Discussione generale
Data: 
Martedì, 12 Dicembre, 2017
Nome: 
Gero Grassi

 

Doc. XXIII, n. 29

Grazie, Presidente. L'appuntamento in Aula di oggi è l'ultimo di un percorso che è iniziato quattro anni fa. Io ho nella mente e nel cuore i vari passaggi che ho vissuti tutti. Ricordo bene, quando questo viaggio del dolore è partito, i mormorii pubblici e privati di chi sosteneva che l'istituzione di un'ulteriore Commissione d'inchiesta sul rapimento di Moro, sull'omicidio di Moro e sull'omicidio degli uomini della scorta fosse inutile perché si sapeva tutto. Ci sono stati quelli che hanno tentato di non far partire i lavori dalla Commissione. Rispetto alla legge del maggio 2014, la Commissione si è istituita ed è partita il 3 ottobre. C'erano alcuni gruppi che non designavano i componenti della Commissione. Perché? Me lo sono sempre chiesto. Noi del gruppo del Partito Democratico con questa Commissione abbiamo voluto fare un'operazione di verità. La “Commissione Moro” non guarda al passato; è indirizzata al futuro.

L'intervento del presidente Fioroni ha toccato dei punti salienti del lavoro di una Commissione che, mi piace sottolineare, ha lavorato diversamente da quanto alcuni sostenevano, di fatto a costo zero per lo Stato. Il presidente Fioroni ha toccato alcuni punti - ce ne sono altri - e basterebbero quelli per dimostrare che siamo quasi alla correità morale per quanti continuano a sostenere, a distanza di quarant'anni, una verità completamente smontata. La verità dello Stato sul caso Moro è combaciata per troppo tempo con il “memoriale Morucci - Faranda”. Basterebbe sapere, per chi vuole leggere i documenti, che il signor Valerio Morucci nello stesso periodo ha svolto il nobile ruolo di imputato, di consulente di qualche magistrato, di consulente delle forze dell'ordine e di collaboratore con qualcuno che, rappresentando lo Stato, avrebbe dovuto difendere altri interessi. Dalla documentazione si evince chiaramente che c'è stato un lungo periodo nel quale la trattativa è intercorsa. In via Fani sono rimasti in pochi a sostenere che c'erano solo le Brigate Rosse.

Alcuni brigatisti, autorevoli rappresentanti della magistratura, autorevoli rappresentanti delle forze dell'ordine, rappresentanti di Stati stranieri che hanno vissuto quel tempo hanno sostenuto che in via Fani con le Brigate Rosse c'erano tanti e tanti altri e che addirittura le Brigate Rosse erano comprimarie.

Questo non riduce il livello di criminalità dei brigatisti ma lo aumenta, perché sono stati criminali e sono bugiardi e hanno rappresentato un mondo che non era quello loro, un mondo fatto di commistione tra pezzi dello Stato e pezzi della criminalità. Le contiguità evidenziate da questa Commissione, tra la mafia, la camorra, la 'ndrangheta, la banda della Magliana e le Brigate Rosse non sono un caso.

Io nel 1978 avevo vent'anni. Mi ricordo che le Brigate Rosse esordivano dicendo che avrebbero detto tutto al popolo; siamo ancora in attesa che lo facciano. Dicevano che si muovevano per realizzare la giustizia sociale; siamo ancora in attesa di capire quale giustizia (non ci può essere giustizia che passi attraverso l'omicidio). Ecco perché ha ragione chi dice che in via Fani c'erano anche le Brigate Rosse. E smontato il “memoriale Morucci Faranda”, questa Commissione è andata sul luogo del delitto, in via Montalcini, dove non c'è una prova che Moro sia stato ucciso lì. Ma all'epoca ci fu qualche magistrato che fece propria una dichiarazione di alcuni brigatisti senza alcuna prova. Nella Renault, nella famosa Renault, non c'è una traccia della presenza dei brigatisti che forse, nel momento in cui Moro è stato ucciso, non c'erano, tant'è che la descrizione che i brigatisti fanno dell'omicidio è una descrizione smontata pezzo a pezzo. Tu puoi sbagliare qualche particolare ma non puoi sbagliare il racconto dell'omicidio che ha caratterizzato la storia della Repubblica italiana.

Ecco perché io sono particolarmente lieto che la Commissione in silenzio, fuori dal clamore, senza l'eco che spesso fanno alcune trasmissioni televisive nelle quali si discute del nulla, è riuscita, con grande sacrificio, a dimostrare che nella vicenda Moro la magistratura e le forze dell'ordine hanno volutamente, per alcuni, sottaciuto prove evidenti. Non si può arrestare un personaggio come Casimirri e poi farlo partire. Non ci si può fermare dietro una porta chiusa, non si può, come disse il procuratore generale di Roma, il dottor Pascalino, accettare supinamente che la polizia di Stato abbia fatto operazioni di parata tendenti a rassicurare la popolazione ma non a cercare Moro.

Il colpo finale della Commissione, che ha operato anche in tempi ristretti, è l'aver individuato con certezza brigatisti mai toccati da provvedimenti giudiziari, brigatisti i cui nomi non sono mai venuti fuori, e aver evidenziato che molto, molto, molto probabilmente la prima prigione di Moro sia stata in via Massimi 91, lì dove le forze di polizia all'epoca, a seguito di un'indicazione della guardia di finanza, non entrarono perché palazzina extraterritoriale di proprietà dello IOR, che all'epoca era gestito da Marcinkus. E perché sia chiaro il ruolo dello IOR, Marcinkus era un agente CIA ed era iscritto alla P2 e Paolo VI che tentò la trattativa - e noi abbiamo avuto testimoni che ci hanno raccontato di aver visto le mazzette dei soldi, 10 miliardi di lire dell'epoca - fu osteggiato dallo IOR, tant'è che quel denaro lo andò a trovare fuori, lo andò a trovare a Milano dove c'erano tanti ebrei che lui aveva salvato in occasione della seconda guerra mondiale.

Non è un caso che oggi sia il 12 dicembre 2017. È il giorno in cui in Italia si ricorda la strage di Piazza Fontana, che fu l'inizio di un percorso stragista molto oscuro, opaco e nebuloso. Non è un caso che quel giorno, il giorno di Piazza Fontana, a Moro fu consigliato un certo percorso, per tornare in Italia dalla Francia dove si trovava. Non è un caso che l'uomo buono, amico, mite, generoso, come Paolo VI definì Aldo Moro, sia a tutt'oggi abbandonato da settori di questa società, che continuano ad ucciderlo, non volendo raccontare la verità.

La Commissione ha fatto il massimo possibile nelle condizioni offerte e consegna al Parlamento, al Paese e - scusatemi - alla storia, un nuovo disegno di quarant'anni della nostra Repubblica, un disegno che ci pone tanti interrogativi, ma un disegno che ci dice anche che, tutt'oggi, si può democraticamente combattere e lottare, perché l'Italia, il Paese, siano migliori di come noi stessi li rappresentiamo.