Grazie, signor Presidente. Signori del Governo, colleghi, credo sia un premio alla lungimiranza e alla intelligenza dei nostri predecessori riconoscere che il precetto che ci impone di discutere a cadenza fissa e nell'Aula del Parlamento il rifinanziamento delle missioni internazionali di pace sia un precetto assolutamente saggio, che ci consente di articolare la nostra presenza nelle forze militari nei vari teatri internazionali in relazione all'elemento fondamentale che è dato dalla somma fra i nostri precetti costituzionali, l'articolo 11 in particolare, e il contesto politico internazionale, che per definizione si evolve, muta, cambia. Noi abbiamo vissuto, signor Presidente, nel recente passato, una lunghissima fase, dal dopoguerra fino alla caduta del muro di Berlino, nella quale la storia sembrava rallentare fino quasi a fermarsi; qualcuno scrisse addirittura che la storia era finita. E poi, invece, il crollo del Muro, la belle époque della globalizzazione, l'11 settembre, la crisi finanziaria tra il 2008 e il 2010 ed ora la pandemia e la crisi economico-finanziaria che porta con sé come una striscia malevola, ci dicono che la mappa dei rischi globali incrocia fenomeni antichi e fenomeni nuovi; e ai rischi tradizionali, che emergono da una statualità che si confronta sulla base di principi e di valori diversi da noi, dal mantenimento di un livello endemico del terrorismo in varie parti del mondo, si incrociano nuovi fattori che rischiano di svolgere una funzione di detonatore, connessi con questi elementi, il clima, le migrazioni, le pandemie. E in tutto questo, una serie di quesiti ed interrogativi. Io invidio chi ha una verità rivelata. Io credo che dovremmo, invece, interrogarci un po' di più, raffinare il pensiero, capire cosa sta accadendo, porci delle domande rispetto alle quali dare delle risposte, anche in connessione con le scelte che stiamo compiendo. È vero che la supremazia occidentale è al tramonto? E se sì, con essa è al tramonto anche il nostro sistema dei valori sul piano globale?
È vero che stiamo vivendo una nuova guerra fredda fra Stati Uniti e Cina, certamente sul piano commerciale? È certamente un dato che la recessione oggi tormenta una identità confusa, malconcia, difficile da farsi, di una Europa che, invece, si deve imporre anche su questi temi nella sua soggettività? E ancora, qual è il futuro dell'Alleanza atlantica dentro questo contesto? E, più in generale, quali saranno i principi, i valori, le regole che fonderanno il nuovo ordine internazionale in questo secolo?
Insomma, noi abbiamo molti interrogativi. Dovremmo diffidare di chi ha gli slogan facili in tasca e dovremmo approfondire il pensiero, anche perché noi abbiamo alcuni punti fermi che ci aiutano in questo senso: il punto fermo del multilateralismo, che ci evita un pericoloso ritorno di fiamma di una tentazione, che è quella del nazionalismo; e dovremmo sempre mandare a memoria quello straordinario inizio del discorso di François Mitterrand al Parlamento europeo, nel gennaio del 1995, come lascito ereditario di quello straordinario statista, quando disse: “Il nazionalismo è la guerra”. E proprio per questo noi abbiamo, all'articolo 11, il ripudio della guerra e la limitazione della nostra sovranità qualora essa sia necessaria per assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni. Dice questo la nostra Costituzione. Perché è vero, all'articolo 1, che la sovranità appartiene al popolo e la si esercita sulla base delle leggi, ma è anche vero, all'articolo 11, che noi abbiamo l'obbligo di limitarla quando essa è funzionale alla costruzione di un regime di pace e di giustizia. Ed è in questo senso che noi possiamo e dobbiamo dire che la nostra presenza nei teatri internazionali è distante da una concezione di aggressione che lede l'indipendenza e l'integrità morale di altri Stati per imporre interessi propri del nostro ordinamento. Bene, le missioni di peacekeeping rientrano all'interno di questa cornice ed è per questo che noi riteniamo importante vederle nella loro globalità, e non fare di un punto, pur importante, l'unico elemento di discussione di una questione più strategica.
