I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
Gaza, a seguito dell'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2024, è diventata il teatro di un'operazione militare da parte dell'esercito israeliano che ormai dura da più di cinque mesi. A farne le spese sono sempre di più le popolazioni civili che abitano la striscia: ci sono, dall'inizio del conflitto, quasi 31.000 i morti, oltre settantamila i feriti, di cui tantissimi donne e bambini;
il sistema sanitario è totalmente saltato: sono 342 i medici feriti o addirittura uccisi, 100 quelli fermati, 106 le ambulanze distrutte. Le strutture ospedaliere aperte sono meno di un terzo rispetto a prima del 7 ottobre. Per Medici senza frontiere è tecnicamente impossibile tracciare l'entità del disastro: il 16 per cento dei bambini soffre di grave malnutrizione, 265.000 sono affetti da infezioni all'apparato respiratorio, 210.000 i casi di diarrea, 80.000 i casi di Epatite A dovuta a promiscuità, condizioni igienico-sanitarie minime, acqua non potabile;
a questi si aggiungono oltre 300.000 malati cronici (diabetici, oncologici, cardiopatici, ipertesi) senza più cure; l'ufficio delle Nazioni unite per il coordinamento degli affari umanitari riferisce che il rischio di morire di fame a Gaza colpisce in modo sproporzionato i bambini e le donne incinte. Su 416 donne in stato di gravidanza che si sono rivolte alla clinica del progetto Hope a Deir al Balah tra il 5 e il 24 febbraio 2024, circa un quinto mostrava segni di malnutrizione, una condizione che aumenta i rischi di emorragia post partum, potenzialmente letale, di parto prematuro e di neonati sottopeso; il colera viene considerato altamente probabile se l'assedio a Gaza proseguirà. A cinque mesi dal 7 ottobre 2023 la bomba più pericolosa è quella epidemiologica;
l'Oms, citando delle proiezioni, frutto degli studi della Hopkins University e dell'Università di Londra, dichiara che senza il cessate il fuoco saranno tra i 60.000 e gli 85.000 i morti in più nei prossimi sei mesi solo per le malattie;
nessuna operazione umanitaria su larga scala è davvero possibile, però, senza il blocco delle ostilità;
infatti, per gli aiuti umanitari si accumulano file sterminate di camion che aspettano per giorni: sono tra i 1.500 e i 2.000 i tir fermi a Rafah; all'hub dell'Ocha, gli autisti chiedono di fare qualcosa per sbloccare la situazione, alcuni di loro sono lì da più di un mese. Trasportano cibo in scatola, farina, pacchi di riso, tende e coperte; nel centro logistico della Mezzaluna rossa egiziana si stoccano le merci che non passano il vaglio di sicurezza di Israele. Visitando un paio di capannoni è possibile constatare la mole di aiuti che arrivano da Arabia Saudita, Brasile, Germania, Francia, Australia, Indonesia, Singapore, Unione europea, oltre a Onu e dalle Ong. A essere respinti sono anestetici, incubatrici, bombole di ossigeno, generatori, toilette chimiche, depuratori di acque; secondo criteri di assoluta discrezionalità di Israele;
il divieto di ingresso degli aiuti e il conseguente calo drastico che ne deriva sulla popolazione civile è esso stesso equiparabile ad un atto di guerra;
nei giorni scorsi il presidente Biden ha chiesto ad Israele di non ostacolare gli aiuti e ha annunciato una missione umanitaria via mare. Servono tra i 500 e 700 camion al giorno per tamponare l'emergenza umanitaria, mentre ne entrano poche decine;
anche la soluzione dell'aviolancio degli aiuti umanitari fatti da molti Paesi e previsti anche nella missione italiana Levante non rappresenta una reale alternativa al fabbisogno della popolazione considerando che la quantità di merci con lancio equivale ad un decimo del carico di un solo camion;
l'Unrwa è nel mirino, il suo definanziamento e il suo depotenziamento produrrebbe per almeno un milione di persone a Gaza il collasso definitivo. Ed è la stessa Unrwa che dice che a Rafah i rifugiati condividono un gabinetto in 600;
l'Italia continua a bloccare il proprio contributo annuale all'Unrwa, mentre l'Unione europea lo ha ripristinato e, per bocca della presidente della Commissione, ha affermato: «Dobbiamo garantire la sicurezza della distribuzione degli aiuti all'interno di Gaza. Questo rende ancora più importante lavorare con quelle agenzie che hanno ancora una presenza sul campo. Ed è il caso dell'Unrwa. A gennaio, sono state mosse gravi accuse contro alcuni membri del personale dell'Unrwa. Perciò abbiamo deciso di valutare le nostre decisioni di finanziamento alla luce delle azioni intraprese dalle Nazioni unite e dall'Unrwa in risposta a tali accuse. Da allora, l'Onu ha condotto un'indagine interna e ha creato un gruppo di revisione indipendente, guidato da Catherine Colonna. L'Unrwa ha anche accettato un audit da parte di esperti esterni nominati dall'Unione europea. Di conseguenza, procederemo con il pagamento di 50 milioni di euro a sostegno dell'Unrwa»;
inoltre, sono stati congelati numerosi progetti a Gaza e in West Bank della Agenzia della Cooperazione italiana allo sviluppo e delle Ong italiane che operano in Palestina e in Israele –:
quali iniziative stia intraprendendo il Governo per assicurare la consegna degli aiuti umanitari all'interno della striscia alla popolazione civile, anche attraverso una specifica iniziativa dell'Unione europea volta a chiedere allo Stato d'Israele, nell'immediato, lo sblocco dei valichi;
quali azioni di competenza stia perseguendo il Governo per favorire il cessate il fuoco, affinché la situazione della popolazione civile non degeneri ulteriormente;
per quali motivi il Governo continui a bloccare i fondi all'Unrwa, stante la decisione dell'Unione europea e di altri Governi di ripristinare i contributi, anche alla luce della due diligence che l'Onu ha prontamente effettuato nei confronti della sua agenzia.
