Illustrazione
Data: 
Martedì, 3 Marzo, 2020
Nome: 
Alessia Rotta

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Grazie, Presidente, buongiorno Ministra. Come ogni 8 marzo, ci troviamo qui, nelle Aule parlamentari e nel Paese, a raccontare delle rivendicazioni delle donne nel nostro Paese e dei passi che ancora dobbiamo compiere per raggiungere la parità. Un elenco che purtroppo è ancora molto lungo, nonostante gli interventi e i progressi fatti nella nostra legislazione. Penso, infatti, ai numerosi provvedimenti legislativi intervenuti sia sugli aspetti culturali, come l'inserimento dell'educazione alla parità tra i sessi nelle scuole, o il congedo obbligatorio per i padri, o sugli aspetti civili, come il divorzio breve, oppure alle misure adottate per il sostegno alla maternità, penso al bonus bebè, al voucher per baby sitter o asili nido, alle dimissioni in bianco; importanti passi fatti appunto nel nostro Paese.

Penso a quello che abbiamo fatto in termini di violenza, a quanto è stato fatto rispetto al femminicidio, al sostegno alle vittime delle violenze, così pure per la parità di genere nella rappresentanza. In questo senso, esprimiamo piena soddisfazione per la proroga della “legge Golfo-Mosca”, un successo per le donne del Paese con cui abbiamo portato da tre a sei mandati consecutivi l'obbligo di applicare il criterio di riparto previsto in materia di parità di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate di controllo pubblico, rafforzando così la nostra economia in termini sia di competitività che di sostenibilità ed equità. Però, anche in questo caso, se la presenza femminile nelle società è passata dal 36 al 39 per cento come si trova oggi, dobbiamo ricordare oggi, proprio oggi, che solo in quindici delle società quotate in Borsa a capo c'è una donna, cioè il 2,5 per cento delle società che stanno sul mercato, quindi ancora troppo poco. È ancora troppo poco per creare un effettivo cambiamento, perché se è vero che per il cambiamento ci vuole tempo, è vero anche che ci vuole una grande determinazione. Fino a quando, infatti, il mutamento non sarà consolidato, duraturo ed intrinseco, le previsioni normative avranno il compito di favorire ad accompagnare la formazione di una nuova cultura per una maggiore, ma soprattutto una migliore inclusività nel nostro Paese. E noi non siamo stanche di ricordare l'8 marzo, non siamo stanche soprattutto di ricordare i passi che ancora devono essere fatti, e fatti assieme - lo ricordiamo qui ogni anno -, non solo da una parte del Parlamento, ma da tutti insieme, e non lo saremo mai stanche finché non riusciremo a raggiungere tutti i risultati.

Che serva ancora molto da lavorare, lo dicono i fatti, lo dicono i numeri, che ricordiamo anche in questa mozione, se è vero come è vero che, secondo il Global Gender Gap Report del 2020 e il World Economic Forum, la parità tra uomini e donne a livello globale, in assenza di radicali cambiamenti, non sarà raggiunta per i prossimi cento anni. Ecco, noi non vogliamo aspettare cento anni. Il nostro Paese, sulla base dell'ultimo report, si colloca ancora nella classifica a livello troppo basso, al 76° posto su 153 Paesi per scarsa rappresentanza femminile nei ruoli emergenti, per sottorappresentazione nelle posizioni apicali, per la differenza salariale tra uomini e donne (anche nelle mansioni), per la scarsissima inclusione nell'economia, per la bassa partecipazione al mondo del lavoro e per gli alti tassi di disoccupazione. Tutte situazioni che peggiorano - non vale qui appunto la pena di nuovo di ricordarlo - quando sopraggiungono impegni familiari, quando arrivano i figli, a causa dell'enorme difficoltà di conciliare i tempi, la vita, per la scarsa propensione alla divisione dei ruoli, che soprattutto permane nella nostra società come uno degli stereotipi da abbattere. Per molte donne, lavorare e formare una famiglia rimangono oggi due percorsi paralleli e spesso incompatibili, ancora una volta ce lo dicono i dati. Eppure, ogni studio ci dimostra una sola cosa, che la parità di genere non è una questione solo dei diritti - tanto basterebbe, naturalmente -, ma è una questione di crescita e di benessere complessivo del Paese, perché i benefici per una maggiore presenza e una più piena valorizzazione delle donne nell'economia e nella società sono evidenti. Anche i dati sulla violenza domestica rimangono impressionanti, così come i femminicidi. La violenza sulle donne rimane una drammatica realtà, e così, anche nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il 12 novembre scorso, abbiamo approvato in Parlamento una mozione che dà pieno mandato al Parlamento e al Governo di agire in tal senso, di impegnarsi fattivamente per ulteriori, necessarie iniziative, oltre a tutto quello che è già stato fatto.

