Illustrazione della mozione
Data: 
Lunedì, 3 Luglio, 2023
Nome: 
Roberto Morassut

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Grazie, Presidente. Colleghi, per certi aspetti, confesso il mio imbarazzo per il fatto che il Parlamento, solo grazie a una iniziativa del Partito Democratico, si trova a discutere un documento sul tema dell'emergenza abitativa per stimolare il Governo ad assumere iniziative urgenti, che sono elencate nel testo, e che io non voglio elencare così pedissequamente, ma che i colleghi possono sicuramente vedere e che saranno affrontate nel dibattito e nel voto di domani.

Di questa questione, del tema dell'emergenza abitativa si parla retoricamente, ormai, da troppo tempo, potrei dire da decenni, anche nello stesso richiamo che, quasi in maniera rituale, si fa al ricordo del famoso Piano casa Fanfani. Il Piano casa Fanfani, nell'immediato dopoguerra, nel 1949, venne varato per dare una risposta abitativa a una situazione che nelle città era diventata esplosiva, una risposta abitativa parziale, perché, poi, nei decenni successivi, la domanda abitativa fu notevolmente in crescita, per l'esplosione demografica e per i problemi dell'immigrazione interna.

Il Piano Fanfani fu un programma di realizzazione di quartieri, di nuovi insediamenti popolari, attraverso gli istituti pubblici, in gran parte nelle zone esterne delle città, che sicuramente dette una risposta importante, sicuramente aveva, anche dal punto di vista urbanistico e architettonico, elementi di importantissima qualità, che ancora oggi si ritrovano come segni caratterizzanti di alcuni brani di periferia nelle grandi città, che aveva, però, anche il risvolto - questa non è una critica, ma una constatazione storica - di attivare, con le urbanizzazioni che venivano realizzate, la rendita delle aree fabbricabili stabilite dai piani regolatori precedenti alla guerra, quindi durante il regime fascista, che però non potevano essere realizzate, perché i costi delle urbanizzazioni, i costi delle infrastrutturazioni erano troppo alti persino per i promotori e per i proprietari delle aree.

Da allora, non c'è stato più granché, se si esclude - questa pagina va ricordata - la stagione degli anni Sessanta e Settanta, con i provvedimenti delle leggi n. 167 del 1962 e 765 del 1967, che hanno determinato un'ulteriore iniziativa importante delle amministrazioni per dare casa ai lavoratori, per dare casa a chi aveva problemi di fasce di bisogno, per chi aveva la difficoltà di accedere al bene casa, per chi magari non poteva accedere alle graduatorie dell'edilizia cosiddetta sovvenzionata, ma non aveva neanche le risorse per potersi comprare casa sul mercato privato. Quella stagione è stata dibattuta, discussa, con limiti, pregi, cose importanti, cose buone, cose meno buone. Non voglio entrare su questo, perché il tempo è poco, discutiamo dell'oggi. C'è stato un tentativo nei primi anni Duemila, l'Esecutivo era il Governo Berlusconi, di lanciare un nuovo piano casa. Questo piano casa, che poi è stato tradotto in tante leggi regionali, si è rivelato un fallimento, perché era basato sostanzialmente su un regalo alla rendita privata. Si diceva: si dà un 20 per cento in più - banalizzo, semplifico - alle iniziative private, e da questo 20 per cento poi ci sarà una quota che sarà data ai comuni per rimpinguare le disponibilità, per dare qualche cosa che possa essere messo in campo per rispondere alle domande del bisogno. Questo non è stato fatto, quella legge si è rivelata, sia a livello nazionale che a livello regionale, una legge di puro regalo della rendita, con pochissimi ritorni pubblici.

Quindi, siamo ancora da capo a dodici. La domanda abitativa è cresciuta, si è diversificata, non parliamo più soltanto delle famiglie tradizionali, parliamo del diritto allo studio, parliamo delle fasce deboli, fragili, ma parliamo anche di ceti medi che non sono in grado di acquisire ancora case sul mercato, ma non sono neanche nei diritti delle graduatorie, parliamo di anziani fragili, che non hanno più la possibilità di vivere in case troppo grandi, ma devono essere ricoverati, devono essere assistiti nelle RSA, parliamo degli studenti, parliamo delle nuove famiglie che provengono dall'immigrazione e da coloro che si sono inseriti e che fanno parte, ormai, della nostra comunità.