Seduta del 22 marzo 2024
Illustrazione di Sara Ferrari, risposta del Vice Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, replica di Arturo Scotto
SARA FERRARI, Grazie, Presidente. Intendo illustrare l'interpellanza. Questa richiesta, che mi onoro di illustrare, è firmata da ben 20 deputati e deputate di Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, tra cui i 14 che hanno composto la delegazione politica che ha partecipato, nei primi giorni di marzo, alla missione umanitaria più larga che finora dall'Europa abbia raggiunto in Egitto il confine con la Striscia di Gaza, a Rafah. Eravamo circa 14, noi parlamentari che abbiamo partecipato, insieme a organizzazioni umanitarie italiane che, prima del 7 ottobre, operavano all'interno della Striscia di Gaza. Con noi c'erano anche giornalisti delle maggiori testate italiane e docenti universitari esperti di Medioriente.
Abbiamo accompagnato un convoglio di tre camion di aiuti, che cittadini italiani e italiane hanno donato all'interno della campagna “Emergenza Gaza” nei mesi scorsi, camion che sono fortunatamente riusciti ad entrare prima del nostro arrivo, tra i pochi che oggi ancora l'Esercito israeliano consente di far entrare all'interno del valico di Gaza.
Gaza, a seguito dell'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2024, è diventata il teatro di un'operazione militare da parte dell'Esercito israeliano, che, ormai, lo sappiamo, dura da quasi 6 mesi. A farne le spese sono sempre di più le popolazioni civili che abitano la Striscia. Ci sono, dall'inizio del conflitto, purtroppo, già 32.000 morti. Sono oltre 70.000 i feriti, e, di tutti questi - ci è stato detto dall'Organizzazione mondiale della sanità, che abbiamo potuto incontrare a Il Cairo -, il 65 per cento sono donne e bambini.
Il sistema sanitario è totalmente saltato. I medici feriti o, addirittura, uccisi sono 342, 100 quelli fermati, 106 le ambulanze distrutte.
Le strutture ospedaliere aperte sono meno di un terzo rispetto a prima del 7 ottobre e vediamo come venga costantemente violato il diritto internazionale anche con i continui bombardamenti proprio sugli ospedali. Per Medici Senza Frontiere tecnicamente è impossibile tracciare l'entità del disastro. Anche Medici Senza Frontiere è una delle agenzie che abbiamo potuto incontrare direttamente con i suoi vertici a Il Cairo. Il 16 per cento dei bambini soffre di grave malnutrizione, 265.000 sono affetti da infezioni dell'apparato respiratorio, 210.000 i casi di diarrea, 80.000 i casi di epatite A dovuta a promiscuità, condizioni igienico-sanitarie minime e acqua non potabile. Di fatto, chi non muore sotto le bombe lo fa o lo farà per questi altri motivi. Ricordo che i medicinali faticano ad entrare dentro la Striscia di Gaza. A questi si aggiungono oltre 300.000 malati cronici, diabetici, oncologici, cardiopatici e ipertesi senza più cure.
L'ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, la famosa UNRWA, riferisce che il rischio di morire di fame a Gaza colpisce in modo sproporzionato soprattutto bambini e donne incinte. A 5 mesi dal 7 ottobre la bomba più pericolosa oggi è quella delle epidemie. L'organizzazione mondiale della sanità, citando delle proiezioni frutto degli studi della Hopkins University e dell'università di Londra, dichiara che senza il cessate il fuoco saranno tra i 60.000 e gli 85.000 i morti in più nei prossimi 6 mesi solo per le malattie. Nessuna operazione umanitaria su larga scala è davvero possibile, però, senza il blocco delle ostilità, senza un cessate il fuoco immediato e definitivo; non una tregua temporanea, ma un cessate il fuoco urgente e definitivo.
