa mondanizzata e corrotta, l'assenza di un imperatore quale supremo regolatore della vita civile sono quindi l'oggetto delle riflessioni critiche di Dante. Consapevole di ciò e contro le contraddizioni del suo tempo, egli indossa le vesti del profeta, diventa un eroe civile e patriottico, oltre che un testimone di fede, guidando l'umanità verso il riscatto, la pace, il rispetto della legge e del buon costume. Tutto questo costituisce l'utopia dantesca, ma è proprio nella storia intesa come un ripetersi ciclico di eventi e meccanismi che emerge con forza l'attualità di Dante Alighieri, perché Dante era convinto che il vuoto politico, la mancanza di valori, il presente caotico e incerto offrissero all'uomo comune di uscire rigenerato da questa situazione.

Nel suo viaggio Dante colloquia con le anime facendone emergere l'umanità nella sua sfera più intima; narra la vita, la morte, la paura dei suoi contemporanei, indulgendo solo verso coloro che avevano commesso peccati in nome di un ideale, di un principio politico, come a dirci che se le azioni sono moralmente sbagliate sono, però, umanamente comprensibili e rispettabili, perché fedeli a un sentimento forte; che si tratti di una passione amorosa, come nel caso di Paolo e Francesca, uccisi per colpa del loro amore, o politica, come nel caso di Catone l'Uticense che aveva scelto di darsi la morte, piuttosto che assistere egli stesso alla morte della sua amata Repubblica, o di quell'Ulisse che colloca, sì, nel girone dei fraudolenti, ma del quale subisce inevitabilmente il fascino, come lo subiamo tutti noi, ancora oggi, per quella saggezza, per quell'inestinguibile sete di conoscenza, per quell'indomita “curiositas” che lo aveva spinto a superare le Colonne d'Ercole, nel folle viaggio alla ricerca del mondo sconosciuto, in cui troverà la morte con i suoi compagni, punito da Dio per non essere rimasto nei limiti conoscitivi imposti, per seguire appunto “virtute e conoscenza”, le Colonne d'Ercole, proprio quelle che il mondo, da sempre, a ogni latitudine e a ogni individuo, cerca sempre di imporre come barriera delle umane libertà.

Dante, da cristiano, punisce Ulisse con l'inferno, proprio mentre sembra invidiarne terribilmente la libertà; “libertà”, appunto, è questa la parola chiave dello spirito dantesco, parole e immagini evocate da terzine indimenticabili, spesso ancora impresse nella memoria e nelle coscienze di intere generazioni di studenti, e non certo solo italiani, che sono state divulgate anche al di fuori degli ambienti filologici e letterari, fino ad approdare nel cinema, nel teatro, nella fumettistica e persino nei videogames.

Per rimarcare ancora l'attualità di Dante, ricordo che egli condanna la società borghese e mercantile per i suoi peccati, rievoca un senso profondo di nostalgia per i bei tempi andati del passato, perché il suo elevato spirito di patriottismo civico vorrebbe veder superate le contese politiche che affliggono la sua amata città, Firenze, definita come la “città partita”, proprio perché quando si è divisi in fazioni, si perde il senso di appartenenza e quindi viene meno la dedizione per la propria città.

La passione civile e politica di Dante ne riflette profondamente il patriottismo e il senso di giustizia, ideali questi che ne hanno condizionato la vita e che lo hanno portato a rinunciare alla libertà personale, scegliendo la via difficile dell'esilio e quel provare “sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale”.

Ugualmente divisa è l'Italia di oggi, in cui i personalismi hanno preso il posto degli interessi generali del nostro Paese; già, l'attualità di Dante. E ancora a proposito di unità: “le genti del bel paese là dove ‘l sì suona”; con queste parole, Dante si riferisce agli italiani, in un'epoca in cui l'Italia non era neanche un'idea; eppure, già all'epoca, egli aveva compreso quanto fosse necessaria un'autorità politica centrale e, soprattutto, quanto la lingua fosse un imprescindibile punto di riferimento, come quel “sì” il primo nucleo di una identità comune alle diverse genti italiche. E “Dove il sì suona”, è stato anche il titolo di un'importante mostra, ideata dalla Società Dante Alighieri e inaugurata nel 2003 a Firenze alla presenza dell'allora Presidente della Repubblica Ciampi, dove, attraverso una serie di preziosi documenti, alcuni mai esposti prima, è stata mirabilmente ripercorsa la storia della nostra lingua, dalle origini fino ad oggi, con le differenze legate alle diverse epoche, alle diverse aree geografiche e ai diversi usi dell'italiano. Ma vi paiono gli uomini dell'epoca così distanti da quelli di oggi? In una società liquida e materialistica come quella attuale, mancano punti di riferimento e l'uomo è logorato dalla quotidianità; non è dunque difficile trascinarsi nell'indifferenza o farsi sopraffare da ciò che è meno giusto ma più agevolmente raggiungibile. Quindi, perché lottare, perché dannarsi l'anima?

