Grazie, Presidente. Credo che questo Accordo vada valutato prima di tutto guardando al contesto entro cui si colloca oggi un Paese come il Niger. Non sfugge a nessuno quanto sia complicato e critico il contesto nordafricano. Da poche ore le agenzie battono la notizia delle dimissioni del Presidente del Sudan sulla base di manifestazioni di popolo che per giorni e giorni ne hanno richiesto le dimissioni, e ha preso il potere, dichiarando transitoriamente, poi vedremo, un'autorità militare. Abbiamo presente quale situazione drammatica si sta svolgendo in queste ore in Libia, con il rischio di una precipitazione in uno scontro armato sanguinoso e terribile che possa travolgere la capitale Tripoli. Da settimane siamo attenti a quello che succede in Algeria e le dimissioni del presidente Bouteflika e la nomina di Bensalah a Presidente transitorio per 90 giorni anche lì determina un contesto in movimento. Per non parlare, poi, di tutta la regione subsahariana, che è investita, come sappiamo, da continui fattori di instabilità e di criticità, se solo si pensa alla presenza di Al Qaeda e dell'Isis nel Mali e al tentativo dell'Isis, dopo essere stato sconfitto e cacciato dai territori della Siria e dell'Iraq, di ritrovare una collocazione nella regione subsahariana. Il Niger sta al centro di quest'area ed è evidente, quindi, che porsi l'obiettivo di stabilizzare il Niger e di sostenerlo nel controllo delle sue frontiere, nella stabilizzazione politica e nel contrasto alla penetrazione di gruppi terroristici è fondamentale ed è un contributo a una strategia di contenimento delle instabilità e delle criticità che investono quella regione. È per questo che io credo che l'Accordo sia stato sottoscritto e per questo credo che debba essere ratificato e il nostro gruppo voterà naturalmente a favore.
È chiaro che il nostro rapporto col Niger non si esaurisce soltanto nell'Accordo di cooperazione militare che stiamo per ratificare. La visita del Presidente Gentiloni l'anno scorso in Niger e la visita del Presidente nigerino a Roma hanno determinato una serie di intese e di accordi che vanno al di là della sola cooperazione in campo militare ma che riguardano anche gli aiuti che l'Italia dà al Niger per la cooperazione allo sviluppo, considerando il Niger Paese prioritario, così come l'impegno del nostro Governo a favorire investimenti in quel Paese. Ricordo, infatti, che l'Italia sta sviluppando da almeno tre anni una strategia di presenza in quella regione subsahariana che, storicamente e tradizionalmente, non è mai stata una regione di presenza italiana e oggi l'Italia è il terzo Paese europeo per investimenti in quella regione. Quindi, questo Accordo va considerato e visto in questo contesto e per questo noi lo approveremo.
Se mi resta ancora qualche minuto lo vorrei dedicare a due cose, entrambe di metodo ma consistenti. La prima è che naturalmente quando si sottoscrivono questi accordi occorrerebbe che il testo di questi accordi fosse scritto tenendo conto di tutto ciò che motiva le ragioni di un accordo. Io mi rammarico che in un Accordo con un Paese come il Niger, che viene sottoposto al Parlamento per la ratifica, non ci sia una sola parola nel dispositivo e neanche nel dispositivo giustificativo - diciamo - che faccia riferimento al contesto politico entro cui questo Accordo si pone. Cioè, faccio un appello e una richiesta ai ministeri: che quando si scrive questo testo bisogna scriverlo in modo meno burocratico e, invece, avere presente che ogni accordo è figlio di una certa situazione e di un certo contesto. Così si eviterebbe di scrivere che diamo delle navi a un Paese che non ha il mare, tanto per dirne una.
La seconda ragione è più di sostanza. Il modo piuttosto disattento con cui ormai sempre noi ratifichiamo i trattati internazionali pone un problema. Noi sappiamo che la nostra Costituzione prevede che i trattati internazionali debbano essere ratificati dall'Aula e questo è figlio di una norma scritta tra il 1946 e il 1948, cioè quando si redasse la Costituzione, e nel redigere la Costituzione e nello scrivere questa cosa si avevano presenti tutti i drammi del passato e gli accordi come, per esempio, il Trattato tra Roma e Berlino che portò l'Italia in guerra. Ma da allora a oggi è cambiato radicalmente lo scenario; di accordi internazionali il nostro Paese, come tutti i Paesi, ne sottoscrive quotidianamente tantissimi e nelle più diverse materie: la doppia imposizione fiscale, il trasferimento delle tecnologie, il riconoscimento dei diplomi e delle lauree, gli accordi commerciali. Che questi accordi debbano essere ogni volta ratificati in Aula non ha più senso, tanto è vero che le ratifiche sono considerate un'attività ancillare che si mette al fondo di una seduta, il giovedì, nella disattenzione generale e, cosa più grave, con queste procedure noi ratifichiamo accordi firmati dai Governi sei, sette, otto o dieci anni prima.
Noi stiamo ratificando un Accordo che ha avuto la prima sottoscrizione nel 2004. Allora, io rassegno una proposta, che poi depositeremo anche come testo di legge, di piccola riforma costituzionale che prevede che le ratifiche vengono fatte in Commissione, salvo una clausola di salvaguardia che se un terzo dei parlamentari chiede che un accordo venga portato in Aula lo si porta in Aula e lo si discute in Aula. Questo consentirebbe di portare in Aula soltanto quegli accordi su cui effettivamente c'è la necessità di un confronto politico e di ratificare rapidamente in Commissione tutti quegli accordi che, avendo consenso unanime, possono essere ratificati semplicemente, evitando al nostro Paese anche di esporsi alla brutta figura di sottoscrivere accordi con altri Paesi in un anno e di farli entrare in vigore tre, quattro, cinque o dieci anni dopo.