Infatti, per gli aiuti umanitari si accumulano file sterminate di camion che aspettano per giorni. Quelli che abbiamo, purtroppo, visto sulla spianata a pochi chilometri dal confine sono tra i 1.500 e i 2.000, fermi perché l'esercito israeliano non li lascia passare, fermi anche da più di un mese, come ci hanno testimoniato i camionisti che stanno lì fermi sotto il sole riparandosi tra un camion e l'altro, perché uno fa ombra alla mattina e l'altro fra un'ombra il pomeriggio sulla sabbia. Lì ci sono derrate alimentari e aiuti raccolti in tutto il mondo che non entrano: non entrano perché l'esercito israeliano ha ridotto il numero di ingressi da 500 al giorno, prima del 7 ottobre, a 50-70 al giorno nell'occasione in cui noi eravamo lì presenti, poche settimane fa.
Si accumulano anche file, che cercano di entrare, di questi aiuti che arrivano da tutto il mondo. Trasportano cibo in scatola, farina, pacchi di riso, tende e coperte. Nel centro logistico della Mezzaluna Rossa egiziana si stoccano le merci che non passano il controllo israeliano, cioè che vengono respinte. E che cosa sono? Abbiamo potuto constatare, in alcuni capannoni nella zona di Al-Arish, la mole di aiuti che arrivano da Arabia Saudita, Brasile, Germania, Francia, Australia, Indonesia, Singapore e tutta l'Unione europea, oltre a ONU e ONG. Sono respinti quei beni salvavita che vengono giudicati dall'esercito israeliano a uso doppio, cioè che si rischia possano essere utilizzati dai terroristi di Hamas a scopi terroristici. In realtà, ci siamo chiesti come possano esserlo gli anestetici (vi ricordo che molti all'interno della Striscia, anche i bambini, sono operati senza anestetico). Si tratta di anestetici, incubatrici, bombole di ossigeno, generatori elettrici, toilette chimiche e depuratori di acqua, scelti secondo criteri di assoluta discrezionalità. E allora ci siamo chiesti, con grande rabbia: com'è possibile che le pastiglie per depurare l'acqua, per renderla potabile, possano essere giustificate come pericolose? Possano essere bloccate come pericolose? E la rabbia è constatare l'intenzionalità, invece, di nuocere, perché meno di questi beni salvavita entreranno e più persone potranno morire.
Nei giorni scorsi il Presidente Biden ha chiesto a Israele di non ostacolare gli aiuti e ha annunciato una missione umanitaria via mare. Anche la soluzione dell'aviolancio degli aiuti umanitari però, fatta da molti Paesi e prevista anche nella missione italiana, non rappresenta una reale alternativa al fabbisogno della popolazione, al di là dell'indegnità che un'operazione di questo tipo porta con sé e proprio considerando la quantità di merci che possono essere distribuite con il lancio, che equivale a un decimo del carico di un solo camion ed è molto, molto più costosa.
Chi si occupa di tutto questo all'interno della Striscia, di distribuire gli aiuti, di seguire la popolazione? Se ne occupa un'agenzia dell'ONU dal 1948, che segue i profughi palestinesi da allora nei territori in cui i profughi sono distribuiti, cioè nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est e nella Cisgiordania. Ebbene, questa agenzia opera sotto l'egida delle Nazioni Unite all'interno della Striscia con almeno 30.000 dipendenti. Di questi 17.000 sono a Gaza e si tratta evidentemente per la maggior parte di operatori, di professionisti, di persone che sono state professionalizzate da questa agenzia per portare questi aiuti. Sappiamo che nei mesi scorsi Israele ha accusato il fatto che 12 di questi operatori sarebbero complici di Hamas o avrebbero addirittura partecipato direttamente all'attacco del 7 ottobre. Queste accuse hanno portato all'immediata sospensione, da parte della maggior parte dei Paesi, degli aiuti a UNRWA e ancora oggi, però, quelle accuse non sono state provate, anzi il fatto che Israele non abbia saputo portare testimonianze di questo ha fatto sì che nei giorni scorsi l'Europa abbia ripristinato quel finanziamento, con 50 milioni per UNRWA, con un incremento di 68 milioni per i palestinesi per l'anno 2024.
