Discussione generale
Data: 
Martedì, 12 Dicembre, 2017
Nome: 
Fabio Lavagno

Doc. XXIII, n. 29

I fantasmi attraversano tutte le culture del mondo, in tutte le epoche, divenendo spesso un topos narrativo. Nella cultura occidentale dai miti di Orfeo ed Euridice a quello di Polissena passando per i fantasmi shakespeariani di Amleto e Macbeth e i romanzi anglosassoni ottocenteschi si arriva sino ai più recenti Giganti di Pirandello. Spesso le storie di fantasmi per essere rese più verosimili abbondano di citazioni rispetto alle fonti. E' quello che accade analizzando Giro di vite, ma è la stessa tecnica con cui si diffondono le leggende metropolitane. Citare le fonti, vere o presunte, è elemento fondamentale per dare spessore a una storia di fantasmi.

Questo si addice a storie di fantasmi, ad opere narrative. Si tratta di escamotages che non si prestano, certamente, né al dibattito politico, né tanto meno alla storiografia.

Eppure esiste nella storia italiana un passaggio, un periodo di 55 giorni, in cui i fantasmi, le entità, le presenze si sprecano e le modalità della sua narrazione non si discostano molto dalle ghost stories. Si tratta di quello che diffusamente viene indicato come "Caso Moro".

Un pubblicistica sovrabbondante e spesso di scarsa qualità ha alimentato nel corso dei decenni, nell'opinione pubblica una sensazione che attorno alla vicenda si addensino ombre e misteri. La politica non è risultata immune a queste suggestioni. Molto spesso, anzi, per proprie finalità, non ha fatto altro che alimentarle. In quest'Aula, fin dall'inizio, in occasione della discussione generale e delle dichiarazioni di voto della Legge istitutiva della Commissione non sono mancati i riferimenti alle tesi più complottiste a lungo portate avanti dal senatore Flamigni e a generiche evocazioni di "verità nascoste" e "nebbie da diradare".

La relazione sul primo anno di attività della Commissione si incaricava di dichiarare: "ancora oggi, (...) permangono incoerenze e zone d'ombra (...). Nella stessa opinione pubblica è diffusa la convinzione che le conoscenze sinora acquisite in merito alle responsabilità e alta dinamica dei fatti siano, quanto meno, incomplete e non definitive".

Quella stessa opinione pubblica e secondo quelle dinamiche a cui facevo riferimento in precedenza. Spiace rilevare che i lavori della Commissione e la loro cronaca siano stati spesso improntati a focalizzare l'attenzione su ipotesi fantasiose e spesso a minimizzare, i pochi, ma importanti riscontri di carattere più scientifico e oggettivo, come sono stati i contributi resi da Polizia Scientifica e RIS.

Purtroppo in questa storia di fantasmi i primi fantasmi della Commissione sono stati gli stessi Commissari, i quali hanno spesso disertano le sedute. In questi giorni, questo ramo del Parlamento discute e approverà la terza relazione intermedia. Non un atto conclusivo, ma un terzo resoconto della propria attività. La Commissione ha abdicato cosi all'ambizione di giungere ad una relazione finale e, conseguentemente di dare la possibilità di presentare relazioni di minoranza, così come previsto dalla legge istitutiva. Un'occasione mancata di assumersi una responsabilità politica di fronte al Parlamento e al Paese.

Se l'anno scorso (all'epoca dell'approvazione della seconda relazione) dopo l'esito del referendum costituzionale, lo scioglimento anticipato delle Camere era una variabile possibile; oggi, la fine della Legislatura è un fatto naturale. La scadenza, insomma, è segnata sul calendario.

E' vero che in qualunque inchiesta ci si trova da un lato a dover fare i conti con i limiti del tempo a disposizione e, d'altro lato, a non sapere in anticipo come l'inchiesta stessa si svilupperà, ma ciò non comporta la rinuncia a formulare conclusioni che siano formalmente tali, sebbene ovviamente esse valgano per il momento in cui sono formulate e non per il futuro. La decisione della Commissione appare poco spiegabile se consideriamo che:

l' organismo parlamentare è stato prorogato, aumentando di oltre un terzo la durata originariamente prevista dalla legge; la prima Commissione Moro, pur partendo da zero e con una legislatura I'VIII terminata un anno in anticipo aveva prodotto una sua compiuta relazione.

Se consideriamo quindi l'andamento delle inchieste parlamentari sul caso Moro noteremo che: negli anni Ottanta si giunge a conclusioni, nel 2001 non si presenta alcuna relazione, e nel 2017 si consegna una relazione che però non è conclusiva. Non esattamente un progresso, e soprattutto non una grande risposta all'anti-politica che è diffusa nell'Italia di oggi.

Il documento approvato dalla Commissione ad ampia maggioranza, con il mio solo voto contrario ed un'altra astensione, è apprezzabile nei primi capitoli i quali, rispetto anche alle precedenti produzioni (cioè la prima e la seconda relazione intermedia) sono caratterizzati dal tentativo di una maggiore coerenza e organicità e non sono solo il resoconto dei lavori della Commissione. Analogo giudizio può essere esteso alle conclusioni dei RIS, contenute nelle parti relative a via Montalcini. Gli altri capitoli purtroppo, evidentemente redatti da altre mani, lasciano molto perplessi e dovrebbero interrogare nel profondo tutti coloro che intendono approvarli. Sono parti caratterizzate da salti logici, parti equivoche e, a volte, pericolosamente insinuanti.

Le poche e contraddittorie pagine di conclusioni politiche non superano la generica e abusata definizione di "Caso Moro", inteso nella sua definizione più propria, come avvenimento fortuito, accidentale e imprevisto. La definizione stessa, riferita alla causalità di quegli eventi sembra escludere la possibilità di una sua piena comprensione, proprio perché ritenuta fortuita ed inaspettata. A ben vedere non è così. Basterebbe a tale proposito uno studio ed una comprensione chiara dei fenomeni e delle culture che hanno caratterizzato gli anni Settanta in Italia e una seria convinzione a voler chiudere politicamente quel periodo. La soverchiante maggioranza che approverà questa relazione dimostra con evidenza che non è però questo l'intento.

I lavori della Commissione hanno voluto evitare una storiografia parlamentare dei drammatici e tragici 55 giorni, ma hanno mancato nel possibile salto qualitativo e storico che avrebbe permesso una comprensione non equivoca della vicenda, ponendo punti fermi e indicando con precisone l'angolo di lettura.

L'auspicio è che la grande mole di documentazione raccolta venga resa al più presto e nella misura maggiore possibile disponibile per tutti i cittadini. Si tratta di un patrimonio documentale eterogeneo, ma che costituisce la base per conoscenza dei fatti più approfondita, non basata sulla narrazione dietrologica di questi decenni, costellata di ipotesi funamboliche di eterodirezioni, infiltrazioni, servizi deviati, presunte presenze malavitose, tutte mai riscontrate, in una confusione di probabili e naturali omissioni con misteri e connivenze indicibili.