05/04/2019
Fausto Raciti
Orfini, Rizzo Nervo, Annibali, Mancini, Navarra, Frailis, Carla Cantone, Cardinale, Carnevali, Bazoli, Carè, Miceli, Schirò, Rotta, Gribaudo, Noja, Gadda, Zan, Morassut, De Filippo, Ubaldo Pagano, Anzaldi, Prestipino, Verini, Pellicani, Rossi, Marco Di Maio, Braga, Madia, Lepri, Gavino Manca
2-00342

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   il 2 aprile 2019 il servizio Alarm Phone ha dato notizia di aver ricevuto la sera precedente una chiamata da un'imbarcazione vicino alle coste libiche con a bordo circa 50 persone tra cui donne e bambini e che la comunicazione si è interrotta dopo l'invio della posizione Gps; Alarm Phone ha affermato di aver più volte tentato di segnalare la posizione dell'imbarcazione alla guardia costiera libica senza riuscirci e di aver successivamente contattato il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) di Roma;

   il 2 aprile la Guardia costiera italiana avrebbe chiarito, come si apprende dalle agenzie di stampa, che «Watch the Med – Alarm Phone ha segnalato alla Centrale Operativa della Guardia Costiera italiana, la probabile partenza, nella serata di ieri, di un barcone dalla Libia con circa 50 persone a bordo. Veniva inoltre riferita la probabile posizione dell'unità, a nord di Zwara, ancora all'interno delle acque territoriali libiche» ed «essendo la posizione segnalata all'interno dell'area Sar di responsabilità libica, ha immediatamente inoltrato le informazioni ricevute alla Guardia Costiera libica, che ha assicurato l'avvenuta ricezione degli elementi forniti, per le successive azioni di competenza»; lo stesso giorno il portavoce della Marina libica, l'ammiraglio Ayob Amr Ghasem, ha dichiarato all'ANSA che la Guardia Costiera libica non è intervenuta alla ricerca del gommone, perché la segnalazione ricevuta risultava «incompleta» e di aver chiesto alle piattaforme petrolifere presenti nell'area di «seguire la situazione, inviare loro rimorchiatori e fare il necessario»;

   risulta evidente che in una situazione di emergenza in mare la richiesta di aiuto possa essere lanciata anche in modo incompleto e decidere di non intervenire comporta l'altissimo rischio di mettere seriamente a rischio la vita di chi ha chiesto aiuto;

   ad oggi non risulterebbe esservi traccia dell'imbarcazione dispersa, come dimostrano le ricerche compiute senza alcun risultato nella zona segnalata dalla nave Alan Kurdi della Ong Sea Eye;

   la Marina e la Guardia costiera libica, come si apprende da media locali, avrebbero intimato alle Ong di non entrare nelle loro acque territoriali e di non intervenire vicino alle loro coste;

   la missione Sophia è stata ridotta al solo pattugliamento aereo con il ritiro delle navi;

   pochi giorni fa, l'Oim – l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, presente in Libia per assistere i migranti – ha dichiarato che la Libia non può essere considerata un porto sicuro e che la stessa organizzazione non può garantire la protezione dei migranti che spesso vengono trasferiti in centri di detenzione nei quali le condizioni sono «inaccettabili e inumane» e «la detenzione di uomini, donne e bambini è arbitraria»;

   l'Onu ha pubblicato nel mese di dicembre 2018 un documento a cura dell'Unsmil e dell'Uhchr nel quale si denunciano gravi violazioni, atrocità e abusi commessi in Libia «dai funzionari pubblici, dai miliziani che fanno parte di gruppi armati e dai trafficanti»;

   si tratta di un rapporto nel quale si descrivono gli «orrori inimmaginabili» che migranti rifugiati patiscono in Libia, tra torture, detenzioni arbitrarie, stupri, schiavitù e lavori forzati; solamente pochi giorni fa, il segretario generale aggiunto dell'Onu per i diritti umani, Andrew Gilmour, ha ribadito ancora una volta che «i migranti vengono sottoposti a orrori inimmaginabili dal momento in cui entrano in Libia»;