Come ci è stato detto da tutte le agenzie umanitarie, non solo quelle italiane che lavoravano all'interno ma anche quelle che abbiamo potuto incontrare a Il Cairo, cioè l'Organizzazione mondiale della sanità, Medici Senza Frontiere e gli operatori della Mezzaluna Rossa, sostanzialmente la Croce Rossa della zona, la Croce Rossa egiziana, UNRWA è la spina dorsale di tutti gli interventi all'interno della Striscia di Gaza, alla quale si agganciano tutte le altre agenzie. Quindi, anche sentir dire in quest'Aula, qualche giorno fa dalla Premier, che noi non finanzieremo più UNRWA ma le altre agenzie è una contraddizione in termini, non è sostanziale, perché in realtà tutte le altre agenzie hanno UNRWA come punto di riferimento per la distribuzione sul territorio non solo degli aiuti ma anche per i progetti e le azioni che compiono.
Dunque, l'Italia continua a bloccare il proprio contributo annuale all'UNRWA, mentre l'Unione europea, appunto, lo ha ripristinato. La Presidente della Commissione ha affermato: “Dobbiamo garantire la sicurezza della distribuzione degli aiuti all'interno di Gaza. Questo rende ancora più importante lavorare con quelle agenzie che hanno ancora una presenza sul campo ed è il caso, appunto, di UNRWA. A gennaio sono state mosse gravi accuse contro alcuni membri del personale e perciò”, dice la Presidente alla Commissione, “abbiamo deciso di valutare le nostre decisioni di finanziamento alla luce delle azioni intraprese dalle Nazioni Unite e dall'UNRWA stessa in risposta a tali accuse”. Quindi, è in corso ancora evidentemente questa operazione di valutazione.
Da allora l'ONU ha condotto un'indagine interna e ha creato un gruppo di revisione indipendente e UNRWA stessa ha accettato un audit da parte di esperti esterni, nominati dall'Unione europea, perché è interesse stesso dell'Agenzia ONU ovviamente di fare chiarezza al proprio interno per poter evidentemente continuare ad operare. Sono stati, inoltre, congelati numerosi progetti a Gaza e nella Cisgiordania dall'Agenzia della cooperazione italiana allo sviluppo e dalle ONG italiane che operano in Palestina e in Israele.
La nostra interpellanza chiede, sostanzialmente, anche il rispetto degli impegni che in quest'Aula sono stati assunti, o meglio, che quest'Aula ha assunto e che ha assegnato al Governo con una mozione poche settimane fa, che ha avuto l'approvazione. Questa mozione impegna: a sostenere, ovviamente, da parte del Governo, ogni iniziativa volta alla liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani; a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario; a sostenere un'azione coordinata a livello internazionale, soprattutto in seno all'Unione europea, per promuovere iniziative di de-escalation della tensione in Medio Oriente, con l'obiettivo di celebrare una conferenza internazionale di pace che ponga fine a questo conflitto; a sostenere l'Unione europea nell'attuazione, in tempi rapidi, delle sanzioni già deliberate contro Hamas, per colpire la capacità organizzativa, economica e finanziaria dell'organizzazione terroristica; a sostenere, all'interno di una cornice europea, con un mandato definito a protezione della libertà di navigazione e in dialogo con altri attori regionali, le iniziative volte a garantire la sicurezza marittima nel Mar Rosso.
Di tutte queste azioni noi chiediamo oggi ragione al Governo, visto che la Premier non ha colto né l'occasione dell'incontro in Egitto, né ha dato risposta alla lettera che le abbiamo inviato come partecipanti a quella missione, né, al momento, risulta che nel Consiglio europeo di ieri ci siano state particolari assunzioni di impegno, di adempiere invece al mandato che le ha dato quest'Aula.
Chiedo, quindi, oggi al Ministro qui presente quali iniziative stia intraprendendo il Governo per assicurare la consegna degli aiuti umanitari all'interno della Striscia, anche attraverso la specifica iniziativa dell'Unione europea, per un necessario e immediato sblocco dei valichi, perché quanto detto fino adesso possa effettivamente oltrepassare quel confine; quali azioni di competenza stia perseguendo il Governo per favorire il cessate il fuoco, affinché la situazione della popolazione non degeneri ulteriormente; per quali motivi il Governo continui a bloccare i fondi dell'UNRWA, stante la decisione dell'Unione europea e di altri Governi di ripristinare invece quei contributi, anche alla luce della due diligence che l'ONU ha prontamente effettuato nei confronti della sua stessa Agenzia.
EDMONDO CIRIELLI, Vice Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia, come sapete, tradizionalmente ha erogato all'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi, UNRWA, contributi finalizzati alla realizzazione di specifici progetti, e, a vario titolo, negli ultimi 3 anni, ha dato, in media, circa 7 milioni di euro all'anno. Nel 2023, non è stato deliberato alcun nuovo contributo al bilancio.