A questo bisogno si può dare risposta in varie forme e in vari modi. Sicuramente uno, centrale nella nostra mozione, è il tema della politica degli affitti. Al proposito, vi è una trascuratezza del Governo. Il Governo non è stato in grado finora di fare una proposta e di inserire un programma per affrontare il tema degli affitti, del sostegno agli affitti, delle morosità incolpevoli; il che significa non solo aumentare le risorse, ma anche velocizzare le assegnazioni ai comuni. Chi conosce la materia sa bene che il Fondo affitti è un fondo che viene trasferito alle regioni, le quali poi si occupano di trasferirlo, a loro volta, ai comuni. E quando queste regioni hanno comuni grandi al loro interno, penso a Roma, penso a Napoli, penso a Milano, ma anche a Torino, a Bologna, alle città che comunque arrivano a oltre 500.000 abitanti, la disponibilità di queste risorse può arrivare anche fino a 2 anni dalla deliberazione nazionale. Qui c'è un tema: mettere in condizioni le grandi città di poter accedere direttamente all'erogazione di alcuni fondi strutturali importanti, fondamentali, tra cui il Fondo per gli affitti, e aggiungo anche - apro e chiudo la parentesi - il Fondo trasporti, aumentare le risorse per gli affitti, ma anche varare un programma di nuove realizzazioni di case popolari, di insediamenti per case popolari, che tenga conto, innanzitutto, del fatto che non si può più allargare il perimetro delle città e che bisogna rispettare con grandissimo rigore il tema del contenimento del consumo di suolo.

Quindi non si può più fare né come il Piano Fanfani, né come le leggi n. 167 del 1962 e n. 765 del 1967, cioè utilizzare l'agro romano, espropriandolo, per realizzare nuovi insediamenti espansivi, ma bisogna stare nei perimetri dati. E, allora, qui ci sono tre carte che si possono utilizzare. La prima è l'acquisto sul mercato, da parte delle amministrazioni, con bandi, con incanti pubblici, di patrimonio privato invenduto, sapendo che questo tema, però, ha un limite, che il patrimonio privato invenduto, che viene acquisito attraverso l'acquisto delle amministrazioni pubbliche, con risorse che possono venire da investimenti dal PNRR, ma anche da altre fonti, e ne accenno rapidamente, è un patrimonio in gran parte vecchio, in gran parte non efficiente dal punto di vista ambientale ed energetico, e sul quale bisogna rimettere le mani.

La seconda carta è anche quella di acquisire da patrimoni di enti previdenziali, di enti pubblici, che sono da tempo in una fase di dismissione, ma anche questo è un patrimonio che ha i suoi anni, ha le sue vetustà, ha i suoi problemi. Questa è sicuramente una dimensione importante per rimettere, riabilitare, rigenerare patrimonio esistente e metterlo a disposizione di coloro che hanno bisogno di avere una casa in assegnazione o di poterla comprare, o, addirittura, mettere a disposizione questi alloggi per il diritto allo studio, per gli anziani o per nuove famiglie provenienti da altri Paesi.

Ma c'è poi il tema del nuovo: non possiamo pensare che il tema della casa possa risolversi soltanto attraverso operazioni di contenimento o aumentando la disponibilità delle risorse degli affitti oppure comprando case che sono già costruite e che magari, con una innovazione e con qualche piccolo intervento di restyling, si possano rendere compatibili con un vivere moderno e adeguato, anche perché c'è il grande problema della mixité sociale, cioè di come si dislocano queste famiglie sul territorio, di evitare situazioni di concentrazione eccessiva, di squilibri territoriali, che poi, come abbiamo visto, si propongono come drammatiche situazioni territoriali.

