Data: 
Martedì, 7 Luglio, 2015
Nome: 
Roberto Rampi

A.C. 2994-B

 

Signor Presidente, signora ministra, signori colleghi, questa sera di luglio pensando a questo intervento non ho potuto non tornare a quando sono entrato per la prima volta in questa Aula e ho pensato se potevo portare insieme ai colleghi un piccolo contributo che lasciasse un segno nella storia di questo Paese, perché quando si entra qua dentro bisogna unire umiltà e ambizione, altrimenti non ha senso provare a fare questo mestiere. Ho conosciuto nella Commissione cultura della Camera dei deputati dei colleghi e delle colleghe, che sono qua vicino a me, che nella scuola hanno veramente messo in gioco tutta la loro vita e che hanno sognato qualche anno fa, con quella riforma della scuola e dell'autonomia che Luigi Berlinguer ha voluto portare avanti fermandosi poi un po’ a metà, e sono cresciute professionalmente pensando davvero di cambiare il modello educativo del nostro Paese, di ereditare una scuola nazionale, una scuola delle élite, una scuola – uso una vecchia parola – un po’ classista e molto teorica e di trasformarla in una scuola delle competenze, in una scuola che provasse il più possibile ad avvicinarsi ad ogni alunno e a dare ad ogni alunno ciò di cui aveva bisogno. 
Vede Presidente, questo è un dibattito che si è fatto poco in queste lunghe, a mio parere, discussioni, ma la percezione del tempo a volte è diversa in ognuno di noi. In fondo noi stiamo riflettendo di scuola, e io credo che questo sia un grande risultato, da quasi un anno, perché di questa legge si è iniziato a parlare, anche pubblicamente, nell'agosto scorso. Dai contenuti, dalle discussioni, quei colleghi e quelle colleghe che citavo li ricordo, ci trovavamo ad essere riuniti in una sala per iniziare a mettere insieme i primi ragionamenti. Ebbene, nell'autunno scorso li abbiamo portati in tante città, in tante scuole, in tanti circoli, del PD nel nostro caso, perché noi apparteniamo al Partito Democratico, ma credo che la stessa cosa l'abbiano fatta altre forze di maggioranza, Scelta civica, Area Popolare per l'Italia ad esempio. Dentro questo ragionamento, dentro questo percorso, abbiamo provato a disegnare con la concretezza una inversione di rotta, perché di questo si tratta. Io credo che la scelta di investire le risorse a disposizione del Governo, che non sono infinite, anzi sono finite e sappiamo appartengono ad un'epoca particolarmente scarsa e avara di risorse, proprio nella scuola e non altrove io credo sia il segno che più di altri connota a sinistra, nel campo del centrosinistra l'azione di questo Governo. Ce lo diranno però i voti che avremo tra pochi giorni. Ecco questo forse è uno dei pochi dati oggettivi, perché questa riforma la destra non la voterà e quindi chi dice che questa riforma è di destra in qualche modo deve prendere atto di un dato di cronaca: non la voterà Forza Italia, non la voteranno Fratelli d'Italia, che abbiamo sentito intervenire e che la combattono duramente, non la voterà il MoVimento 5 Stelle, che quando è entrato in questa Aula voleva sedersi in maniera trasversale e però poi al Parlamento europeo una scelta di campo l'ha dovuta fare. È il campo delle destre, destre plurali e guardi Presidente, lo dico con grande rispetto, perché io credo nel pluralismo politico e credo che tutti i campi abbiano la loro dignità e la loro azione, ma queste forze non la voteranno. E non la voterà una forza indubbiamente di sinistra come Sinistra Ecologia e Libertà e anche alcuni colleghi deputati che sono entrati in questa Aula con il Partito Democratico e hanno fatto scelte diverse. Io non credo che questo sia un dramma, credo che nella storia della sinistra italiana vi siano da sempre connotazioni differenti. 
Credo che se noi avessimo provato a concentrare questo dibattito nel suo cuore, che è quello della scuola dell'autonomia e della nostra capacità o meno di provare a dare gli strumenti concreti, reali e possibili per realizzare la scuola dell'autonomia, quella appunto della riforma Berlinguer di cui parlavamo prima, avremmo capito che su questo ci dividiamo perché non è stato detto qui in maniera esplicita ma ascoltando lungo questi mesi in maniera sistematica i veri nodi su cui noi ci confrontiamo. 