Voglio ricordare, ovviamente, che questi contributi nazionali hanno natura volontaria, e, quindi, non formano oggetto di alcun obbligo internazionale. D'altro canto, l'Italia è il settimo contributore del bilancio delle Nazioni Unite e le Nazioni Unite partecipano in maniera consistente al bilancio dell'UNRWA, quindi, indirettamente l'Italia, pro quota, continua a dare il sostegno a questa organizzazione delle Nazioni Unite, legata in maniera specifica alla tutela dei rifugiati palestinesi.
Come sappiamo, esiste un'altra Agenzia a livello delle Nazioni Unite che si occupa in generale dei rifugiati e c'è stata, dal 1948 in poi, questa decisione specifica, che l'Italia, allo stato attuale, non intende contestare. È evidente che, dopo la guerra, andrà rivalutato, con tutti gli altri membri dell'ONU, il modo migliore per intervenire a Gaza, e credo che sicuramente UNRWA, nella sua specificità, rappresenta un unicum che ha svolto un ruolo positivo negli ultimi 70 anni. Certo, quello che è accaduto a Gaza ha messo in luce un altro spaccato della realtà, e sappiamo bene che una cosa è l'UNRWA di Gaza e una cosa è l'UNRWA di altri posti.
Dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre, come è stato ricordato, l'Italia ha deciso di non deliberare nuovi contributi a favore di UNRWA, in attesa di valutare l'utilizzo più efficace dei fondi nelle circostanze che si sono determinate. Dunque, abbiamo deciso di confermare ulteriormente questa sospensione, di fronte alla gravità delle accuse, che non è vero che non sono state provate. Israele ha presentato tutta una serie di prove dettagliate, che in fieri hanno determinato, da parte dell'UNRWA, il licenziamento di una serie di persone accusate, a conferma che evidentemente quelle prove c'erano.
D'altro canto, quando Israele ha denunciato e provato che, sotto il quartier generale dell'UNRWA a Gaza, c'era un'importante base militare di Hamas, UNRWA non ha detto che non era vero, ha detto “non lo sapevamo”. La Commissione europea, dopo avere sottoscritto un accordo con l'Agenzia sul rafforzamento della governance, ha sbloccato una prima quota di finanziamenti già impegnati, pari a 50 milioni di euro. Per i restanti 32 milioni di euro, Bruxelles attende di verificare la puntuale attuazione degli impegni che l'Agenzia si è assunta.
Non ci sono, in ogni caso, risorse nuove, erano risorse vecchie. L'accettazione da parte di UNRWA delle condizioni poste dalla Commissione deve essere sottoposta a verifica, ma le indagini dell'Ufficio delle Nazioni Unite per i servizi interni e della Commissione indipendente presieduta dall'ex Ministro degli Esteri francese Colonna sono ancora in corso. Il rapporto definitivo è atteso e tutti quanti siamo impegnati a capire bene quello che è accaduto.
In attesa di conoscere l'esito dell'inchiesta, il Governo continuerà a fornire ogni possibile sostegno alla popolazione di Gaza attraverso altri canali.
D'altro canto, l'importante non è chi porta gli aiuti a Gaza, l'importante è che gli aiuti a Gaza arrivino. Ho detto prima che, mediamente, abbiamo dato 7 milioni di euro all'anno, nei primi mesi del 2024, l'Italia, in due pacchetti, a mia firma personale, già ha dato 20 milioni di euro, quindi 3 volte la cifra di quello che davamo annualmente. Quindi, l'Italia, posso dire, è in prima linea per fare il suo dovere. Queste concrete iniziative non sono state soltanto in termini di cifre economiche. Ci sono voli umanitari con 16 tonnellate di beni, molti palestinesi sono stati curati sulla nave Vulcano e decine di bambini sono stati accolti nei nostri ospedali.
Come ho detto, ci sono alcune agenzie che stanno operando sul territorio e abbiamo contezza che stanno operando concretamente, senza alcuna intermediazione. Parliamo di FAO, di PAM, del Comitato internazionale della Croce rossa, della Federazione internazionale della Croce rossa, dell'OMS e della Mezzaluna rossa.
Anche gli incidenti bellici di alcune di queste organizzazioni confermano che sono in campo per fare il loro dovere, e noi siamo convinti che debbano farlo. D'altro canto, è notorio che centinaia di migliaia di aiuti, decine e centinaia di camion sono fermi, e questo riguarda tutti gli attori sul posto. Proprio per questo, gli Stati Uniti, insieme a altri alleati, tra cui l'Italia, stanno immaginando un intervento, anche via mare, per ampliare la risposta umanitaria.