   in una dichiarazione del 29 marzo 2019 la portavoce della Commissione europea responsabile per la migrazione, Natasha Bertaud, ha ribadito che «la Commissione ha sempre detto che al momento in Libia non ci sono le condizioni di sicurezza» e che «tutte le imbarcazioni che battono bandiera Ue non possono fare sbarchi in Libia». «Come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – ha affermato testualmente la portavoce – un luogo di sicurezza è un luogo in cui la sicurezza della vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove i bisogni umani di base possono essere soddisfatti e possono essere presi accordi per il trasporto della destinazione successiva o finale delle persone soccorse. La Commissione ha sempre affermato di non ritenere che tali condizioni siano attualmente soddisfatte in Libia» –:

   se i Ministri interpellati, per quanto di competenza, abbiano avviato o intendano avviare iniziative per verificare cosa sia effettivamente accaduto all'imbarcazione dispersa nelle acque libiche e le ragioni che ne abbiano determinato il mancato soccorso, nonostante la richiesta di aiuto e se, alla luce delle documentate violazioni dei diritti umani in Libia, si intendano adottare iniziative per rivedere gli accordi vigenti con il Governo libico, al fine di assicurare che la collaborazione con il nostro Paese sia condizionata al rispetto dei diritti umani.

Seduta del 12 aprile 2019

Illustrazione e replica di Fausto Raciti risposta del governo di Carlo Sibilia Sottosegretario di Stato per l'Interno

Illustrazione

La ringrazio, Presidente. Il 2 aprile 2019 il servizio Alarm Phone ha dato notizia di aver ricevuto, la sera precedente, una chiamata da un'imbarcazione vicino alle coste libiche, con a bordo circa 50 persone, inclusi donne e bambini, e che la comunicazione è stat interrotta dopo il regolare avvenuto invio della posizione Gps. La stessa Alarm Phone ha affermato più volte di aver tentato di segnalare la posizione dell'imbarcazione alla Guardia costiera libica senza riuscirci e di aver successivamente contattato il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma.

A tal proposito, il 2 aprile la Guardia costiera italiana ha chiarito attraverso le agenzie di stampa - cito testualmente - che «Watch the Med – Alarm Phone ha segnalato alla Centrale Operativa della Guardia Costiera italiana la probabile partenza, nella serata di ieri, di un barcone dalla Libia con circa 50 persone a bordo». Aggiunge: «Veniva inoltre riferita la probabile posizione dell'unità, a nord di Zwara, ancora all'interno delle acque territoriali libiche» ed «essendo la posizione segnalata all'interno dell'area Sar di responsabilità libica, ha immediatamente inoltrato le informazioni ricevute alla Guardia Costiera libica, che ha assicurato l'avvenuta ricezione degli elementi forniti, per le successive azioni di competenza». Lo stesso giorno, il portavoce della Marina libica ha dichiarato all'ANSA che la Guardia Costiera libica non è intervenuta alla ricerca del gommone perché la segnalazione ricevuta risultava, a suo dire, «incompleta» e ha aggiunto di aver chiesto alle piattaforme petrolifere presenti nell'area di «seguire la situazione, inviare loro rimorchiatori e fare il necessario» per la salvezza di queste persone.

Credo che questa dichiarazione, aggiunta all'intimazione ad essa seguita alle organizzazioni non governative di non intervenire in acque libiche, possa essere sufficiente ad una condanna senza appello delle autorità libiche e degli accordi stipulati tra queste ultime e il Governo italiano.

Alla data di presentazione della nostra interpellanza, non c'era traccia dell'imbarcazione dispersa, come dimostrano, tra l'altro, le ricerche compiute senza successo dalla nave Alan Kurdi della ONG Sea Eye.

Come se non bastasse, la missione Sophia è stata ridotta al solo pattugliamento aereo con il ritiro delle navi e pochi giorni fa l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, presente in Libia, ha dichiarato che la Libia non può essere considerata un porto sicuro e che la stessa organizzazione non può garantire la protezione dei migranti, che spesso vengono trasferiti in centri di detenzione nei quali le condizioni sono «inaccettabili e inumane» e «la detenzione di uomini, donne e bambini è arbitraria».