Il punto chiave, a nostro avviso, è che bisogna inserire i provvedimenti in un'agenda politica nazionale, e non solo in un'agenda di genere. Deve diventare, questa, l'agenda di questo Parlamento, l'agenda di questo Governo, perciò questa mozione non ha per noi solo un valore simbolico, perché discuterne qui, dove si rappresentano gli interessi di tutti gli italiani, segna la volontà di continuare sulla strada giusta, incrementando, rafforzando, credendo tutti assieme alle nostre azioni. L'attualità, d'altra parte, di questi giorni non fa che fornirci ulteriori conferme dell'urgenza, dell'urgenza di agire.

In questi giorni in cui stiamo affrontando una grave emergenza sanitaria ed economica legata alla progressiva diffusione del Coronavirus – e perdonerete se colgo questa occasione per ringraziare una volta di più, in quest'Aula, gli operatori medico-sanitari, i dirigenti, ma anche gli amministratori che sono in prima linea in questa difficile battaglia, a cui dovremmo dare sostegno, tutti uniti -, la crisi fa venire a galla la questione di cui parlavamo in modo prepotente: il termometro dell'urgenza, anche di questa emergenza del Coronavirus, lascia emergere questioni che fanno parte, in realtà, della nostra normale quotidianità.

E ciò, se pensiamo, infatti, al valore delle donne e alla disparità che subiscono ogni giorno. Pensiamo alle donne che sono state impegnate in questa circostanza del Coronavirus e che sono impegnate tutti i giorni per garantire la nostra salute. Penso, naturalmente, alle ricercatrici dello Spallanzani e del Sacco che hanno dato un grandissimo contributo e lo stanno dando alla ricerca. Le prime hanno isolato, tra le prime in Europa, il ceppo del Coronavirus, mentre le ricercatrici del Sacco hanno isolato il virus italiano che ha infettato i pazienti della zona rossa. Molte di loro, ce lo hanno raccontato, sono precarie da anni, passano da un assegno di ricerca ad una borsa, faticano a fare carriera, con la difficoltà di affrontare la carriera universitaria e di avere delle reali opportunità.

D'altra parte i dati del MIUR ce lo dicono: nel campo della ricerca i professori donna sono poco più del 21 per cento, e la situazione non solo non migliora, ma peggiora durante la loro vita lavorativa, se è vero come è vero che i ricercatori, o meglio le ricercatrici, sono al 45 per cento all'inizio della loro carriera e poi diminuiscono. Naturalmente su questo ci sono delle ragioni ed è qui che dobbiamo impegnarci. I team di scienziati certificano come le donne siano straordinarie scienziate al pari dei colleghi, nonostante gli stereotipi di genere che considerano la scienza, la tecnologia, l'ingegneria e la matematica roba da maschi, così, e purtroppo sono spesso anche le famiglie a non essere capaci di rompere questi tabù. Perciò l'impegno nostro, oltre al legislativo, deve essere quello culturale, nelle scuole, con un'azione diffusa, in particolare sulle cosiddette materie STEM. So che parlo ad una Ministra che di questo sa, perché fa parte della sua vita.

Le ragazze che riescono a rompere il soffitto di cristallo sono ancora troppo poche, solo il 28 per cento dei ricercatori in tutto il mondo è donna: un numero impressionante se pensiamo che il 65 per cento delle bambine e dei bambini che cominciano oggi a frequentare la scuola primaria farà un lavoro di oggi che non esiste, e quindi quanto è importante agire oggi perché domani queste bambine, queste donne, possano essere delle donne libere e autonome. Tanto ancora avremmo da dire, Presidente, penso anche ai congedi parentali: ancora oggi la situazione di emergenza del Coronavirus ci dice quanto le prime chiamate in causa a dover gestire situazioni in cui i bambini nelle zone rosse, non solo nelle regioni del Nord in particolare, sono a casa, e di questa incombenza di gestione dei figli, in assenza di una rete familiare, in particolare dei nonni, sono le donne le prime a doversene occupare. Perciò abbiamo chiesto che in questo senso venga previsto uno strumento. Penso ugualmente allo strumento, che in questi giorni ricorre molto nelle nostre parole, dello smart working: le prime a farne esperienza nel Paese sono state e sono le donne. Anche qui potremmo lavorare per sviluppare ulteriormente questo strumento. E ancora, dall'attualità: l'ultima storia di violenza è quella che è accaduta a Napoli, dove il pronto soccorso dell'Ospedale Pellegrini è stato devastato in seguito ai fatti accaduti laddove un ragazzo è stato ucciso da un carabiniere per difesa.

Rimanendo in ambito sanitario, vogliamo ricordare che nei 4 mila casi di violenza sul luogo di lavoro registrati in un anno in Italia più di 1.200 riguardano operatori della sanità e, all'interno di questi, il 70 per cento sono professioniste donne. Ma - e qui chiudo, Presidente - anche in questo intervento c'è una persona che è rimasta nell'ombra: in quelle ore, in quell'ospedale devastato, c'era una vittima che è stata doppiamente dimenticata. È Irina, che è stata massacrata di botte dal suo compagno; è a lei che vogliamo anche dedicare questo momento.