Tra l'altro, dopo il 7 ottobre, la volatilità della situazione, soprattutto il pericolo della situazione, che vede comunque molte vittime collaterali a seguito degli scontri tra i terroristi di Hamas e l'esercito israeliano, hanno impedito che l'AICA potesse operare in condizioni di sicurezza. Peraltro c'è anche il tema, ampiamente dimostrato da video e denunciato da tanti attori internazionali, non soltanto dall'esercito israeliano, che gli aiuti vengono rubati da Hamas, anche sparando sulla folla dei palestinesi, per questo c'è la necessità del massimo controllo sul territorio. Al momento, Cooperazione italiana e ONG - come ho detto - non possono operare direttamente sulla Striscia, ma le attività proseguono regolarmente in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Stiamo ora intensificando il nostro impegno e ci stiamo concentrando chiaramente su Gaza. Il Ministro Tajani ha lanciato peraltro alla Farnesina l'iniziativa Food for Gaza, con i vertici della FAO, del PAM, della Croce Rossa, della Mezzaluna rossa internazionale, della Protezione civile italiana e della Croce rossa italiana, proprio per razionalizzare gli sforzi e vedere anche tecnicamente cosa è necessario. Quindi, posso dire che l'Italia, grazie alla Farnesina, è in prima linea e peraltro aggiungo che non è vero che il Presidente del Consiglio su questa vicenda ha taciuto. Nel corso del dibattito parlamentare al Senato e alla Camera relativamente alla crisi internazionale e al Consiglio europeo ha chiarito che l'Italia intende, allo stato attuale, verificare l'esito delle indagini sulla grave commistione dell'UNRWA con Hamas nella Striscia di Gaza. È chiaro che questo non significa che non ci vuole un impegno ancora più forte per i civili innocenti che stanno pagando le colpe della guerra scatenata da Hamas. Per questo, si è tenuta mercoledì una riunione tecnica del tavolo Food for Gaza e sono stati discussi tutti i nodi e le complicanze per far arrivare concretamente gli aiuti. Voglio già annunciare che, insieme al Ministro Tajani, abbiamo deciso di stanziare ulteriori risorse finanziarie per Food for Gaza, ma anche materiali tramite la nostra Protezione civile. Riteniamo che l'Italia, per la sua posizione geografica, abbia una responsabilità straordinaria in questa crisi dal punto di vista etico. Peraltro, l'Italia da sempre, in tutto l'arco parlamentare, ha avuto grande interesse e ha preso molto a cuore la sorte della questione palestinese, lavorando per la nascita di uno Stato palestinese. Chiaramente l'attività umanitaria si inserisce in un impegno diplomatico più ampio, volto a favorire una de-escalation del conflitto e in prospettiva la ripresa di un dialogo politico tra le parti, con un obiettivo che il Governo italiano attuale - così come quelli del passato - conferma: la soluzione dei due Stati. Chiediamo con forza un immediato cessate il fuoco umanitario e sostenibile, chiaramente per consentire un maggiore e più ordinato afflusso di aiuti. Contemporaneamente e parallelamente è impensabile che a questo non possa seguire la contestuale liberazione incondizionata di tutti gli ostaggi. Lavoriamo in linea con la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e cerchiamo di mantenere sempre un ruolo di mediazione, che ci è riconosciuto a livello internazionale - lo ribadisco - in continuità. Tutti i Governi italiani riescono sempre a mantenere con i Paesi arabi moderati e anche con quelli meno moderati - passatemi la locuzione - un ruolo di grande equilibrio e di grande efficacia. È evidente che noi riconosciamo il diritto a Israele di difendersi, di difendere il suo Stato, di difendere il popolo israeliano e peraltro quello che è accaduto il 7 ottobre ha dato una plastica visione di cosa accadrebbe agli ebrei se non ci fosse lo Stato israeliano: ci sarebbe un genocidio, un massacro e una pulizia etnica. Ecco perché il Governo israeliano ha il diritto di neutralizzare il pericolo provocato dalla dittatura di Hamas sulla Striscia di Gaza. Per questo motivo, siamo al fianco del diritto inviolabile di Israele - previsto dai valori e dai principi della Carta delle Nazioni Unite e peraltro ribadito indirettamente persino dalla Corte internazionale di giustizia che, nel momento in cui ha avviato un'indagine - come è giusto che sia - per le denunce fatte dal Sudafrica sui crimini di genocidio, non ha concesso il cessate il fuoco, a dimostrazione del fatto che ha riconosciuto che Israele sta esercitando il diritto di legittima difesa. È altrettanto ovvio e ultroneo ricordare che tutti gli attori di qualunque conflitto nel mondo devono agire nel rispetto del diritto internazionale bellico, nel rispetto delle convenzioni di Ginevra e chi non lo fa, a livello individuale o a livello statale, se ne assume la responsabilità nelle Corti internazionali di giustizia.