L'ONU ha pubblicato, nel dicembre 2018, un documento a cura dell'UHCHR, nel quale si denunciano gravi violazioni, atrocità e abusi commessi in Libia «dai funzionari pubblici, dai miliziani che fanno parte di gruppi armati e dai trafficanti». Un rapporto nel quale si descrivono - cito testualmente - gli «orrori inimmaginabili» che migranti rifugiati patiscono in Libia, tra torture, detenzioni arbitrarie, stupri, schiavitù e lavori forzati. Il segretario generale aggiunto dell'ONU per i diritti umani, Andrew Gilmour, ha ribadito ancora una volta che «i migranti vengono sottoposti a orrori inimmaginabili dal momento in cui entrano in Libia».

In una dichiarazione del 29 marzo 2019, la portavoce della Commissione europea responsabile per la migrazione, Natasha Bertaud, ha ribadito che «la Commissione ha sempre detto che al momento in Libia non ci sono le condizioni di sicurezza» e che «tutte le imbarcazioni che battono bandiera UE non possono fare sbarchi in Libia». «Come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare» - ha detto la portavoce - «un luogo di sicurezza è un luogo in cui la sicurezza della vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove i bisogni umani di base possono essere soddisfatti e possono essere presi accordi per il trasporto della destinazione successiva o finale delle persone soccorse. La Commissione ha sempre affermato di non ritenere che tali condizioni siano attualmente soddisfatte in Libia».

Per queste ragioni, con questa interpellanza abbiamo chiesto: se il Governo abbia avviato delle iniziative per verificare cosa sia effettivamente accaduto all'imbarcazione dispersa e le ragioni che ne abbiano determinato il mancato soccorso.

In secondo luogo, alla luce delle documentate violazioni dei diritti umani in Libia e dell'attuale crisi che si è aggiunta intervenendo successivamente alla presentazione di questa interpellanza, anche se non certo a sorpresa, se il Governo intenda ritrattare gli accordi vigenti con il Governo libico, al fine di assicurare che la collaborazione nel nostro Paese sia condizionata all'effettivo rispetto dei diritti umani.

Risposta del governo

Grazie, Presidente. Signori deputati, i deputati interpellanti, nel richiamare l'episodio della segnalazione di Alarm phone di Watch the Med del 2 aprile scorso circa la presenza di un'imbarcazione con migranti a bordo in difficoltà nel tratto di mare prospiciente le coste libiche, chiedono al Governo di riferire sull'accaduto, nonché se intenda adottare iniziative per la revisione degli accordi vigenti con la Libia, con riguardo particolare al tema del rispetto dei diritti umani.

In relazione all'episodio oggetto dell'atto di sindacato ispettivo, riferisco all'Aula che, sulla base degli elementi informativi forniti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, abbiamo ricevuto tali informazioni: alle ore 5 del 2 aprile scorso, Alarm phone, il servizio telefonico per assistenza ai rifugiati in difficoltà nelle acque del Mar Mediterraneo, ha contattato il centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano riferendo della presenza di un'imbarcazione con circa 50 migranti a bordo in situazione di imminente pericolo di naufragio all'interno dell'area di ricerca e soccorso libica, a circa 14 miglia nautiche a nord di Zuara.

Ricevuta tale segnalazione e considerato che l'unità in difficoltà risultava all'interno dell'area di responsabilità Search and rescue region (SRR) della Libia, il predetto centro di coordinamento ha attivato tempestivamente i canali di comunicazione per informare le competenti autorità SAR libiche.

Alle ore 6,13 è stata acquisita conferma che l'autorità SAR libica fosse informata dell'evento e che aveva già intrapreso le iniziative di propria competenza. Nel corso di una successiva comunicazione alle ore 6,33, l'autorità SAR libica dava assicurazioni di aver intrapreso le azioni necessarie per acquisire maggiori elementi in merito all'evento segnalato, al fine di ottenere la conferma dell'esistenza di un'unità con migranti a bordo in situazione di imminente pericolo nella propria area di responsabilità.

Segnalo altresì che, nella mattina del successivo 3 aprile, la nave “Alan Kurdi”, battente bandiera tedesca e gestita dall'ONG tedesca Sea Eye, ha informato le autorità SAR libiche e, per conoscenza, i centri di coordinamento di Malta, Italia e Germania di aver ricevuto una chiamata di soccorso da parte di un'imbarcazione in difficoltà con 64 persone a bordo all'interno della SRR libica, a circa 17 miglia nautiche a nord di Zuara. L'imbarcazione in questione è stata successivamente individuata e soccorsa dalla stessa nave nel pomeriggio dello stesso giorno.

