Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 10 Aprile, 2024
Nome: 
Arturo Scotto

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Grazie, signor Presidente. Mi consenta di avanzare una proposta a tutti i colleghi e tutte le colleghe: una moratoria sulla retorica. Evitiamo di trasformare un dibattito politico nella rassegna stanca, ripetitiva e talvolta assolutoria delle parole di circostanza. Oggi non abbiamo trovato l'unità, ma non su temi secondari. L'unità di quest'Aula non la riusciamo a fare sulla grande questione che attraversa l'Europa, il continente che ha costruito lo Stato sociale, inventato il diritto del lavoro, garantito la crescita civile, la distribuzione equa della ricchezza, il continente che ha mobilitato chi non aveva voce, potere, cognomi importanti, restituendogli la dimensione indivisibile della cittadinanza e, dunque, della democrazia. Signor Presidente, non c'è unità sulla sfida su cui cambia o muore l'Europa politica: la bonifica del lavoro povero, la modifica radicale di quegli istituti che oggi rendono incompatibili, in tanti settori, lavoro e libertà, lavoro e autodeterminazione, lavoro e sicurezza e, dunque, diritto alla vita. Non siamo d'accordo, signor Presidente. Il dolore ci unisce per l'ennesima strage, ci mancherebbe altro, ma l'analisi delle cause e le ricette da adottare ci dividono.

Le cito un dato, sfornato proprio oggi dall'INAIL, sulla frequenza degli infortuni sul lavoro nel 2023. Prendiamo i contratti a termine: 8,98 morti su 100.000 lavoratori. Prendiamo, invece, quelli a tempo indeterminato: 4,45 su 100.000. È chiaro, signor Presidente e signori del Governo, dove sta la differenza? Possiamo dire, con il suffragio indiscutibile dei numeri, che chi è precario ha il doppio delle possibilità di morire, se non ha un contratto stabile?

Le regole sul lavoro non sono neutre e gli infortuni non sono una fatalità. La tragedia di Suviana, dove in queste ore si è recata la nostra segretaria Elly Schlein con una delegazione del PD, ci dice ancora una volta che la logica emergenziale con cui governate situazioni complesse non vede mai il lavoro in cima. Resta sullo sfondo solo il drammatico e lungo elenco di morti proletarie, di famiglie spezzate, di inchieste giudiziarie infinite, di sanzioni zoppicanti, di condoni mascherati, di prescrizioni galoppanti. Lo dico senza polemica, avete battuto tutti i record: 3,5 decreti al mese, 58 in un anno e mezzo, e attendiamo altri ricchi premi e cotillon. Su tutto lo scibile umano! Avete esordito con i rave party, perché i ragazzi che ballano attorno a un falò sulla spiaggia sono un pericolo, si sa. Poi, un bel decreto Mattei, a sua insaputa. Infine, un decreto sulla benzina, i cui effetti mi paiono sotto gli occhi di tutti: ormai siamo a 2,5 euro al litro, accisa più, accisa meno, per ricordarvi sempre le vostre memorabili performance elettoralistiche. Ora, addirittura, ci capita di leggere che Valditara studia una norma di emergenza sul Ramadan.

Una cosa avevamo chiesto: un decreto ad hoc sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro. Uno strumento autonomo, non 3 articoli dispersi in un omnibus, dove il Ministro del Lavoro si trasforma in un consulente occasionale di Palazzo Chigi!

In questo Paese muoiono solo gli operai, come le mosche, in tutti i tipi di settore: metalmeccanico, edile, ferroviario, nelle centrali elettriche, nella manutenzione. Meritavano qualcosa in più di 3 articoli? E sulla base di quale principio scrivete quelle norme? Perché introducete una patente a crediti e la limitate solo all'edilizia? Forse, sarete già informati, ma, un mese fa, il sindacato degli elettrici, unitariamente, ha scioperato e, in cima alle loro richieste, c'erano il “no” alle esternalizzazioni e la sicurezza sul lavoro. E perché basta un corso di formazione per recuperare quei crediti e poi diventa una delega al Governo? E perché, nonostante e grazie a una battaglia del PD e dei sindacati si introduca finalmente la parità economica e normativa nella catena degli appalti, non si estendono le stesse regole al pubblico e al privato? E perché non si torna indietro rispetto ai subappalti a cascata? Scelte serie, scelte nette!

Vede, Presidente, la più grande questione morale di questo Paese risiede nella svalorizzazione del lavoro, nella sua riduzione a mero fatto mercantile, nella sua frantumazione e nel suo indebolimento politico e sindacale. Un Paese dove il lavoro non vale nulla è un Paese dove la democrazia segna il passo, dove vige la legge del più ricco, del più forte, del più furbo, dove avanzano l'autoreferenzialità, l'opacità e, dunque, la corruzione. I diritti del lavoro sono il principale fondamento della Repubblica.

In questi anni, invece, abbiamo pensato che il mercato potesse supplire a questo problema, che bastava introdurre un po' più di flessibilità per competere e, dunque, va bene qualsiasi salario: il salario minimo, signori del Governo, guai a nominarlo. Il salario massimo soltanto per quelli che partecipano alla ruota della fortuna. Va bene qualsiasi condizione e qualsiasi lavoro. La modernità, signor Presidente, non passa per la liberalizzazione dei contratti a termine, la modernità non passa per l'eliminazione del tetto sul lavoro somministrato, la modernità non è estensione dei voucher, non è nemmeno la scelta delle grandi partecipate pubbliche di esternalizzare praticamente tutto. E non è modernità il fatto che un uomo di 73 anni fosse lì, alla centrale di Bargi, ancora a lavorare . Non è modernità! È uno scandalo, perché a 73 anni devi stare in pensione, non su un cantiere, signor Presidente!

Ecco perché troviamo abbastanza singolare che il Governo, di fronte alla nostra mozione unitaria, firmata e sottoscritta da Partito Democratico, 5 stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, a testimonianza che le basi per stare insieme ci sono quando ci mettiamo sotto, si sia limitato a proporci blande riformulazioni, che rimandano a valutazioni future.

Signor Presidente, qui ci sta poco da valutare. Qui bisogna scegliere. Il 1° maggio dello scorso anno la Presidente Meloni ci ha detto che bisognava lasciar fare alla mano invisibile del mercato, proponendo ancora un modello di capitalismo fondato su tutele scarse, bassi salari e nessuna spinta all'innovazione. Quando 5.700.000 di persone non arrivano a 11.000 euro annui, la parola “lasciar fare al mercato” suona tanto ingenua, quanto oscena. Ho apprezzato la dichiarazione del Sottosegretario Durigon sulla riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Non è qualcosa da valutare, ma da percorrere. Per questo chiediamo di rivedere la vostra proposta, non accetteremo quella riformulazione, vi chiediamo di votare ora per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, di fare come nel resto dell'Europa, dove riconoscono che c'è un doppio dividendo, sociale e ambientale, disponibili ad aprire un tavolo.

Concludo, signor Presidente. Sarei per ripristinare l'autenticità delle parole, lo dico anche ad alcuni colleghi che sono intervenuti qui. Il riformismo, la informo, non è parente stretto del liberismo. Riforma è una parola bellissima che significa una cosa semplice: dare più potere a chi non ne ha e toglierne un po' a chi ne ha troppo. Riformista è chi tutela il lavoro, conservatore è chi difende la rendita e il privilegio. Noi siamo questa cosa qua: tuteliamo il lavoro e combattiamo la rendita.