L'Italia è uno degli attori istituzionali e statali più attivi nella Corte internazionale di giustizia, così come nel Comitato dei diritti umani dell'ONU e abbiamo sempre mantenuto - lo ribadisco , non solo in questo Governo, ma anche in tutti i Governi che ci hanno preceduto, un ruolo di leadership nella difesa dei diritti umani a livello mondiale. Non intendiamo recedere e non intendiamo certamente, per un Governo o per visioni politiche pro tempore, cambiare la linea strategica del nostro Stato democratico, che ha conquistato con fatica dopo la Seconda guerra mondiale. Per questo motivo, abbiamo favorito recenti incontri in Israele e in Cisgiordania e siamo assolutamente in linea per svolgere questo ruolo di mediazione. Il Ministro Tajani ha incontrato il Ministro palestinese Malky e quello israeliano Katz e ha invitato entrambi a mettere in campo tutte le azioni che possono evitare un acuirsi della crisi umanitaria a Gaza. Per questo motivo, apprezziamo chiaramente la sensibilità da parte dell'opposizione sul tema e anche sulla vicenda generale del ruolo storico e istituzionale di UNRWA, che certamente non può essere a prescindere quello che potrà essere accertato dalle Nazioni Unite, offuscato dalla colpa magari di vertici attuali o di singole persone, che possono avere commesso reati o crimini di guerra per i quali, a livello individuale, saranno chiamati a rispondere.
ARTURO SCOTTO, Grazie, signor Presidente. Non siamo soddisfatti e le spiegherò perché. Da questa parte, da questi scranni, da questi banchi dell'opposizione, il Vice Ministro Cirielli sa che sono sempre venuti messaggi di collaborazione e non c'è stata alcuna volontà di strumentalizzazione politica rispetto alla crisi in Medio Oriente.
Siamo stati i primi a condannare i fatti barbari del 7 ottobre e siamo stati i primi a lanciare un allarme fortissimo rispetto alle conseguenze che, da quei fatti e da quella tragedia, si sarebbero determinate in Palestina, in Israele e nel rapporto tra Palestina, Israele e il mondo intero. Qualche mese fa, mi sono recato al kibbutz di Kfar Aza, ho incontrato le famiglie degli ostaggi e abbiamo sempre detto con grande nettezza che il rilascio degli ostaggi doveva essere incondizionato da parte di Hamas, perché non ci può essere nessuna giustificazione rispetto a una politica che tiene sotto chiave persone innocenti e civili innocenti, quali sono ancora oggi gli oltre 100 civili ostaggio di Hamas. Proprio per questo, penso che il ruolo del nostro Paese doveva - e dovrebbe - essere più assertivo, sul piano diplomatico innanzitutto e sul piano dell'azione umanitaria che deve mettere in campo.
Lei ha citato una serie di dati, risorse che sono state messe sull'emergenza. Va benissimo, però lei non ci ha spiegato una cosa. Pur riconoscendo il ruolo storico di UNRWA, dal 1949 ad oggi, un'anomalia sul piano internazionale, perché è l'unica agenzia delle Nazioni Unite che si occupa, precipuamente, dei rifugiati palestinesi, come lei sa benissimo, in Giordania, in Siria, in Libano, in Cisgiordania e a Gaza. Quell'agenzia, 30.000 dipendenti, come ricordava la collega Ferrari, 13.000 soltanto nella Striscia. Ora lei mi deve spiegare una cosa, signor Vice Ministro. Se ci sono 12 dipendenti di quell'agenzia che si sono macchiati di reati gravissimi il giorno 7 ottobre e su cui c'è un'indagine internazionale, 12 dipendenti a fronte di 13.000 dipendenti, la domanda è: si puniscano i 12. Non c'è una punizione collettiva nei confronti di un'agenzia, che, come veniva ricordato, è un'infrastruttura fondamentale per la ricezione degli aiuti, per curare le persone che sono lì, colpite dalle bombe e che, mi consenta, signor Vice Ministro, non sono vittime collaterali, perché quando ci sono 32.000 morti, 70.000 feriti e migliaia e migliaia di persone, probabilmente, disperse non possiamo parlare di vittime collaterali dei bombardamenti. Stiamo parlando di civili colpiti da un disegno militare gravissimo e pesantissimo. Non siamo nell'ambito della legittima difesa, l'abbiamo già abbondantemente oltrepassato, stiamo dentro il campo ignoto della punizione collettiva. Se è vero questo, signor Vice Ministro, se sono 12 su 13.000, se l'UNRWA svolge un compito fondamentale e indispensabile, come ci è stato ricordato proprio dalle agenzie, che lei ha citato e che svolgono una funzione fondamentale lì, a partire dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, dall'OSCE, dalla FAO, tutte agenzie che abbiamo incontrato in Egitto con la delegazione parlamentare, se è vero questo, a me sembra un po' singolare che si decida di sospendere un contributo a un'agenzia delle Nazioni Unite e addirittura, non il Governo italiano, altri Governi, a partire da quello israeliano, ne chiedano lo scioglimento. Mi lasci fare il parallelo. È come se noi trovassimo 12 funzionari infedeli all'interno dell'Arma dei carabinieri o della Protezione civile e decidessimo di sciogliere l'Arma dei carabinieri e la Protezione civile. Se questo è il punto, io le chiedo di rivedere questa scelta e di dare un segnale. Lei ha usato una parola, l'ha ripetuta più di una volta: la parola è continuità. Il nostro Governo si muove in continuità rispetto ai Governi precedenti sul terreno della crisi mediorientale. Se fosse vero, signor Vice Ministro, se quella continuità ci fosse, dopo che l'Unione europea ha deciso di ripristinare quei fondi e di togliere qualsiasi forma di sospensione, l'Italia avrebbe fatto la stessa scelta dell'Unione europea. Invece, oggi l'Italia si muove in maniera disallineata rispetto alla Commissione e alle sue scelte.