Proprio in questo emerge la grandezza di Dante, perché il “sommo” ci insegna che indipendentemente dalla nostra storia personale o dal nostro ceto sociale il cambiamento è possibile se si perseguono i valori più puri e la conoscenza e la giustizia sono adoperate per raggiungere il bene comune. La Divina Commedia non solo ci rende più umani, ma ci ridona anche un po' di speranza, quando Dante ricorda che noi dobbiamo avere anche fame di vita, oltre che di conoscenza.

Dante. eroe patriottico e cristiano, Dante poeta vate, Dante profeta, ma anche Dante padrone della lingua italiana e padre della lingua italiana: è lui che contribuisce a formare la nostra identità nazionale tramite l'utilizzo del volgare e si sa quanto l'unità linguistica rappresenti un fattore indispensabile per l'unità del Paese. Qualche esempio di come Dante abbia continuato, nei secoli, ad essere coevo con i suoi tempi, in ogni tempo, e ad interferire nella nostra quotidianità? Butto lì qualche curiosità: via o piazza Dante è la sesta denominazione più utilizzata in Italia. Alcune espressioni che utilizziamo sono state create da Dante: “stai fresco”, “galeotto fu”, il “Bel Paese”, “senza infamia e senza lode”, “non ragioniamo di lor, ma guarda e passa” - che, poi, nella vulgata, è diventato “non ti curar di loro”, ma questa è un'altra storia -, “non mi tange”. Un terzo delle parole che usiamo oggi è tratto dalla Divina Commedia: “fertile”, “quisquilia” sono un esempio; le parole più frequenti nella Divina Commedia sono: “occhi”, “disse”, “cielo”, “vidi”, “giù”, e sono parole usate, cortemente, da tanti italiani, anche da giovani italiani.

Bene, Dante è questo, è quello che ha inventato la lingua, è quello che ci ha resi orgogliosi nella nostra lingua; è quello che ci ha spiegato che combattere e morire per la libertà è molto più difficile e complesso che vivere per la libertà. È la storia di Catone: Catone preferisce togliersi la vita e, agli occhi del mondo artistico-letterario, ma anche immaginario, dei poeti diventa l'esempio del suicidio titanico.

Ecco perché noi oggi siamo legati alla bellezza e alla forza di Dante; ecco perché è giusto e doveroso che gli insegnanti - e io sono orgogliosamente tra questi - continuino a celebrare, ad insegnare, a trasmettere il valore del mondo poetico dantesco: un valore che, ancora oggi, ha così forti le sue radici, un valore che splende agli occhi del mondo. Faccio un esempio personale: quando mi recai in Cecoslovacchia prima della caduta del muro di Berlino - quindi, era ancora la Cecoslovacchia comunista -, feci amicizia con una famiglia, il cui pater familias era un presidente dell'ordine degli architetti di Praga, una persona colta, parlava tre lingue. Una volta, stavo per tornare a Roma, gli chiesi, in cambio della sua gentilezza per come mi avevano ospitata, quale regalo potessi fargli per sdebitarmi; lui mi guardò e mi disse: la Divina Commedia, in lingua originale, in italiano. Lui ce l'aveva in lingua cecoslovacca: è incredibile, perché pensate che Dante è tradotto in 56 lingue e non so in quanti dialetti; il primo a tradurlo in dialetto milanese fu Carlo Porta nel 1817. Ecco, lui mi chiese la Divina Commedia: era un uomo colto, non aveva disponibilità economica, come non ce l'aveva nessuno dei cittadini dell'Est, nonostante fosse il presidente dell'ordine degli architetti di Praga, e io gli mandai via posta questa edizione della Divina Commedia illustrata dal Dorè. Dorè, in italiano dantesco vuol dire sorprendente, mirabile; in francese, dantesque vuol dire mostruoso, spettacolare, proprio perché Dante è arrivato alla Francia attraverso le illustrazioni di Delacroix e di Dorè.

Di fronte a tanta bellezza, a tanta originalità, a tanta complessità, a tanta interiorità, ricordando che la potenza della poesia è quella che rende immortali, ecco perché sappiamo e vediamo quanto Dante oggi sia immortale: immortale come il suo ricordo, immortale come il suo grande universo poetico, immortale come il ricordo che noi abbiamo di lui. Ed è dovere degli insegnanti, è dovere del Governo, è dovere del legislatore continuare a perpetuare tanta bellezza, tanto amore per la vita, ma anche tanto amore per la cultura e i valori umani e morali di questi tempi. Quindi è con grande orgoglio che presentiamo questa mozione per celebrare la figura di Dante anche nel settecentesimo anniversario della sua morte: lo dobbiamo alla nostra coscienza, lo dobbiamo alla nostra forza e memoria poetica di noi che siamo orgogliosamente italiani.