Relatore
Data: 
Lunedì, 17 Luglio, 2017
Nome: 
Davide Baruffi

Doc. XXII-bis, n. 9

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, le risultanze e le proposte che presentiamo oggi in Aula sono il frutto di una lunga e approfondita indagine che la Commissione d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria ha condotto specificamente nell'ambito del web dal 15 di ottobre del 2015 al 23 marzo di quest'anno, approdando ad una relazione piuttosto corposa approvata all'unanimità dalla Commissione stessa e che propongo sia assunta come parte integrante della risoluzione conclusiva, che depositerò oggi per il voto finale dell'Aula al termine della discussione.

Un anno e mezzo di lavoro, dunque, intenso ed approfondito che ha potuto giovarsi del contributo di conoscenze forniteci da tutti gli auditi: esperti del settore, nonché consulenti della Commissione, forze di Polizia e, in particolare, la Guardia di finanza, la Polizia postale, la magistratura e le agenzie - penso, in particolare, all'Agcom e all'AGCI -, i Ministeri, le autorità internazionali, la Commissione europea e, soprattutto, le associazioni di rappresentanza dei diversi portatori di interesse coinvolti nel settore. Li ringrazio tutti, perché senza questo enorme patrimonio di conoscenze non sarebbe stato possibile comporre un quadro adeguato di un fenomeno così complesso e in costante, quanto rapida, espansione ed evoluzione.

La contraffazione via web è, infatti, sempre più rilevante per la crescita esponenziale delle transazioni commerciali in quanto tali attraverso la Rete, di cui ciascuno di noi può avere idea anche solo considerando i cambiamenti individuali e collettivi intervenuti nella nostra vita, in quella delle nostre famiglie, nelle nostre abitudini di acquisto davvero in pochissimo tempo.

La contraffazione e la pirateria di merci e prodotti ha seguito esattamente questa tendenza generale, spostandosi, quindi, dal mercato fisico tradizionale a quello virtuale della Rete e dai mercati locali e nazionali a quelli internazionali, che sono la dimensione propria del web per definizione.

Già questa prima ed evidente empirica constatazione implica due prime considerazioni possibili. La prima: ad un fenomeno globale, in questo caso - vorrei dire anche in questo caso -, non corrisponde alcuno strumento di governance e regolazione globale. Solo la normativa e le prassi giurisprudenziali degli Stati Uniti svolgono, in qualche modo, un ruolo di supplenza in questo senso rispetto agli attori del mercato.

La seconda considerazione è che, se la dimensione comunitaria è stata opportunamente scelta dagli Stati membri come quella più adeguata per regolare il settore, dobbiamo riconoscere da subito come la direttiva sull'e-commerce risulta incredibilmente datata - si pensi che risale al 2000 - per un ambito in cui l'innovazione, dicevo, è così impetuosa. La stessa definizione del Digital single market non ha prodotto, ad oggi, risposte complessivamente apprezzabili per la tutela dei produttori in particolare in questo ambito.

Avendo a disposizione poco tempo, Presidente, più che sulla parte dell'analisi e dell'elencazione pedante delle tante criticità rilevate, vorrei soffermarmi sulle considerazioni finali che abbiamo svolto nell'indagine e le proposte che la nostra Commissione avanza a conclusione, a beneficio certamente del Parlamento, del Governo, della Commissione europea - quindi, dei legislatori e del Governo - proprio per offrire spunti per una risposta ai problemi riscontrati.

La prima questione è questa: resta pressante e decisivo il bisogno di una corretta informazione e sensibilizzazione del consumatore, in generale, e in Rete, in particolare, non solo per i rischi più diretti cui è esposto rispetto a merci contraffatte: si pensi alla salute rispetto all'acquisto dei farmaci, se ne parlava anche prima, o ai prodotti tossici, piuttosto che alla truffa di acquistare prodotti scadenti, non funzionanti e, comunque, non corrispondenti alle intenzioni dell'acquirente.

Mi riferisco anche, invece, alla scarsa percezione e considerazione che ha l'acquisto di prodotti contraffatti e piratati in termini di legalità, agli effetti sociali ed economici rispetto alla vita dell'impresa e alla tutela dei diritti del lavoro e dell'ambiente, ai riflessi fiscali che questo comporta per i Paesi eccetera. Tutte le indagini confermano questa percezione edulcorata, soprattutto nelle generazioni più giovani. Resta obiettivo prioritario, quindi, accrescere questa consapevolezza di responsabilità sociale, nonché di autotutela personale del consumatore, senza le quali sarà davvero difficile compiere passi avanti apprezzabili nella lotta alla contraffazione in rete.

In secondo luogo, per entrare nel cuore delle questioni: una risposta imprescindibile deve venire anche dall'adeguamento dei profili di responsabilità dei provider, delle piattaforme. La normativa comunitaria, e non solo, ha giustamente puntato nel tempo ad una forte espansione della rete e del mercato elettronico e, tra gli strumenti a suo tempo individuati, che valgono tutt'oggi, c'è quello dell'irresponsabilità dell'hosting per i contenuti veicolati, non solo per la contraffazione, di cui ci occupiamo oggi, peraltro.

