Grazie, Presidente. La Commissione parlamentare per le questioni regionali, in questi ultimi due anni, ha fatto propria l'esigenza di fare una riflessione, una riflessione sistematica su quello che è lo Stato e il regionalismo in Italia e ha voluto particolarmente attenzionare - eravamo in una fase piena delle riforme in Italia - la questione, in particolare, degli statuti autonomi. Lo ha fatto con tre indagini: una ha riguardato appunto gli statuti autonomi e i rapporti tra gli statuti autonomi e lo Stato centrale, l'altra ha riguardato le problematiche concernenti l'attuazione, non solo degli statuti, ma le forme di raccordo tra lo Stato e l'autonomia territoriale, con particolare riguardo al sistema delle Conferenze, e in ultimo, quando nella fase finale di questi due anni eravamo già a ridosso del referendum e subito dopo la sentenza 251 che ha riguardato il decreto legislativo Madia, che ha bocciato la procedura dell'approvazione del decreto legislativo Madia - il nostro presidente ha avuto l'intuizione -, la Conferenza ha dovuto rivedere e fare sintesi del lavoro fatto nei due anni, per capire meglio e per proporre anche a questa Assemblea alcuni elementi di riflessione e suggerire ipotesi. Non ci permettiamo di dire: “è questa la via”, ma di suggerire ipotesi, ipotesi che, comunque, sono proposte concrete per la piena applicazione della riforma, quella vigente, dal momento che il referendum ha bocciato la proposta di riforma, quindi la riforma della Costituzione portata avanti con la legge n. 3 del 2001.
Allora, per quanto riguarda gli Statuti speciali - stamattina molti interventi dei colleghi -, questo lavoro fatto dalla Commissione ha fatto emergere una cosa chiara: gli statuti autonomi non andavano cancellati. È serpeggiata in quest'Aula, l'anno scorso, l'idea che con le riforme che avevamo messo in campo si cancellassero poi gli statuti speciali. Bene, è emerso da quel lavoro che gli statuti speciali non vanno cancellati, sono una ricchezza. Questa posizione è condivisa da tutti, è condivisa soprattutto anche dagli esperti che hanno relazionato nella nostra Commissione.
Il documento che riguarda gli statuti speciali auspica, però, un approccio comune alle cinque autonomie speciali nei confronti della revisione, al fine appunto di ritardare il pluralismo costituzionale e rileggere i fondamenti della specialità sotto forma di due principi, due valori: la responsabilità e la solidarietà. Per questo, è già in corso, onorevole Dallai, una sorta di laboratorio unitario, dove chiaramente devono essere coinvolte le assemblee elettive; ed è già stato avviato questo processo che possa concludersi, appunto, con una convenzione che tracci linee procedurali per un percorso comune degli statuti, come è già accaduto precedentemente.
A che cosa ci deve portare, infatti, questo lavoro? Ci deve portare a delineare alcune soluzioni concernenti problematiche che sono state messe a fuoco anche stamattina, qui, nel corso di questa discussione, ma che abbiamo approfondito durante i lavori dell'indagine. È necessario innanzitutto aggiornare gli statuti, e questo indipendentemente se la riforma fosse passata o no: gli statuti vanno aggiornati su principi comuni. Quindi, armonizzare, poi, la disciplina della composizione e del funzionamento delle Commissioni paritetiche: quello sì è un fatto di criticità. Le Commissioni paritetiche delle cinque regioni a statuto speciale si sono comportate e hanno funzionato in maniera diversa l'una dalle altre. Allora bisogna avere criteri, principi e metodi comuni. La regolamentazione del procedimento di adozione degli schemi dei decreti legislativi in attuazione degli statuti, cioè delle delibere delle Commissioni paritetice: alcune volte abbiamo assistito a delibere delle Commissioni paritetiche che vengono parcheggiate e non vengono mai approvate dal Governo; dobbiamo stabilire tempi, modalità, come si perviene e come si arriva a definire procedimenti.
In ultimo, ma è la cosa più importante rilevata anche qui stamattina, la definizione dei principi e dei criteri direttivi comuni nella disciplina dei rapporti finanziari, finalmente, fra Stato e questi enti, e le regioni. Su questi punti, il documento ha già proposto delle soluzioni, che sono soluzioni anche operative - diamo anche il rinvio all'argomento -, che possono anche essere attuate.