Io credo che il nodo sia quello: c’è un'idea di una scuola nazionale, universale che deve essere uguale per tutti e che pensa che nello stesso momento, alla stessa ora, si realizza la stessa lezione con la stessa materia, con lo stesso contenuto, decisa centralmente, in ogni parte d'Italia, indipendentemente dagli studenti che abbiamo davanti, indipendentemente dal luogo in cui questa scuola è collocata, indipendentemente dalle relazioni con quel territorio; e c’è una scuola, quella appunto iniziata con quella riforma, che pensa che per raggiungere un obiettivo universale, che è quello della crescita individuale, che è quello dell'introduzione della mobilità sociale, che è innanzitutto culturale nei cittadini, deve tendere a realizzare una scuola, se possibile, diversa per ogni alunno. E per realizzare questa scuola diversa per ogni alunno, per dare a ciascuno quello di cui ha realmente bisogno, crede di realizzarla nell'autonomia. Crede nella possibilità, nella capacità che la comunità educante, che è la comunità che si crea attorno alle nostre scuole, quella comunità che è fatta di docenti, di genitori, di studenti, anche quelli più piccoli possono essere coinvolti nel progettare la loro scuola – esistono dei progetti straordinari, sperimentali che ho imparato in questo anno da alcuni miei colleghi – e, soprattutto quelli più grandi, quelli che hanno già una capacità attiva di partecipare all'elaborazione pedagogica; e poi esiste la comunità più larga: il villaggio, la città, il paese che sta attorno a loro, le realtà produttive. Tutte queste realtà possono in qualche modo contribuire a costruire quella scuola. Come si fa a realizzare questo. Innanzitutto, c’è voluta un'inversione di tendenza nelle risorse. Qui, noi crediamo, sia stata fatta la scelta più importante: nel passato ci sono stati tagli, 8 miliardi di tagli, 85 mila posti tagliati. Oggi ci sono gli investimenti: 3 miliardi che andranno a regime; un miliardo nell'anno che rimane; le risorse per l'edilizia scolastica – su questo poi vorrei dire un'ultima questione – e poi i famosi 160 mila posti. Alcuni dicono stabilizzazioni, alcuni dicono docenti che c'erano già, alcuni dicono meno di quelli di cui ci sarebbe bisogno. Discutiamone, quello che è certo è che noi dal 1o di settembre avremo circa 48 mila insegnanti che stabilmente dal primo giorno di lavoro staranno con i loro studenti. Questa è una differenza significativa. Quante volte abbiamo detto che la continuità didattica fa la differenza. Quante volte abbiamo detto, nell'esperienza quotidiana della scuola, che cambiare due-tre volte durante l'anno insegnante è uno dei danni maggiori che produce espulsione dalla scuola e che colpisce soprattutto gli studenti che hanno più difficoltà, quelli che hanno meno risorse familiari, hanno meno capacità di reagire a questa perdita che è rappresentata dal continuo cambio di insegnante. 
Poi ci saranno i 52 mila che, per la scelta che ha fatto il Senato, entreranno formalmente dal 1o settembre ma in realtà in cattedra durante l'anno. Quindi, dando a questo anno, a questa più scelta più significativa che ha fatto il Senato, che io condivido, un anno di organizzazione, di sperimentazione, di verifica e di attuazione (anche su questo vorrei dire un'ultima cosa). E poi ci sarà finalmente il concorso dei 60 mila; un concorso che noi riteniamo dovrà essere fatto in maniera innovativa, tentando di fare tesoro di tutto quello che quelle persone, che pensiamo di andare ad assumere definitivamente, in questi anni di insegnamento, di abilitazione, hanno costruito nel loro percorso, perché non arrivano dal nulla, arrivano alcuni da un lungo cammino nella scuola e verso la scuola. Tutto questo è un lavoro articolato, complesso e noi crediamo che l'inizio di questo percorso sia quello che avverrà domani, dopodomani, nelle prossime ore. Io non credo che quello che va in scena in quest'aula sia un epilogo. Io credo che quello che va in scena in quest'aula sia un inizio, l'inizio di un cambiamento nella scuola, l'inizio di un'inversione di tendenza. 
Ma quando dico «inizio» dico anche la chiamata, per tutti noi, a lavorare molto nei prossimi mesi con la scuola, a provare a ricostruire le fratture, a sanare le ferite, a provare a dimostrare che le paure... le paure sono sempre legittime, perché le paure fanno parte della vita e fa parte della natura umana avere paura e, in particolare, avere paura di quello che non si conosce. Però, la capacità, in particolare della politica, è di ascoltare le paure e di provare a dare una mano a superare le paure. 
Noi in questi mesi, tutti noi, siamo stati tante volte in dialogo con tanti insegnanti. A me l'ultima volta è capitata ieri sera, attorno alle 23. Ero a una festa democratica, ero lì con due insegnanti e parlavamo di quello che avremmo detto questa sera e di quello che avremmo fatto in queste ore. Ci sono tante informazioni diverse che sono girate in questi mesi. Gli insegnanti non si devono guardare da lontano ma si deve provare ad andarci a parlare, a guardarli negli occhi. Questo ci è capitato di farlo recentemente nella manifestazione del Pantheon, ma ci è capitato tante volte di farlo in questi mesi. Ebbene, ci si accorge che molti di loro conoscono bene quanto è stato scritto su questa riforma, hanno delle esigenze precise, anche di natura salariale, che sono sacrosante, perché sappiamo qual è la condizione degli insegnanti in Italia. 