Questa attività nel tempo è tuttavia profondamente mutata: i servizi messi in campo oggi dalle diverse piattaforme erano un tempo impensabili. La diversificazione dei cosiddetti ASP e delle loro attività risulta ora distante anni luce da quella definita nella direttiva n. 31 del 2000, cui facevo riferimento.

La giurisprudenza, poi, attraverso sentenze, ha fatto intanto alcuni passi avanti, individuando nuovi e più aggiornati e attinenti profili di responsabilità. D'altro canto, gli accordi volontari tra piattaforme e aziende hanno definito nuove modalità di intervento collaborativo. Ma la normativa comunitaria e anche quella di recepimento nazionale sono da troppo tempo ferme, e quindi obsolete, se si esclude la positiva introduzione naturalmente del regolamento dell'Agcom del 2003 in materia di tutela del diritto d'autore nel web. Urge quindi un aggiornamento alla realtà.

Vado al punto: è indispensabile che, anche grazie alle tecnologie oggi disponibili - non lo erano 17 anni fa -, già sperimentate per altri profili di illeciti di più rilevante impatto sociale, senz'altro, si passi dal cosiddetto take down a pratiche più efficaci di cosiddetto stay down. Si chiede cioè, in buona sostanza, che le piattaforme non si limitino a rimuovere contenuti illeciti su segnalazione, ma che si facciano parte attiva, quindi più responsabile, perché tali contenuti non siano più ricaricati, come invece sistematicamente avviene.

Voglio ricordare anche che le nostre imprese lamentano la ricezione della richiamata direttiva in termini limitativi e, a loro giudizio, discutibili, attraverso il decreto legislativo n. 70 del 2003. Per l'Italia - ma così non avviene per altri Paesi - è necessario che sia la magistratura, o per fortuna oggi un'autorità amministrativa, a ordinare la rimozione del contenuto. Questo comprime ulteriormente il già bassissimo profilo di responsabilità delle piattaforme.

Sia detto chiaramente: c'è la preoccupazione da più parti che si possa direttamente o indirettamente limitare la libertà di espressione dei cittadini e delle persone. È un dibattito non nuovo, cui abbiamo assistito a più riprese, ad esempio, nel momento in cui fu introdotto il regolamento dell'Agcom a cui facevo riferimento.

Voglio rilevare due cose: dopo quattro anni dall'introduzione di quel regolamento, possiamo dire che quelle preoccupazioni, pur legittime, si sono rivelate infondate e, oggi - mi pare a parere di tutti -, quel regolamento è considerato per quello che è, cioè uno strumento di contrasto alla pirateria, che peraltro ha restituito - bisogna riconoscerlo - credibilità e affidabilità del nostro Paese agli occhi dei mercati.

La seconda considerazione è più generale: nei Paesi dove la direttiva è stata recepita in modo più lineare e fedele al dettato della Commissione, non abbiamo assistito ad alcuna compressione delle libertà dei cittadini, se si escludono quelli dediti alla frode, a meno che qualcuno non pensi e non dica che in Italia c'è più libertà di espressione di quanto non avvenga nel Regno Unito, in Francia o in Germania.

Sono però dell'idea che non basti una rassicurazione formale o comparativa, per questo credo che vada individuato un complesso di correttivi - magari, nell'attesa di una revisione più complessiva della direttiva comunitaria di riferimento, che resta per me la questione decisiva -, un complesso di interventi, che contemperino adeguatamente i diversi obiettivi, ad esempio rafforzando, in taluni casi, la possibilità di intervento tempestivo dell'Agcom o, laddove questa o la magistratura si sia già pronunciata in via definitiva, perché le piattaforme siano responsabilizzate maggiormente in termini di stay down, o infine affinché, nei casi di palese violazione, le piattaforme si attivino su segnalazione diretta, senza attendere le disposizioni dell'autorità amministrativa o di quella giudiziaria.

La relazione non indica così puntualmente questi possibili correttivi dal punto di vista normativo, ma già da oggi, con la discussione della legge comunitaria, il Parlamento potrebbe - io credo che dovrebbe - dare alcune risposte concrete in questa direzione, nel caso, specificando bene che l'ambito di applicazione è quello del contrasto alla contraffazione e alla pirateria, per fugare ogni ragionevole dubbio e anche per togliere ogni ragionevole alibi.

Ancora, come ho peraltro ricordato, abbiamo assistito ad un positivo ampliamento degli accordi su base volontaria tra le parti, sia in sede nazionale che in sede comunitaria. È proprio sulla strada tracciata da questi che andrebbe implementata una legislazione di sostegno che assuma quanto di buono è stato fatto dai soggetti virtuosi. Taluni di questi sono virtuosi proprio perché mettono a valore il proprio profilo reputazionale, che ha anche un impatto diretto economico, rispetto invece a chi lucra in modo fraudolento danneggiando le imprese sane e il lavoro.

