Discussione sulle linee generali - Relatore per la II Commissione
Data: 
Giovedì, 19 Giugno, 2014
Nome: 
Donatella Ferranti

A.C. 1589-A

Signora Presidente e onorevoli colleghi, ovviamente mi riporto e faccio mie anche le dichiarazioni che ha reso il collega Nicoletti e la parte della relazione scritta in cui abbiamo cercato dettagliatamente di illustrare i momenti salienti del provvedimento in esame. 
  Poche riflessioni, io credo necessarie, in quanto questa Convenzione, stipulata nel 1996, ancora deve essere ratificata dall'Italia ed è un ritardo che ha creato e che crea problemi anche nei rapporti con gli altri Stati e che mal si giustifica, considerato appunto che da altri Paesi dell'Europa vi è stata adesione e vi è stata applicazione, in alcuni casi in maniera diciamo così «secca» e in altri in maniera più dettagliata, come nel nostro caso. 
  La kafala è un istituto antico del diritto di famiglia della tradizione islamica che disciplina l'assunzione da parte del kafil di obblighi di nutrimento, educazione, cura e crescita propri dei genitori. È temporanea per natura e, quindi, senza effetti ereditari, senza modificazioni dello status civile. E si basa su un principio solidaristico, quello di assicurare un supporto sociale al minore che necessiti appunto di protezione. È riconosciuta dal diritto internazionale, dall'articolo 20 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e dalla Convenzione, appunto, dell'Aja del 1996 di cui stiamo parlando e che stiamo cercando di ratificare dandole attuazione attraverso questo disegno di legge. Ma già nell'orientamento giurisprudenziale in tutti questi anni in cui appunto non vi è stato il perfezionamento di questa ratifica, la kafala è stata sostanzialmente assimilata dalla giurisprudenza all'affidamento eterofamiliare e la giurisprudenza ha operato, come spesso accade, purtroppo, in assenza di un intervento del legislatore, in via di supplenza e in via ermeneutica cercando, nei casi dove fosse particolare interesse preminente del minore e non ci fosse la possibilità di un riconoscimento dell'atto dello Stato straniero, di aggirare l'ostacolo attraverso le norme sul ricongiungimento familiare. 
  Ma qui, invece, c’è la necessità di mettere a punto una normativa che disciplini il riconoscimento del provvedimento di uno Stato estero nel diritto interno. E questa Convenzione introduce il principio generale del riconoscimento automatico della misura di protezione adottata dall'autorità in uno Stato appunto contraente. Per la kafala vi è un necessario vaglio dell'autorità centrale, dell'autorità competente dello Stato che deve ricevere il minore. Di qui le norme di adeguamento contenute in questo disegno di legge. 
  In particolare, io credo – e questa è stata la linea tenuta dai relatori e dalle Commissioni – che, sia pur tenendo conto di quella che è stata l'impostazione del disegno di legge, che si fonda soprattutto sugli articoli 4 e 5 del testo, si è voluto cercare di mantenere e riconoscere la natura, l'origine appunto, della kafala senza snaturare l'istituto e cercando di adattarlo alla normativa e ai principi del nostro ordinamento. Ecco, quindi, che è importante avere individuato all'articolo 3 gli organi di riferimento, cioè il Ministero della giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile come autorità centrale incaricata di adempiere agli obblighi derivanti dalla Convenzione, e la Commissione per le adozioni internazionali come autorità competente italiana. 
  Gli articoli 4 e 5, poi, individuano quali sono le situazioni in cui dovrà procedersi al riconoscimento del provvedimento dello Stato estero, in particolare appunto per ciò che attiene alla kafala. E, quindi, all'articolo 4 si disciplina la procedura da seguire quando è collocato in Italia un minore straniero che non si trovi in stato di abbandono. Il disegno di legge, quindi, delinea il percorso specifico. C’è un provvedimento dell'autorità straniera che lo propone all'autorità centrale italiana; poi, vi è il Ministero della giustizia che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni e l'autorità giudiziaria competente è individuata in base alla residenza della famiglia o della struttura di accoglienza. Ci sono anche degli approfondimenti che il tribunale per i minorenni potrà chiedere, proprio sul minore, sulle persone e la struttura individuata per l'assistenza, tramite i servizi sociali e le ASL. Si è anche introdotto, rispetto al disegno di legge, su indicazione pure del Governo, il fatto che si possa e si debba procedere all'ascolto del minore laddove appunto è compatibile con le normative anche del Paese di origine. 
  Ecco che, poi, all'articolo 5, invece, si disciplina l'altro istituto, quello che attiene sempre al riconoscimento di un provvedimento di uno Stato estero nel caso in cui c’è un minore in stato di abbandono. E anche qui vi è il compito, da parte della Commissione per le adozioni internazionali, appunto l'autorità competente italiana, di approvare la proposta di assistenza legale e, nel caso in cui un minore è in stato di abbandono, verificare la documentazione trasmessa e che, tenuto conto del superiore interesse del minore, risultino tutte le circostanze espressamente richieste dalla norma.