Per quanto riguarda il sistema delle Conferenze, ricordo che buona parte del lavoro era stato fatto prima che ci fosse il referendum, comunque la Commissione aveva lavorato, tenendo conto che il referendum poteva essere approvato o non approvato. Quindi, la Commissione ha lavorato tenendo conto del sistema vigente, al fine di offrire elementi su ciò che già esisteva, sulle norme esistente e su come, appunto, funzionavano ad oggi i tre livelli di Conferenze: Conferenza unificata, Conferenza Stato-regioni e Conferenza programmatica.
Poi, alla luce anche della nuova riforma, ci siamo posti il problema di capire: servono ancora le Conferenze nel momento in cui questa riforma approverà un Senato delle autonomie? Ebbene, è venuto fuori - questo il Parlamento lo deve sapere - che in tutte e due i casi, sia nel caso di approvazione del referendum sia nel caso, così come è avvenuto, di non approvazione del referendum, le Conferenze vanno mantenute. È stato rilevato da parte di tutti - giuristi, ma anche da tutte le parti politiche - la funzione importante, l'importanza che hanno avuto le Conferenze in questi trent'anni.
Era necessario, però, fare anche una riflessione per capire cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato di queste Conferenze, perché è vero che hanno avuto una funzione importante di raccordo, una funzione devo dire anche di rilevanza costituzionale data dalle sentenze della Corte costituzionale nel corso di questi trent'anni, laddove la Costituzione ha ritenuto che con le Conferenze si attuasse il principio di leale collaborazione. Nel corso dell'indagine è emerso anche che, in caso di approvazione della riforma costituzionale, il sistema delle Conferenze non andasse sospeso dicevo, bensì riformato: quindi, è ovvio che questo Parlamento dovrà mettere mano ad una riforma, ad una riorganizzazione del sistema delle Conferenze.
Una delle principali criticità del regionalismo italiano è riconducibile all'assenza di istituti di cooperazione tra Stato e autonomie nella formazione delle leggi e nella definizione delle politiche pubbliche, tanto è vero che questo è rilevato da diverse sentenze della Corte costituzionale. Questo è dovuto anche all'assenza del coinvolgimento nel procedimento legislativo - quindi, nella fase ascendente della legge - delle autonomie locali, perché, se da un lato, le Conferenze hanno svolto una funzione, che tutti riconosciamo, nella fase attuativa della legge, nella fase discendente, laddove appunto si fanno i decreti attuativi e la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-città determinano l'attuazione attraverso le loro delibere, è pure vero che quello che è mancato è il coinvolgimento nella fase della formazione, nell'iter formativo.
Tutto questo, nella legge costituzionale n. 3, nella riforma fatta nel 2001, era demandato a questa Commissione, alla nostra Commissione per le questioni regionali, che doveva essere allargata e nella quale dovevano essere coinvolti anche dei componenti che rappresentassero le autonomie locali.
Tutto questo non è avvenuto e non è avvenuto per una semplice ragione: perché, prima con la mancata riforma del 2006 e adesso con questa, si prevedeva e si è sempre pensato che, prima o poi, in Italia si sarebbe riusciti a costituire un Senato delle autonomie. Questo non è avvenuto, quindi oggi, a bocce ferme, a norme ferme, a regole vigenti, dobbiamo per forza intervenire sull'applicazione dell'articolo 3 della Costituzione. L'attuazione della Costituzione con riferimento all'integrazione della Commissione per le questioni regionali potrebbe rappresentare un'occasione importante. Perché? Perché noi abbiamo avuto in questa fase, nonostante il coinvolgimento nella fase discendente, il fatto che nel procedimento legislativo… …gli enti locali non sono stati coinvolti: evidentemente ciò ha determinato un contenzioso, un contenzioso che è sfociato anche in referendum, come sappiamo. Le proposte riportate - e concludo veramente - nella Commissione, che la Commissione ha avuto anche l'impegno a proporre…Concludo dicendo questo: che il Parlamento oggi ha gli elementi, dati da questo lavoro fatto dalla Commissione, per poter procedere a fare delle modifiche regolamentari e anche di legge. Questo per far funzionare meglio le nostre istituzioni democratiche. Per questo motivo, il Partito Democratico esprime il parere favorevole alla risoluzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).