Signor Presidente, noi, con un voto che faremo tra pochi minuti, autorizzeremo 9 missioni in Europa, 10 in Asia, 18 in Africa, in teatri importanti e che oggi sono silenziati soltanto perché in quei teatri c'è l'azione di uomini e di donne che hanno fatto il loro dovere, ma che soltanto fino ad alcuni anni fa erano puntellati e costellati da lutti, da guerre, da tragedie. Ma qual è il punto politico - che non vorrei venisse sottaciuto - di questo voto? Colleghi, noi per tanti anni abbiamo chiesto, giustamente, che la NATO si impegnasse non solo nella relazione tra est e ovest, ma anche nella relazione tra il Nord e il Sud del pianeta e che individuasse nel Mediterraneo e nel rapporto con l'Africa una nuova dimensione. Bene, noi qui, con l'autorizzazione del percorso dalla NATO Implementation per l'Africa, abbiamo questo dato politico rilevante: il fianco sud dell'Alleanza interviene per andare a suturare quelle posizioni che generano anche le problematiche che sono state ricordate in precedenza; perché l'incrocio, perverso, fra il terrorismo, lo sfruttamento dei fenomeni migratori, la pirateria e l'abbandono dell'Africa ad una dimensione neocolonialista, nella quale una potenza che non corrisponde al nostro sistema di alleanze come la Cina è indotta a creare delle condizioni di subalternità, genera i fenomeni di cui noi oggi discutiamo soltanto l'epifenomeno. Ma noi dobbiamo andare alla radice di quel fenomeno, ed è per questo che qui, all'interno di queste missioni, si parla di interventi nel Sahel, in Guinea, a protezione della Nigeria, nel Corno d'Africa. Insomma, questi punti fermi fanno dell'Italia, innanzitutto, un soggetto attivo di pace e di sicurezza internazionale nell'ambito delle nostre alleanze e nel rispetto del multilateralismo.
E il secondo punto fermo è il mantenimento di un quadro di relazioni internazionali stabili, di amicizie e di alleanze, perché è la premessa per risolvere, oggi, quei problemi che sembrano insolvibili. Noi abbiamo ricordato, pochi giorni fa, in quest'Aula, la drammatica esperienza di Srebrenica: 25 anni fa i Balcani bruciavano e sembrava una situazione insanabile. È stato il mantenimento di un sistema di alleanze fra l'Italia, l'Europa e gli Stati Uniti, nell'ambito dell'Alleanza atlantica, che ha consentito quella risoluzione ed è stato grazie alla presenza dell'Italia in quel teatro che è stato possibile, oggi, parlare, dopo 25 anni, di un'azione politica di pace, non soltanto di una declamazione.
Rientra anche in questo quadro, signor Presidente, e mi avvio alla conclusione, la questione più dibattuta che è quella della Libia. Stiamo ai fatti: i fatti ci parlano di un impegno del Governo che noi riteniamo debba essere ancora più forte, ancora più strutturato, ancora più in relazione con il Parlamento e i gruppi parlamentari per la modifica del Memorandum, entro il 31 dicembre di quest'anno; i fatti ci dicono di un impegno serio dell'Italia per lo sminamento dell'area di Tripoli; i fatti ci dicono della missione IRINI che consentirà una evoluzione positiva che va anche nella direzione di risolvere i problemi che qui sono stati evocati, perché la politica riformista va per approssimazioni successive, non per declamazioni stentoree e retoriche; i fatti ci dicono che l'Italia è impegnata per impedire quel mercato delle armi che ha sostenuto la grave crisi libica e alla quale il nostro Paese non ha partecipato.
Certo, noi abbiamo rispetto per le posizioni di dissenso e di distinguo, perché, come dicevo in precedenza, nessuno ha la verità rivelata e dobbiamo ascoltarci per trovare insieme dei punti di caduta in un quadro di evoluzione positiva e credo, proprio per le ragioni che sono state evocate da chi mi ha preceduto, che non bisogna prestarsi a operazioni di piccolo cabotaggio politico di cui purtroppo la politica italiana è piena, su questi temi, perché altrimenti sarebbe fin troppo facile per noi ricordare al collega che mi ha preceduto che anche su quel versante vi sono contraddizioni palesi sul piano della politica internazionale, se è vero, come è vero, che le parole che abbiamo ascoltato qui ieri dall'onorevole Brunetta sulla Germania sono profondamente diverse da quelle della presidente Meloni. Ma lasciamo questo tema ad altre discussioni; la sicurezza del Paese è una questione molto importante sulla quale noi riteniamo non si debba assolutamente scendere sul piano della politique politicienne.
Da ultimo e non certo in ordine di importanza, Presidente, mi sento in dovere di esprimere il più sentito ringraziamento a tutti gli uomini e le donne delle nostre Forze armate che sono impegnate nel territorio nazionale e internazionale per dare un significativo contributo per contrastare le tante difficoltà dovute alla pandemia e a quelli impegnati in modo eccellente nei teatri di guerra con grande senso dello Stato e affrontando rischi, fatiche e disagi per impegni tanto gravosi quanto delicati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, anzi, concludo con una frase; esattamente sessant'anni fa, come ieri, un giovane democratico concludeva la convenzione che lo avrebbe candidato alla Presidenza degli Stati Uniti d'America, si chiamava John Fitzgerald Kennedy, e concludeva quell'intervento con parole che valgono per noi anche oggi, perché diceva: io credo che i tempi richiedano fantasia, coraggio e perseveranza. Parlava di coraggio, Kennedy, non di compiacenza, diceva che era il bisogno di allora, ma è anche il nostro bisogno di oggi; parlava di leadership e non di arte di vendere. Ecco, noi crediamo che fantasia, coraggio e perseveranza siano la leadership italiana che deve continuare per esprimere quella pace e quella giustizia che è scolpita nella nostra Costituzione.