Ma non è vero quello che viene raccontato, cioè che gli insegnanti italiani sono contro questa riforma, anche perché dentro quest'Aula almeno dovremmo imparare tutti a dirci che esistono le opinioni diverse e che negli insegnanti italiani, come in ognuno di noi, nessuno ha una certezza, nessuno porta in tasca la verità e ci sono una pluralità di posizioni. Ci sono degli insegnanti che hanno scioperato che noi guardiamo non solo con rispetto ma anche con una certa ammirazione, perché chi combatte per le sue idee, per le sue convinzioni, non può sempre che essere guardato con simpatia. Però, ci sono insegnanti che hanno scioperato – e ce lo hanno detto – perché ritenevano giusto migliorare alcuni punti della riforma; ce ne sono altri che hanno scioperato perché non condividevano niente e ce ne sono molti altri che hanno scioperato perché ritenevano che per loro il punto fondamentale fosse quello di riaprire una contrattazione sindacale (e questo è poi quello che il sindacato deve fare, è quello il suo compito). 
Noi, invece, dobbiamo fare i legislatori, dobbiamo provare ad essere classe dirigente e a dare gli strumenti normativi per attuare, finalmente, appunto quella scuola dell'autonomia. Allora, è questo percorso di accompagnamento che noi andremo a costruire e nei prossimi mesi noi dovremo avere anche la capacità di farlo. Io credo che avremo questa capacità, perché ho conosciuto personalmente chi, appunto, dopo avere dedicato la vita alla scuola, nella scuola, sui banchi di scuola, nei diversi ruoli della scuola ha portato avanti questa riforma. Noi dovremo avere la capacità di ascoltare il ritorno delle norme che avremo creato, di seguire con attenzione i decreti attuativi, di seguire con attenzione le deleghe importanti che sono contenute in queste norme di legge e di provare ad accompagnare questa realizzazione per fare in modo che funzioni nel modo migliore. 
Se tutto questo è vero – ed è chiaro che ognuno di noi uscirà da qui probabilmente con le proprie convinzioni – io penso che però il tempo, come si dice, sarà galantuomo e noi ci rincontreremo nei prossimi anni, ci rincontreremo con quegli insegnanti e ci incontreremo soprattutto con quei bambini che, diventati grandi, avranno provato a vivere in una scuola diversa, magari in una scuola in cui ci sono meno ragazzini in una classe di quelli che ci sono oggi, magari in una scuola diversa anche come struttura. 
Avevo detto che volevo tornare solo un momento, Presidente, sull'edilizia scolastica per dire questo: noi certo dobbiamo riparare le scuole italiane, dobbiamo intervenire sull'emergenza; però, dobbiamo anche iniziare – e nel provvedimento questo è contenuto – a pensare anche a delle scuole nuove, fatte in maniera differente, perché la didattica frontale è superata, perché le scuole come edifici disegnano anche il modello di società e di scuola che tu vuoi realizzare e le scuole che conosciamo noi, che sono molto spesso il primo impatto con lo Stato che un bambino ha, non sono sicuramente un segno del futuro e dell'avvenire. 
Io ci pensavo in questo fine settimana: anni fa, negli anni Quaranta, negli anni Trenta, negli anni Cinquanta, una famiglia povera, un bambino di una famiglia povera viveva in una casa umile, dove c'erano magari due stanze in cui si viveva tutti, dove non c'era il bagno in casa e quando andava a scuola andava in un luogo molto migliore di quello da cui usciva al mattino. Oggi molto spesso i nostri ragazzi, quando vanno a scuola, vanno in un luogo molto peggiore rispetto a quello da cui escono di casa al mattino. 
Questo è un grande problema, perché anche il luogo in cui tu entri, anche l'edificio in cui tu entri, costruisce una parte del fascino e dell'idea di futuro che tu vuoi creare. Allora, vado a concludere, Presidente, dicendo questo: questo Paese ha affrontato negli ultimi anni tante delusioni e la politica ha dato a questo Paese molte delusioni. Io credo che parte del problema che noi abbiamo da affrontare sia questo: ci sono troppe persone che ormai non ci credono più. Io rispetto tutti coloro che credono alle loro idee, ho grande ammirazione per chi in questa Aula la pensa diversamente da me e combatte contro questa norma perché ci crede veramente, se il suo pensiero è autentico, se non è soffiare sul fuoco della protesta solo per utilizzare un facile consenso. Noi crediamo profondamente al nostro progetto educativo che con questa legge inizia a realizzarsi e l'impegno del Partito Democratico, in particolare, e di questa maggioranza di Governo sarà quello di andare fino in fondo insieme agli insegnanti, insieme agli studenti, insieme ai genitori, per realizzare una scuola nuova dell'autonomia, che accompagni i ragazzi, che li aiuti ad essere sempre più cittadini e uomini del futuro e migliori.