E sono previsti requisiti dettagliati, un sistema di garanzie analogo a quello che in linea di principio è richiesto per le adozioni internazionali, ma tutti finalizzati ad evitare che proprio queste normative, questi casi si tramutino in una via che possa consentire di aggirare le disposizioni in materia di adozione. E l'intera procedura deve essere realizzata con l'intermediazione degli enti autorizzati e del servizio pubblico proprio per evitare rapporti diretti tra il minore e i potenziali kafil
  Si è adombrato, da parte di alcuni e l'ho letto anche nella pregiudiziale di costituzionalità che è stata depositata, un possibile contrasto con norme di ordine pubblico. Ma, in realtà, – questo mi preme rappresentarlo anche in questa sede – tutto questo non tiene conto proprio di quello che è stato lo spirito, la ratio di questo disegno di legge che, tra l'altro, è frutto di una commissione interministeriale che ha cominciato a lavorare dal 2008 e che, quindi, ha cercato vari aggiustamenti proprio per rendere tutta la procedura sempre più conforme proprio al nostro diritto interno. 
  Ma potrebbe ipotizzarsi una contrarietà o elusione della disciplina, quindi una contrarietà all'ordine pubblico e una contrarietà proprio ai nostri principi fondamentali, solo allorché fosse ipotizzabile che dalla kafala si volessero far derivare nel nostro ordinamento effetti identici o analoghi a quelli dell'adozione, ma non nel caso in cui, com’è il testo attuale (e siamo stati accorti a mantenerlo proprio nella sua linea portante, non accettando quindi proposte di emendamento che, invece, andavano in altro senso), nel rispetto della disciplina vigente del Paese di provenienza del minore affidato, il riferimento alla kafala, anche dopo l'avvenuto ricongiungimento con il cittadino italiano che quindi diventa kafil, non svolga altra funzione che quella di giustificare l'attività di cura materiale e affettiva del minore, con esclusione di ogni vincolo di natura parentale e anche solo di rappresentanza legale. 
  Tutto questo non fa che far capire come ci sia la necessità assoluta, proprio anche per creare certezza nei rapporti giuridici, dell'approvazione finalmente di questo disegno di legge di ratifica, anche perché c’è una procedura di infrazione che sta per essere aperta, l'ennesima nei confronti del nostro Paese, ed è evidente che la ratifica di questa Convenzione da parte dell'Italia risolve molte delle questioni e dei problemi interpretativi che finora ha dovuto risolvere la giurisprudenza e che, in qualche caso, hanno creato e creano incertezza in una materia dove c’è la necessità sia di mantenere quei rapporti internazionali con gli Stati ma anche e soprattutto di stabilire quello che deve essere un interesse preminente come quello di salvaguardare e tener conto dell'interesse prioritario che è quello del minore bisognevole di protezione.