Pur non disponendosi di chiare evidenze al riguardo, appare possibile ipotizzare per il non dissimile numero di migranti a bordo - 50 persone nella segnalazione del 2 aprile, 64 quelle effettivamente soccorse il 3 aprile - e la posizione del rinvenimento - 14 miglia e 17 miglia a nord di Zuara - che il gommone soccorso dalla nave “Alan Kurdi” fosse la stessa unità oggetto della segnalazione del 2 aprile.

Per quanto riguarda, poi, il secondo aspetto evidenziato dai deputati interpellanti, cioè quello degli accordi vigenti tra Italia e Libia, evidenzio che la collaborazione bilaterale tra i due Paesi si fonda su due principali pilastri: il Trattato di amicizia partenariato e cooperazione del 30 agosto 2008 e il memorandum di intesa firmato dal Presidente del Consiglio pro tempore e dal Presidente del Consiglio presidenziale libico il 2 febbraio 2017.

In entrambi gli strumenti pattizi il tema del rispetto dei diritti umani era stato sviluppato con particolare attenzione. Nel Trattato del 2008, le parti, nel sottolineare la comune visione della centralità delle Nazioni Unite nel sistema di relazioni internazionali, si sono impegnate ad adempiere agli obblighi derivanti dai principi e dalle norme di diritto internazionale universalmente riconosciuti. Allo stesso modo, il memorandum ha previsto espressamente che le parti si impegnino ad interpretare e ad applicare l'intesa nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte.

Il nostro Paese ha, quindi, indirizzato negli ultimi anni ogni sforzo diplomatico e di sostegno tecnico per la stabilizzazione di un'area, quale quella libica, cruciale per gli equilibri politici del Mediterraneo e per il controllo dei flussi migratori ed il contrasto di quelli irregolari nel rispetto dei diritti umani. In tal senso, la presenza dell'OIM e dell'UNHCR in Libia, fortemente favorita dal nostro Paese, rappresenta uno strumento di osservazione e di garanzia del rispetto dei diritti fondamentali della persona.

È evidente, in conclusione, che gli ultimi sviluppi in Libia, con l'escalation militare in atto, non possono che essere motivo di forte preoccupazione per l'Italia, così come lo sono e devono esserlo per tutta l'Europa e per l'intera comunità internazionale. In tale quadro, come ha riferito appena ieri il Presidente del Consiglio a quest'Aula, la situazione libica impone un'accelerazione sul piano politico-diplomatico.

In tal senso, il Presidente Conte ha ribadito il pieno sostegno al Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres, al suo Rappresentante speciale, Salamé, per riportare le parti al tavolo negoziale e riattivare il processo politico guidato dalle Nazioni Unite.

Replica

Sì, Presidente, lo sono solo molto parzialmente. Io credo che su una vicenda di questo genere, anche se capisco che questa non è responsabilità immediata del Governo italiano, sia largamente insufficiente spiegare che appare possibile che sia stata la stessa imbarcazione ad essere stata salvata con i 64 a bordo dalla “Alan Kurdi”. In queste cose, sarebbe legittimo aspettarsi un ragionevole margine di certezza, perché stiamo discutendo della vita di cinquanta persone.

Vorrei fare presente al Governo che, al netto della vicenda che ha investito con episodi di guerra civile, nel corso di questi giorni, la Libia, ma che ha visto, negli ultimi mesi, maturare tutti i presupposti per gli avvenimenti delle ultime settimane, noi siamo però in presenza di alcuni dati certi. Il 28 giugno del 2018 viene notificata all'Organizzazione marittima delle Nazioni Unite l'esistenza di una SAR libica, con centro di coordinamento per le operazioni di salvataggio presso l'aeroporto di Tripoli. Il 2 luglio del 2018, Natasha Bertaud, portavoce della Commissione europea per le migrazioni dichiara che la Libia non è un porto sicuro. Il 5 settembre del 2018, l'Alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite, l'italiano Filippo Grandi, ha espresso la medesima posizione.