Signor Vice Ministro, noi crediamo che occorra un'azione politica. C'è il grande tema degli aiuti umanitari e c'è un tema, mi consenta, anche di dignità nazionale, oltre che di ragioni che, sono convinto, lei, il suo Governo e la Presidente del Consiglio vivano con grande angoscia, le ragioni dell'umanità, le ragioni di chi oggi è sotto le bombe, di chi non può mangiare e rischia di morire, di quei bambini morti per denutrizione, di quelle malattie che venivano citate, dei rischi che Medici senza frontiere e l'OMS hanno lanciato, addirittura, di un rischio concreto di epidemia di colera.
Se dovesse proseguire il conflitto, le proiezioni che ci dava l'Organizzazione mondiale della sanità erano spietate. Tra i 60.000 e gli 85.000 morti per malattie. Laddove non uccidono le bombe, uccidono le malattie, come è stato spesso nella storia dell'umanità. Lei ricorderà un saggio splendido di Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, e quanto le malattie abbiano inciso nelle guerre coloniali di conquista, per esempio, agli albori della scoperta dell'America e della conquista dell'America da parte degli europei. Se è vero questo, se è vero che lei condivide con noi le ragioni dell'umanità, io penso che per ragioni di dignità nazionale occorrerebbe dire al Governo di Israele che è uno scandalo che ci siano 1.500 camion spiaggiati lì dove c'è di tutto, dai pacchi di riso al cibo in scatola, ai medicinali, ai beni salvavita, a cose fondamentali. C'è una questione di dignità nazionale, perché quelle cose, quelle merci, quei beni sono pagati con le risorse dei contribuenti italiani ed europei e noi non possiamo consentire che non passino. Così come non possiamo consentire che non ci sia la politica. Lei dice il Governo italiano è per il cessate il fuoco. Benissimo, forse poteva esserlo anche prima che ci fosse un voto del Parlamento, mi consenta. Il Parlamento ha votato, la maggioranza si è astenuta su una mozione presentata dal Partito Democratico. Nei mesi precedenti tutte le iniziative del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avevano previsto il cessate il fuoco e l'Italia in quella sede si è astenuta sempre, spesso spaccando anche il fronte europeo. Oggi c'è un ripensamento, è un fatto politico, ma quel ripensamento deve camminare sulle gambe della politica e le gambe della politica e della diplomazia dicono che l'Italia deve spingere perché ci sia, accanto al cessate il fuoco e alla possibilità dell'ingresso degli aiuti umanitari, un passaggio che riguardi la pace. E il passaggio che riguarda la pace passa attraverso, indubbiamente, una conferenza ma anche una scelta che non può essere più rimandata, signor Presidente, signor Vice Ministro, che è quella del riconoscimento dello Stato di Palestina. Lei dice, giustamente, l'obiettivo nostro, l'obiettivo da sempre della generazione mia, che è cresciuta con il sogno di quella stretta di mano tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin degli Accordi di Oslo, qual era? Quella di due Stati e di due popoli che convivessero in pace e sicurezza. Uno Stato c'è, è quello di Israele e va difeso rispetto anche ai rigurgiti antisemiti che ci sono anche in Europa. Un altro Stato non c'è, però, che è quello palestinese e lei sa benissimo che la sicurezza e la pace di Israele ci saranno soltanto se sarà costituito quell'altro Stato e non si può più aspettare.
Dunque, noi ribadiamo la richiesta che questo Governo italiano riconosca lo Stato di Palestina come arma di pressione diplomatica per dare uno sbocco alla crisi in Medio Oriente.