C'è il tema della compartecipazione, quindi, tra pubblico e privato, di realizzare, attraverso un rapporto tra il pubblico e il privato, operazioni di rigenerazione urbana che consentano, attraverso un programma di demolizione e di ricostruzione, attraverso, per esempio, la messa in campo di patrimonio pubblico esistente dismesso, che sono spesso scuole dismesse, uffici dismessi, comparti militari dismessi, caserme, di intervenire su questi beni, per potere, in quei sedimi e in quei luoghi, trasformarli in nuove case, efficienti, abitabili, a costo accessibile o, addirittura, tali da poter essere messe nelle graduatorie di un'edilizia sovvenzionata. Attraverso quali risorse? Perché l'altro corno del problema sono le risorse. Sicuramente, con parte delle risorse del PNRR, ma non ci dimentichiamo un fatto, che la Cassa depositi e prestiti ha istituito da tempo un programma al suo interno, di circa 200 milioni l'anno, per interventi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia residenziale sociale. Sono poche le amministrazioni che accedono a questi fondi, perché sono poche le amministrazioni che hanno programmi da proporre, nel senso che le aree disponibili non ci sono, per i motivi che ho spiegato, non si possono trovare, ad esempio, sull'agro romano, e quindi i programmi sono difficili, se non si parte dall'utilizzo di un patrimonio esistente e costruito, dismesso, che va messo in circolo.

Quindi, è necessario cominciare a pensare, sia a livello locale sia a livello nazionale, alla costituzione di fondi immobiliari pubblici, sia locali che nazionali, che mettano insieme queste risorse e queste opportunità, che possano essere, attraverso un'azione di partenariato con i privati, riutilizzati, anche mettendo in campo incentivi urbanistici - è del tutto evidente che un privato ha costi maggiori in operazioni di demolizione e ricostruzione, di recupero di immobili che sono dismessi -, combinando, quindi, attraverso queste leve, operazioni di rigenerazione urbana.

E occorre fare in modo che le amministrazioni pubbliche ne possano trarre benefici, che la rendita e il profitto di queste valorizzazioni non vadano tutti ai privati, come è stato con il piano casa degli anni Duemila, ma possano essere trasferiti in parte al pubblico, creando beni, quindi, appartamenti, case, che possono essere messi a disposizione delle cosiddette fasce del bisogno e delle situazioni più critiche, avendo quindi le caratteristiche anche di una collocazione sul territorio sparsa e non concentrata.

Questa è la grande sfida di cui dobbiamo assumerci la responsabilità, sapendo che il bene della casa è sempre stato un problema per gli italiani. Il mutuo per acquistare una casa è sempre stato una sorta di ergastolo - mi scusi l'espressione un po' forte - per le famiglie italiane. Portarsi appresso un mutuo per trenta, quarant'anni è quasi un ergastolo. In quel mutuo, vi sono i costi alti delle rendite finanziarie, vi sono i costi delle aree che, in Italia, sono sempre stati alti, perché l'Italia è un Paese a capitalismo arretrato, che ha costruito la sua accumulazione primaria non sul sottosuolo, ma sullo sfruttamento del suolo; quindi, con un grosso peso del costo delle aree e con un grosso ruolo della rendita finanziaria, che ha alzato notevolmente i costi e ha costretto gli italiani, le famiglie italiane a indebitarsi e, indebitandosi, anche a compromettere il percorso di vita e di studi dei propri figli.

Tanti problemi che abbiamo sono riferiti a questo grumo, a questo problema. Quindi un Piano casa serio comporta - e ho concluso, Presidente - l'azione su vari tasti: l'affitto, la diversificazione dell'affitto, l'acquisto sul mercato di beni esistenti e l'intervento per rigenerarli e riadeguarli alle esigenze attuali, ma anche un piano di interventi sul nuovo che agisca non su suoli inesistenti, ma su comparti, su parti di città esistenti, da demolire e da ricostruire con patrimonio pubblico, in un'azione di partenariato pubblico privato. Questa è la strada che bisogna imboccare, anche avvalendoci, in parte, dei fondi del PNRR e, in parte, anche delle risorse messe a disposizione della Cassa depositi e prestiti, che esistono, ma non sono state attivate per le difficoltà di proposta dei comuni.