Merita appena di essere ricordato che un Paese come il nostro, fatto di tante piccole e medie imprese che dell'ingegno e della creatività fanno il proprio marchio distintivo, risulta sistematicamente esposto ai rischi di contraffazione in sede internazionale. Sul web si acquista tutto e di tutto e abbiamo ben visto come non sempre le autorità di polizia e doganali prestino in altri Paesi analoga attenzione rispetto ai loro omologhi italiani: una ragione in più per rafforzare i controlli a monte, non solo a valle, e tra questi - ne individuiamo diversi - voglio citare il cosiddetto approccio del followthemoney. Anche qui in sintesi: bloccare i pagamenti online di merci contraffatte è una leva molto più potente di contrasto che non rincorrere le merci in giro per il globo; è un altro esempio di buona pratica nata sulla base di accordi volontari e che potrebbe anch'essa trovare una cornice normativa più stringente.

Analogamente, la responsabilizzazione dei concessionari di pubblicità: è attraverso quest'ultima che si remunera molta dell'offerta presente sul web, sia quella legale sia naturalmente quella illegale. Spesso gli inserzionisti singoli non sanno neppure dove e come sarà impiegata la loro inserzione. Anche in questo caso, accordi di reciproca garanzia e trasparenza costituiscono oggi pratiche positive da cui è possibile trarre spunto per regole più efficaci.

Altri profili di un certo interesse ai fini dell'indagine condotta, ancorché non tutti afferenti alla potestà regolamentare, nazionale o comunitaria, riguardano proprio la diffusione legale gratuita di prodotti audio-video attraverso il finanziamento pubblicitario che richiamavo. Si tratta di un modo assolutamente positivo di sradicare a monte la pirateria, con beneficio di tutte le parti interessate, prevenendo gran parte del possibile contenzioso a valle.

La questione si inserisce tuttavia nella più ampia e controversa diatriba sul cosiddetto value gap, ovvero la distribuzione della ricchezza nella filiera del web a partire dagli asimmetrici rapporti di forza tra produttori giganti della rete. Le aziende stanno opponendo alla politica questo problema non tanto e non solo perché siano ravvisabili soluzioni immediate, dirette e sempre legittime in materia, quanto perché il decisore politico ne tenga in debito conto nel quadro più complessivo della regolazione del mercato nella definizione delle tutele e del soggetto cui porre in carico gli obblighi e i relativi oneri, taluni dei quali, al contrario, risultano oggi piuttosto obsoleti, proprio ad opinione dei soggetti tutelati o tutelandi.

Voglio fare anche questo riferimento molto puntuale. Si pensi al cosiddetto bollino SIAE, l'etichetta adesiva di autenticazione e garanzia per l'identificazione dei prodotti d'ingegno su supporti fisici audio-video: è stato concepito in un tempo in cui la rete non esisteva e la pirateria si praticava sui prodotti fisici, non su supporti fisici.

Oggi, invece, appare ai diretti interessati, cioè a coloro che dovrebbe tutelare, più come un inutile e fastidioso balzello che non come una garanzia a loro protezione, anzitutto perché la pirateria, come ho detto, sulla rete ha superato di gran lunga quella fisica anche nel nostro Paese, e concludo, Presidente. In secondo luogo, perché aggrava di un costo solo la seconda, mettendola in ulteriore difficoltà nel mercato rispetto ai prodotti elettronici. Infine, perché in tutta Europa tale disposizione permane ormai quasi solo nel nostro Paese. Credo che anche su questo fronte Governo e Parlamento potrebbero dare una risposta di sintonizzazione con le mutate condizioni di mercato.

Concludo davvero, Presidente: la presente relazione, come ho a più riprese richiamato, chiama in causa diversi livelli di risposta possibile: quella comunitaria e internazionale è inevitabilmente la più rilevante, e un'apposita indagine in tal senso, non limitata all'ambito del web, è tuttora in corso presso la nostra Commissione. Anche l'ambito nazionale non è, tuttavia, marginale per i diversi profili che ho provato a richiamare. Piccole e grandi scelte che Governo e Parlamento potrebbero adottare a tutela e promozione… delle nostre imprese - ho finito, Presidente -, peraltro senza oneri finanziari per la collettività e le casse dello Stato. In Commissione, stando al merito dei problemi e approfondendo le questioni posteci dagli auditi, abbiamo potuto raggiungere un consenso unanime sull'impianto generale dell'indagine e le sue conclusioni più operative. Auspico che altrettanto potrà fare ora l'Assemblea di Montecitorio e, soprattutto, che se ne possano far discendere iniziative concrete da parte di Governo e Parlamento in sede legislativa e regolamentare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).