Secondo la Convenzione di Amburgo, le autorità di uno Stato costiero competente sulla zona di intervento in base agli accordi regionali stipulati, che abbiano avuto notizia dalle autorità di un altro Stato della presenza di persone in pericolo di vita nella zona di mare SAR di propria competenza, dovranno intervenire immediatamente senza tener conto della nazionalità o della condizione giuridica di dette persone. L'autorità competente così investita dalla questione deve accusare immediatamente ricevuta della segnalazione e indicare allo Stato di primo contatto, appena possibile, se sussistono le condizioni perché sia effettuato l'intervento. Sarà successivamente l'autorità nazionale che ha avuto il primo contatto con la persona in pericolo in mare a coordinare le operazioni di salvataggio, tanto nel caso in cui l'autorità nazionale competente SAR dia risposta negativa alla possibilità di intervenire in tempi utili, quanto in assenza di ogni riscontro da parte di quest'ultima. La cessione della competenza ad operare interventi SAR in acque internazionali non dovrà, comunque, pregiudicare la dignità e la vita delle persone che si devono soccorrere.

Noi non sappiamo, alla luce della risposta del Governo, se questo e in che modo questo sia effettivamente avvenuto, perché ci troviamo di fronte a un quadro ipotetico. Appare possibile, ovviamente il nostro augurio è che questo sia avvenuto e che non ci siano state 50 vittime del mare di cui non abbiamo notizia. Va tenuto, però, conto del fatto che quando le autorità italiane cedono alle autorità libiche una responsabilità SAR inizialmente assunta dopo il primo avvistamento dei natanti da soccorrere, anche con riferimento alle persone che trovandosi a bordo dei gommoni in acque internazionali ricadono già sotto la sua giurisdizione esclusiva, indipendentemente dallo Stato di bandiera dei mezzi civili e militari che vengono soccorsi, si realizzano tutti gli estremi di un trasferimento di giurisdizione che equivale a una consegna di quelle stesse persone alle autorità di un Paese che non garantisce un luogo di sbarco sicuro, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e che si trova in una fase di conflitto armato e di gravi violazioni dei diritti umani, anche ai danni della popolazione libica, al punto che a tale riguardo sono in corso indagini da parte della Corte penale internazionale.

Io dico al Governo, gentile sottosegretario, anche per i più recenti fatti di guerra che contribuiscono drammaticamente a dimostrare che la SAR libica non ha legittimità, perché per esserci una SAR deve esserci un porto sicuro, che credo sia arrivato il momento, al netto delle iniziative diplomatiche che il Governo eventualmente deciderà di assumere rispetto ai fatti libici, di prendere atto del fatto che la zona SAR libica non esiste; che non è più proseguibile un atteggiamento di carattere intimidatorio nei confronti delle organizzazioni non governative che, nel corso di questi mesi, si sono caricate sulle proprie spalle, oltre i salvataggi, anche un compito di sorveglianza di quello che avviene nel mar Mediterraneo; e che, probabilmente, è arrivato il momento di considerare nulli quegli accordi, anche in conseguenza del clima interno alla Libia e di rivedere la posizione del nostro Paese rispetto ad uno Stato che, non solo è terreno di conflitto militare, ma che non ha offerto nel corso di questi ultimi mesi nessun segnale che potesse far sperare in una evoluzione positiva della propria condizione e della propria capacità di rivelarsi porto sicuro e, quindi, di poter esercitare le funzioni di ricerca e salvataggio che erano previste dagli accordi internazionali sottoscritti tra il nostro Paese e la Libia stessa.

Il nostro Paese ha avuto una tradizione di politica estera molto attenta al Mediterraneo, che ci è valsa spesso la simpatia e la vicinanza dei popoli che vi si affacciano, e la politica estera è stata la nostra strada, nel corso di questi anni, alla sicurezza interna, pur se tra alti e bassi. Noi viviamo una realtà rovesciata nella quale, invece, la politica estera sembra diventata semplicemente un elemento di politica interna; io credo che il nostro Paese questo tipo di atteggiamento non se lo possa più permettere e consentire. Quindi, invito il Governo, che su questo non ha espresso un indirizzo chiaro, a rivedere il più rapidamente possibile, nell'interesse anche del nostro Paese e della sua sicurezza, la propria posizione.